Convegno 

Il diritto nell'er@ di Internet

 organizzato dall'AIGA - Associazione Italiana Giovani Avvocati e dalla Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Modena, 25 maggio 2001
 


Enzo Fogliani:
I metodi alternativi di risoluzione delle dispute sui nomi a dominio

Indice: 1. Premessa.    2. Le procedure di riassegnazione italiane. -  3. Gli enti conduttori ed i saggi. -  4. Il procedimento. -  5. Le MAP di ICANN -  6. Procedura di riassegnazione e giudizio ordinario. – 7.  Conclusioni.

 


 

1. Premessa.

 

Agli operatori del settore Internt ed all’utenza appare oggi in tutta la sua drammaticità la assoluta inidoneità pratica degli attuali strumenti giurisdizionali (non solo in Italia, ma anche – seppur in minor misura – all’estero) a garantire una efficace tutela al diritto al nome a dominio.

 

Questa inidoneità del ricorso alla magistratura ordinaria si evidenzia principalmente sotto i seguenti aspetti:

 

a)                          Tempi. I tempi del giudizio italiano assumono dimensioni bibliche rispetto a quelli con cui si lavora su internet. Ottenere un provvedimento cautelare in un paio di mesi è già in un ottimo risultato; e comunque occorrono poi anni per ottenere una sentenza di primo grado esecutiva.

b)                          Costi. Il costo per la tutela del nome a dominio innanzi alla magistratura ordinaria è nell’ordine di 1000 volte il costo del nome a dominio; e ciò solo per la fase cautelare.[1]

c)                          Tipo di provvedimento. La tutela cautelare della magistratura ordinaria ha per sua natura carattere inibitorio. Il giudice non può quindi trasferire il nome a dominio contestato al ricorrente che ne abbia diritto, ma solo inibirne l’uso a chi lo ha illegittimamente registrato, in attesa della sentenza di merito. [2].

d)                          Norme applicabili. Le norme applicate dal giudice ordinario non sono state pensate per i peculiari aspetti di internet, e quindi lasciamo spesso privi di tutela alcune fattispecie.

e)                          Competenza del giudicante. Troppo spesso le decisioni relative a nomi a dominio rivelano la poca conoscenza da parte del giudicante delle problematiche tecniche del settore su cui vanno incidere. [3]

 

Sono quindi nate, sia all’estero [4] che in Italia [5], procedure alternative per la risoluzione delle dispute sui nomi a dominio aventi lo scopo non solo di eliminare il cybersquatting (ossia l’accaparramento di nomi a dominio senza averne diritto), ma anche per offrire una soluzione agli inconvenienti sopra indicati.

 

Questi procedimenti alternativi, sostanzialmente tutti ispirati allo stesso schema, sono ormai in funzione da oltre un anno; il che consente di fare un primo bilancio della situazione, essendosi ormai formata una corposa “giurisprudenza” che conta ormai quasi 4.000 decisioni [6].

 

L’analisi dei risultati di queste procedure (i cui meccanismi vedremo in dettaglio fra poco) è lusinghiero, e consente di affermare che i motivi di insoddisfazione cui da adito il ricorso alla magistratura ordinaria sono stati sostanzialmente eliminati.

 

In particolare:

 

1)      Tempi. Le procedure di riassegnazione conducono ad una decisione entro un termine minimo di 10 e massimo di 45 giorni dal deposito del ricorso.

2)      Costi. Il costo per la tutela del nome a dominio con i mezzi alternativi non è in Italia superiore a lire 2.300.000 oltre iva.

3)      Tipo di provvedimento. Ad esito del procedimento il nome a dominio viene trasferito a chi ne aveva effettivamente diritto.

4)      Norme applicabili. Le norme applicate nelle procedure tengono presente i peculiari aspetti di internet.

5)      Competenza del giudicante. Le decisioni sono rese da persone esperte nel settore.

 

Vediamo ora in dettaglio come funziona il sistema in Italia, con l’avvertenza che quanto detto vale sostanzialmente anche per le procedure in vigore a livello internazionale, dalle quali ne procedure italiane si discostano per pochi aspetti marginali.

 

 

2. Le procedure di riassegnazione italiane.

 

Le procedure italiane, denominate “procedure di riassegnazione”, si ispirano in larga parte alle MAP di ICANN, di cui sono per alcune parti la traduzione testuale. Le norme italiane che le prevedono sono entrate in vigore il 28 luglio 2000 [7]; i primi enti conduttori hanno cominciato ad operare nel settembre 2000, e da ottobre sono state rese le prime decisioni. Ad oggi, i domini sottoposti a procedura di riassegnazione sono oltre una cinquantina.

 

Come la MAP di ICANN, le procedure di riassegnazione italiane non hanno natura giurisdizionale, e come tale non precludono alle parti il ricorso, anche successivo, alla magistratura o all’arbitrato [8]. 

 

Le procedure di riassegnazione si inseriscono funzionalmente nell’ambito procedimentale della registrazione del nome a dominio, e più specificamente  nell’ambito della verifica del titolo alla richiesta del nome a dominio. Le procedure hanno infatti lo scopo di controllare la veridicità della dichiarazione, con la quale l’assegnatario del nome a dominio, all’atto della richiesta di registrazione, ha dichiarato di avere titolo all’uso  disponibilità giuridica del nome a dominio richiesto e di non ledere con tale richiesta di registrazione diritti di terzi [9].

 

La circostanza che questo tipo di verifica sia svolto non d’ufficio, ma su sollecitazione ed in contraddittorio con un soggetto che assume leso un proprio diritto sul nome a dominio contestato non incide sulla natura della procedura, che non per questo assume carattere giurisdizionale [10]. Ciò, oltre che nella esplicita previsione in tal senso delle regole di naming, trova conferma nel fatto che la procedura italiana – così come le MAP di ICANN – non può essere intrapresa in pendenza di giudizio o di arbitrato sul nome a dominio contestato, e si interrompe nel caso in giudizio innanzi al giudice ordinario sia intrapreso durante il suo corso [11].

 

La sottoponibilità alla procedura di riassegnazione di tutti i domini registrati sotto il ccTLD .it (e quindi, anche a quelli assegnati prima della loro introduzione) ha fondamento nell’esplicito richiamo dinamico alle regole di naming contenuto nella lettera di assunzione di responsabilità. Tal richiamo ha l’effetto di assoggettare ogni assegnatario di un nome a dominio sotto il ccTLD.it non solo alle regole di naming in vigore al momento della registrazione, ma anche alle modifiche che ad esse dovesse portare in  futuro la Naming Authority italiana.

 

Sotto altro profilo, le norme che regolano le procedure di riassegnazione possono essere considerate come norme di carattere procedimentale. Come tali, sulla base del principio “tempus regit actum” si applicano nella versione in vigore in cui viene presentato il ricorso, indipendentemente dal momento in cui il nome a dominio è stato registrato o è stato sottoposto a contestazione.

 

3. Gli enti conduttori ed i saggi.

 

Le procedure di riassegnazione sono gestite dai cosiddetti “enti conduttori”. Essi fungono da “cancelleria” per i saggi, ossia gli esperti cui sono affidate le decisioni nelle procedure di riassegnazione. Gli enti conduttori sono abilitati alla gestione delle procedure dal presidente della Naming Authority, previa verifica della presenza di alcuni requisiti, i cui principali sono l’avere una lista di almeno 15 “saggi” disponibili a rendere le decisioni nelle procedure, un sito web su cui pubblicarle, un’organizzazione per gestirle [12].

 

I soggetti cui le regole di naming attuali consentono di assumere la gestione delle procedure di riassegnazione possono essere persone giuridiche pubbliche o private, e studi professionali [13]. I ridotti requisiti richiesti per la gestione delle procedure ha portato in Italia all’abilitazione di oltre una decina di enti conduttori; numero del tutto sproporzionato rispetto alle esigenze del ccTLD .it [14].

 

I ricorrenti – cui, ricordiamo, spetta la scelta dell’ente conduttore cui affidare il ricorso [15]- sono stati peraltro molto diffidenti verso quegli enti conduttori non costituiti sotto forma di persona giuridica [16]. Al momento, nonostante siano più di una decina gli enti conduttori attivi, le procedure sono state affidate a saggi di soli 4  di essi. In ordine di preferenza da parte dell’utenza, si tratta della C.RD.D. - Centro Risoluzione dispute domini e-solv s.r.l. [17], cui sono stati presentati ricorsi per 46 nomi a dominio, della Arbitronline s.r.l. (ricorsi per 6 nomi a dominio [18]), dello studio Bindi (1 procedura). E’ evidente da questi dati come la scelta dell’utenza sia orientata decisamente a favore degli enti costituiti sotto forma di società.

 

Interessante notare come la qualificazione dei saggi inseriti nelle liste dei diversi enti conduttori risulti  elemento determinate nella scelta dell’ente da parte dei ricorrenti rispetto ad ogni altro, anche economico. La C.R.D.D.  è infatti di gran lunga la più prescelta [19], nonostante pratichi le tariffe più altre (2.300.000 oltre iva per un nome a dominio [20]) e nonostante sia quella con la più alta percentuale di ricorsi respinti (circa il 30%) [21].

 

4. Il procedimento.

 

Prima di introdurre un ricorso per la riassegnazione di un nome a dominio, è necessario “contestarlo” presso la Registration Authority.  La contestazione del nome a dominio si effettua inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno alla Registration Authority italiana, nei quali è espressa l’intenzione di contestare il nome a dominio e sono indicati i motivi della contestazione [22]. Ricevuta la lettera di contestazione, la Registration Authority la annota sul data base whois ad accesso pubblico, la comunica all’assegnatario ed invita tutte due le parti a raggiungere un accordo o adire alle procedure di riassegnazione [23].

 

La contestazione del nome a dominio è essenziale non solo perché, in mancanza, la procedura di riassegnazione non può essere iniziata, ma soprattutto perché, una volta contestato, il nome a dominio viene bloccato dalla Registration Authority, ossia non può essere ceduto dall'assegnatario ad altri che non sia chi lo ha contestato [24]. Ciò impedisce che il nome a dominio sia ceduto a terzi nel corso del procedimento, vanificando così l’esito della procedura di riassegnazione.

 

Una volta contestato il nome a dominio, può essere predisposto il ricorso. Le regole di naming non impongono un formulario specifico; il ricorso può quindi essere redatto in forma libera, purché contenga tutti gli elementi previsti dalle procedure di riassegnazione [25].

 

Il costo del procedimento è interamente a carico del ricorrente e deve essere versato al momento dell’invio del ricorso [26]. Il ricorso deve essere inviato via e-mail e in formato cartaceo all’ente conduttore [27], che provvede a sua volta ad inviarlo all’assegnatario del nome a dominio contestato [28]. Questi ha 25 giorni per far pervenire all’ente conduttore eventuali repliche e documenti [29]. Trascorso tale termine, l’ente conduttore nomina un saggio fra quelli della propria lista. Una volta accettato l’incarico, il saggio ha 15 giorni di tempo per rendere la propria decisione [30] che, nel caso sia di accoglimento, viene eseguita dalla Registration Authority non prima di 15 giorni dalla comunicazione da parte dell’ante conduttore. Questo termine è infatti concesso all’assegnatario soccombente per introdurre un eventuale giudizio di merito innanzi alla magistratura ordinaria per bloccare l’esecuzione della decisione e la riassegnazione del nome a dominio [31].

 

Se entro tale termine non emergono elementi tali da bloccare l’esecuzione della procedura, il vincitore viene invitato ad inviare alla Registration Authority la documentazione necessaria all’assegnazione del nome a dominio.

5. Le MAP di ICANN

 

Del tutto simili alle procedure italiane appena descritte sono le MAP [32] predisposte per i domini .com, .net e .org., approvate da ICANN il 29 ottobre 1999 ed operative dal 1 gennaio 2000.

 

Gli enti al momento abilitati da ICANN alla conduzione delle MAP sono quattro [33], che ad oggi hanno già reso oltre 3.000 decisioni [34]. Il procedimento si svolge tutto in lingua inglese, e con alcuni enti può essere svolto interamente per via telematica.

 

Per quanto riguarda gli aspetti sostanziali, le norme di ICANN appaiono più efficaci di quelle italiane, se non altro per la più ampia legittimazione attiva riconosciuta ai ricorrente e per la più ampia gamma di provvedimenti ottenibili.

 

Sotto il primo profilo, ICANN prevede che chiunque possa ricorrere alla MAP per tutelare il proprio diritto al nome a dominio; al contrario, le procedure di riassegnazione italiane, limitano l’esperibilità della procedura ai soli soggetti appartenenti alla Unione europea [35].

 

Sotto il secondo profilo, ICANN prevede come possibile esito della MAP anche la sola cancellazione del nome a dominio contestato [36]; mentre le norme italiane, con disposizione di dubbia legittimità, impongono al ricorrente di registrare a sua volta il nome a dominio contestato [37].

 

Rispetto al procedimento italiano poc’anzi descritto, le MAP di ICANN presentano termini a  carico degli enti conduttori e dei saggi (per la nomina dei saggi o per il deposito della decisione) sostanzialmente pari a quelli delle procedure italiane; mentre i termini concessi alla all’ente di registrazione per dare attuazione alla decisione sono molto più ristretti.

Anche i termini previsti dalle MAP di ICANN a favore del ricorrente sono molto più ristretti di quelli previsti dalle procedure italiane. Al resistente sono concessi dalle MAP 20 giorni per le repliche [38] (rispetto ai 25 previsti dalle procedure italiane [39]) e 10 giorni, a partire dalla decisione, entro i quali nelle MAP il ricorrente può bloccarne l’esecuzione dimostrando di avere introdotto un giudizio ordinario.[40] 

6. Procedura di riassegnazione e giudizio ordinario.

 

Non necessariamente una controversia sottoposta ad una procedura di riassegnazione ha lo stesso esito che avrebbe se sottoposta al giudice ordinario. Infatti, le norme sulla base della quali sono decise le procedure (sia quelle italiane che le MAP di ICANN) da un lato sono principalmente volte a combattere il fenomeno del cybersquatting, dall’altro tengono conto delle peculiarità del ciberspazio in misura maggiore di quanto non facciano le vigenti norme di legge.

 

Sotto il primo profilo, MAP e procedure di riassegnazione hanno come punto focale non tanto l’accertamento del diritto del ricorrente al nome a dominio contestato, quanto piuttosto l’accertamento della buonafede dell’assegnatario nella registrazione e nel mantenimento del nome a dominio. Al contrario, nel giudizio innanzi al magistrato ordinario elemento centrale è invece l’accertamento di un diritto esclusivo della parte attrice sul nome in contestazione; diritto accertato il quale, la circostanza che l’attuale assegnatario abbia registrato il dominio in buona fede assume importanza secondaria, rilevando soltanto in relazione ad una eventuale richiesta di risarcimento del danno.

 

Dunque, nelle MAP e nelle procedure di riassegnazione l’elemento soggettivo del resistente è elemento fondamentale; con la conseguenza che, in mancanza della dimostrazione della malafede nella registrazione e nel mantenimento del nome a dominio, anche chi vanti diritti di esclusiva su un nome a dominio vedrà il suo ricorso respinto.

 

Per quanto riguarda il secondo aspetto, le norme che presiedono alle MAP ed alle procedure di riassegnazione hanno ben presente le peculiarità e la unicità dei  nomi a dominio, nell’ambito dei quali possono trovarsi a concorrere diritti relativi a nomi di persona, oppure di marchi dalla denominazione identica riferiti ad ambiti merceologici o geografici diversi. Pertanto, oltre a valorizzare l’aspetto dell’utilizzo del dominio in buona fede, regole di naming e U.D.R.P prevedono esplicitamente il ricorso ad altri elementi, non sempre altrettanto valorizzati in un giudizio ordinario. Attraverso tali elementi può venire riconosciuto all’assegnatario di un nome a dominio contestato un legittimo titolo a mantenerlo, laddove in un giudizio ordinario gli stessi elementi potrebbero non venire neppure esser presi in considerazione.

 

Pertanto, nelle MAP e nelle procedure di riassegnazione, allorché le parti vantano entrambe astrattamente un titolo alla registrazione del nome a dominio in contestazione, viene applicato l’antico principio “prior in tempore, potior in jure” (o, con dizione inglese oggi più alla moda, “first came, first served”).

 

Riassumendo, nelle procedure di riassegnazione il ricorrente deve dimostrare che il nome a dominio contestato è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui egli vanta diritti, o al proprio nome e cognome, e che il nome a dominio sia stato registrato e venga usato in mala fede. Una volta provato dal ricorrente un proprio diritto sul nome a dominio, spetta al resistente provare di avere a suo volta un concorrente titolo o diritto sul nome a dominio stesso. Se non ci riesce, ed il ricorrente ha assolto agli oneri probatori che su di lui incombono, il dominio viene trasferito a chi lo ha contestato.

Si noti peraltro che le MAP e le procedure di riassegnazione prevedono che il  resistente possa provare alcune circostanze dimostrando l’esistenza delle quali viene dato ingresso ad una presunzione juris et de jure che il resistente stesso abbia titolo al nome a dominio contestato; con la conseguenza che, in applicazione del principio prior in tempore potior in jure, nella concorrenza di più diritti sullo stesso nome a dominio viene preferito quello di chi per primo lo ha registrato.

Le circostanze alla cui prova le regole fanno conseguire la suddetta presunzione di diritto o titolo al nome a dominio a favore del resistente sono: (a) che prima di avere avuto notizia della contestazione il resistente abbia usato o si sia preparato oggettivamente ad usare in buona fede il nome a dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni e servizi; oppure che (b) che il resistente stesso sia conosciuto, personalmente, come associazione o ente commerciale, con il nome corrispondente al nome a dominio registrato, anche se non ne abbia registrato il relativo marchio; oppure (3) che del nome a dominio il ricorrente stia facendo un legittimo uso non commerciale, oppure commerciale senza l'intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato.

7. Conclusioni

Le procedura di riassegnazione e le MAP possono essere una seria alternativa al ricorso alla magistratura ordinaria per chi desideri recuperare in tempi brevi un nome a dominio su cui vanta diritti. I suoi sicuri punti di forza sono, rispetto al giudizio ordinario:

1)                                la rapidità del procedimento, più veloce, nei tempi, di un ricorso per provvedimento cautelare innanzi al giudice);

2)                                la possibilità di ottenere la riassegnazione del nome a dominio laddove la tutela offerta in via cautelare dal giudice ordinario è solo inibitoria),

3)                                la sua economicità (non ci sono spese per marche da bollo, imposte di registro, etc.),

4)                                la competenza delle persone cui sono affidate le decisioni.

Elementi invece che possono indurre alla scelta del giudizio ordinario sono, invece:

A)    la impossibilità, nelle procedure di riassegnazione e nelle MAP, di ottenere una condanna al risarcimento dei danni e delle spese,;

B)     la possibilità che la procedura di riassegnazione (e la relativa spesa) siano resi vani dal ricorso della parte soccombente al giudice ordinario [41]

In conclusione, penso si possa dire che, pur con gli ostacoli e le limitazioni che hanno incontrato, le procedure di riassegnazione si stanno rivelando un interessante e valido strumento per la risoluzione delle dispute relative ai nomi a dominio.

Avv. Enzo Fogliani.


Note:

[1]  Il costo attuale della registrazione di un noma dominio presso la Registration Authority è oggi di lire 9.500 (novemilacinquecento). Il tribunale di Modena, per il solo  I grado della fase cautelare del nome a dominio “bancoposta.it” (Poste italiane c. Malavasi, ordinanza 22 agosto 2000, visibile su https://www.fog.it/giurisprud-inf/or-00-0823-t.htm) ha condannato la parte soccombente al pagamento di oltre lire 11.000.000 (undici milioni) quali spese legali alla parte vittoriosa.

 

[2] Solo in un a caso in esito ad un ricorso ex art. 700 c.p.c. è stato imposto il trasferimento del nome a dominio ma la relativa decisione è stata – giustamente – cassata in sede di reclamo (dominio andala.it, Tiscali / Marcialis, ordinanza trib. Cagliari 23 dicembre 2000, visibile su  https://www.andala.it/ ordinanza.htm);.

 

[3] Sempre il tribunale di Modena, nella citata causa Poste italiane c. Malavasi, dopo aver ribaltato in sede di reclamo la prima ordinanza di rigetto, ha dovuto emettere in corso di causa una terza ordinanza (a quel che risulta, inedita) nella quale ha spiegato e precisato in che termini tecnici dovesse essere eseguita quella precedente.

 

[4] Per i domini .com, .org. e .net, oltre che per alcuni ccTLD geografici, ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, l’ente che governa Internet a livello mondiale) ha introdotto a partire dal 2000 procedure per la risoluzione delle dispute sui nomi a dominio denominate MAP (Mandatory Administrative Proceeding). Per maggiori dettagli, si rinvia a https://www.icann.org

 

[5] Per i domini italiani (quelli sotto ccTLD .it) la Naming Authority italiana ha introdotto nell’estate del 2000 la “Procedure di Riassegnazione dei nomi a dominio”, che sono divenute operative dal settembre 2000.

 

[6] L’elenco completo ed i testi delle  MAP di ICANN sono pubblicate all’indirizzo https://www.icann.org/udrp/proceedings-list.htm; per quelle italiane, la maggior parte si trova all’indirizzo https://www.crdd.it/map/decisioni-crdd.htm

 

[7] Le procedure di riassegnazione sono regolate dagli art. 16 e 17 delle “regole di naming” e dalle “procedure di riassegnazione”. Queste fonti normative vengono modificate di volta in volta dal Comitato esecutivo della Naming Authority, e le varie versioni che si succedono nel tempo sono numerate in versioni. Salva diversa indicazione, la versione cui si fa riferimento è la 3.5, in vigore dal 16 maggio 2001. I testi ufficiali delle regole di naming si trovano sul sito della Naming Authority, all’indirizzo https://www.nic.it/NA. Si consiglia peraltro di consultarle nei testi commentati all’indirizzo https://www.crdd.it/map/normativa.htm, che riporta l’indicazione cronologica delle varie modifiche apportate negli ultimi anni.

 

[8] Art. 16.2, II comma delle regole di naming.

 

[9] Tale dichiarazione è contenuta nella “lettera di assunzione di responsabilità” sulla base della quale viene registrato il nome a dominio. Sulle modalità di  registrazione del nome a dominio e sulla funzione della lettera di assunzione di responsabilità si veda l’art. 13 delle regole di naming.

 

[10] E’ ormai principio acquisito del nostro ordinamento che anche nelle procedure di carattere amministrativo i titolari di un diritto od un interesse qualificato possano essere ammessi a contraddire nell’ambito del procedimento, senza che ciò ne comporti la natura giurisdizionale.

 

[11] Art. 16,.3, III comma delle regole di naming.

 

[12]  Art. 17.2 delle regole di naming.

 

[13] Art. 17.1 delle regole di naming.

 

[14] In Italia esistono una decina di enti conduttori a fronte di circa mezzo milione di nomi a dominio registrati. Per avere un elemento di confronto, basterà osservare che per le MAP di ICANN sono stati abilitati solo 4 enti su circa una trentina di milioni di domini registrati. Il rapporto enti conduttori per domini registrati nei due casi (uno ogni 50.000 in Italia, uno ogni 7.500.000 per ICANN) esime da ogni commento.

 

[15] Art. 1 delle procedure di riassegnazione.

 

[16] Esistono enti conduttori costituiti da studi legali, i cui saggi (ossia le persone cui dovrebbero essere affidate le decisioni) sono legali dello stesso studio.

 

[17] Sito web all’indirizzo: https://www.crdd.it

 

[18] Sito web all’indirizzo: https://www.arbitronline.it

 

[19] Ad oggi 25 maggio 2001 alla C.R.D.D. sono affidate le decisioni per il 90% dei domini sottoposte a procedura di riassegnazione.

 

[20] Alcuni enti conduttori offrono le procedure di riassegnazione per la somma di lire 1.300.000 oltre iva. Se si considera che il 5% di tale somma deve essere devoluto alla Naming Authority italiana, detratte le spese amministrative ci si rende conto che il compenso spettante al saggio che decide la controversia non è di tale entità da garantire l’interesse allo svolgimento di tale funzione per le persone veramente esperte del settore.

 

[21] La circostanza è indice al contempo della serietà e indipendenza dei saggi e della maturità dell’utenza. Dato infatti che l’ente conduttore è scelto dal ricorrente, l’ente conduttore avrebbe tutto l’interesse ad avere il maggior numero di ricorsi accolti e le tariffe più basse per attirare il maggior numero dei ricorrenti. La circostanza che l’ente conduttore più utilizzato dall’utenza sia quello con i prezzi più alti e con la maggior percentuale di ricorsi respinti è indice del fatto che la competenza e la serietà dei saggi sono l’elemento più apprezzato dall’utenza.

 

 [22] Un modello di lettera di contestazione può essere reperito all’indirizzo https://www.crdd.it/map/form-contestaz.htm

[23] Art. 14 delle regole di naming.

 [24] Art. 10, II comma delle regole di naming

 [25] Gli enti conduttori indicano in genere nel loro sito un modulo contenente tutti gli elementi previsti dalle regole di naming. Un esempio può essere visto sul sito della e-solv, all’indirizzo https://www.e-solv.it/map/form-ricorso.htm

 

[26] Art. 19 delle procedure di riassegnazione. All'esito positivo della procedura, il ricorrente potrà  eventualmente adire al giudice ordinario (il giudice di pace) per ottenere la condanna di chi aveva illegittimamente registrato il nome a dominio al rimborso delle spese per il procedimento. Le regole di naming prevedono esplicitamente che il costo della procedura non venga restituito al ricorrente, anche nel caso di successiva rinuncia al ricorso o nel caso in cui la procedura si interrompesse per uno dei casi previsti dalle regole.

 

[27] Art. 3 delle procedure di riassegnazione.

 

[28] Art. 4 delle procedure di riassegnazione.

 

[29] Art. 5 delle procedure di riassegnazione. Il termine, ai sensi dell’art. 14 delle procedure di riassegnazione, è perentorio.

 

[30] Art. 15 delle procedure di riassegnazione.

 

[31] Art. 16.11 delle regole di naming.

 

[32] Le MAP di ICANN sono regolate dalla Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy  (su https://www.icann.org/udrp/udrp-policy-24oct99.htm) e dalle Rules for Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (su https://www.icann.org/udrp/udrp-rules-24oct99.htm).

 

[33] L’elenco degli enti abilitati per la conduzione delle MAP di ICANN si trova su https://www.icann.org/udrp/approved-providers.htm.

 

[34] Per l’elenco completo delle decisioni si veda https://www.icann.org/udrp/proceedings-list.htm

[35] Art. 1 delle Procedure di riassegnazione. Questa norma restrittiva non sembra avere alcuna valida motivazione logica o giuridica. Essa desta più di una perplessità, in quanto priva i soggetti extraeuropei detentori di diritti  su marchi quella tutela inibitoria che pure le convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Stato riconoscono loro. Di fatto, con questa norma il ccTLD viene ad essere una zona franca per i cybersquatter, che possono  impunemente intestarsi domini corrispondenti a marchi di società appartenenti a paesi extracomunitari, le quali non abbiano in Europa licenziatari che possano  registrare nel cc.TLD .it e quindi possano introdurre le procedure di riassegnazione.

[36] Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy, art. 3

 [37] Art. 16.2, II comma, regole di Naming.

 

[38]  Art. 5.a delle Rules for Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy

 

[39] Il termine italiano è più lungo del  25% rispetto a quello delle MAP

[40] Art. 4.k della Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy. L’omologo termine per bloccare l’esecuzione della decisione previsto dalle regole di naming italiane (art. 16.11) è invece lunghissimo: 25 giorni se l’atto introduttivo del giudizio è notificato nella stessa nazione del resistente, ben 45 giorni se è notificato all’estero. In sostanza, l’accaparratore che si sia visto revocare il nome a dominio a favore del legittimo avente diritto ha a sua disposizione un periodo di tempo addirittura superiore a quello massimo previsto per l’intera procedura soltanto per notificare un atto di citazione il cui effetto è quello di bloccare  la decisione.

 [41]  Cosa peraltro raramente verificatasi (ad oggi, 2 volte su 46 domini sottoposti a procedura), in quanto difficilmente un cybersquatter soccombente può poi sperare di avere successo innanzi al giudice ordinario.

Enzo Fogliani