Convegno INDICAM
Domain Names: Opportunità per le imprese, conflittualità nel sistema
Milano, 23 maggio 2001
 


Enzo Fogliani:
Le procedure di riassegnazione in Italia: le prime decisioni.

Premessa.

Sino al dicembre 1999, il ccTLD .it era stato praticamente immune dal cybersquatting. Le regole di naming in vigore fino ad allora prevedevano infatti che potessero registrare domini solo enti pubblici o soggetti italiani dotati di partita iva, con un limite di un nome a dominio per ciascuno. L’accaparramento era quindi estremamente difficoltoso, in quanto ad ogni dominio registrato doveva necessariamente corrispondere un diverso assegnatario.

Nel corso del 1999 il Comitato esecutivo della Naming Authority, di cui a quel tempo ero direttore, predispose le nuove regole di naming (tuttora in vigore, seppur con modifiche non sostanziali), attuando quella liberalizzazione che avrebbe portato in pochi mesi i domini italiani da circa 90 mila a quasi mezzo milione.

La liberalizzazione fu attuata in due direzioni. Da un lato ampliando l’area dei soggetti che potevano registrare sotto il ccTLD .it all’intera Unione europea e permettendo la registrazione dei domini alle persone fisiche, seppur con il limite di uno a testa; dall’altro, consentendo a ciascuno (salvo che alle persone fisiche) la registrazione di un numero illimitato di domini.

Per prevenire le possibilità di cybersquatting il Comitato esecutivo aveva predisposto un Comitato di arbitrazione presso la Naming Authority ed una clausola arbitrale che chi registrava nomi a dominio avrebbe dovuto obbligatoriamente sottoscrivere. Purtroppo, sottoposta all’assemblea della Naming Authority tale norma non fu approvata, così come al momento non furono approvate altre misure per la prevenzione dell’accaparramento.

Il motivo di ciò è piuttosto semplice. La Naming Authority italiana è un organismo democratico, in cui chiunque sia interessato può chiedere di essere ammesso. Di conseguenza, anche coloro che in seguito avrebbero posto in pratica l’accaparramento avevano (ed hanno) diritto a far parte della Naming Authority e a votare al suo interno; e in tale occasione riuscirono a far sì che alla liberalizzazione non venisse accompagnata alcuna efficace norma contro l’accaparramento.

Allo scoccare del 16 dicembre 1999, data di inizio del nuovo corso, la Registration Authority fu letteralmente sommersa da richieste di registrazione di nuovi nomi a dominio, delle quali gran parte avanzate da pochi soggetti nell’ambito di un ben preciso disegno di cybersquatting. Il fenomeno assurse agli onori della cronaca (oltre 17.000 nomi a dominio facenti capo allo stesso soggetto!) e fornì lo spunto per la presentazione del progetto di legge Passigli, il cui scopo, al di là della eliminazione del cybersquatting mediante pene draconiane, era poi sostanzialmente quello di far rientrare in ambito governativo la gestione di Internet in Italia e trasformare la Registration Authority in una amministrazione pubblica a tutti gli effetti

Il Comitato esecutivo della Naming Authority corse quindi ai ripari, e, dopo non brevi discussioni, decise di introdurre anche in Italia quelle procedure amministrative obbligatorie (MAP) che ICANN aveva da pochi mesi implementato per i g.TLD .com, .net e .org.

Le procedure italiane, rinominate “procedure di riassegnazione”, si ispirano in larga parte alle MAP di ICANN, di cui sono per alcune parti la traduzione testuale. Purtuttavia, anche in questa occasione si sono verificati sul testo inizialmente proposto interventi in sede di approvazione che ne hanno ridotto l’efficacia rispetto all’originale modello ICANN.

Le norme che prevedono le procedure di riassegnazione sono entrate in vigore il 28 luglio 2000. I primi enti conduttori hanno cominciato ad operare nel settembre 2000, e da ottobre sono state rese le prime decisioni.

Natura delle procedure di riassegnazione.

Come la MAP di ICANN, la procedura di riassegnazione italiana “non ha natura giurisdizionale, e come tale non preclude alle parti il ricorso, anche successivo, alla magistratura o all’arbitrato” (art. 16.2, II comma delle regole di naming).

Essa si inserisce funzionalmente nell’ambito procedimentale della registrazione, e più precisamente  nell’ambito della verifica del titolo alla richiesta del nome a dominio. In altre parole, la procedura tende ad accertare la rispondenza al vero della dichiarazione, contenuta nella lettera di assunzione di responsabilità, con la quale il richiedente il nome a dominio dichiara “di avere titolo all’uso e/o disponibilità giuridica del nome a dominio richiesto e di non ledere con tale richiesta di registrazione diritti di terzi”.

La circostanza che questo tipo di verifica sia svolto non d’ufficio, ma su sollecitazione ed in contraddittorio con un soggetto che assume leso un proprio diritto non muta la natura della procedura, che rimane pur sempre di tipo amministrativo; essendo ormai principio fondamentale del nostro ordinamento che anche nelle procedure di carattere amministrativo i titolari di un diritto od un interesse qualificato siano ammessi a contraddire nell’ambito del procedimento, senza che ciò ne comporti la natura giurisdizionale. La miglior conferma di ciò è nel fatto che la procedura italiana – come le MAP di ICANN – non può essere intrapresa in pendenza di giudizio o di arbitrato sul nome a dominio contestato, e si interrompe nel caso un giudizio ordinario sia intrapreso durante il suo corso.

Le norme  sulle procedure di riassegnazione hanno quindi carattere meramente procedimentale; vincolano tutti gli assegnatari dei domini sotto il ccTLD .it in virtù del richiamo dinamico alle regole di naming contenuto nella lettera di assunzione di responsabilità,  richiamo che assoggetta l’assegnatario alle regole di naming ed alle future loro modifiche. Come regole di carattere procedimentale, sulla base del principio “tempus regit actum” si applicano nella versione in vigore al momento del procedimento, indipendentemente dal momento in cui il nome a dominio è stato registrato o è stato sottoposto a contestazione.

Gli enti conduttori.

Le procedure di riassegnazione sono gestite dagli “enti conduttori”, soggetti che fungono da “cancelleria” per i saggi cui sono affidate le procedure di riassegnazione. Gli enti conduttori sono abilitati alla gestione delle procedure dal presidente della Naming Authority, previa verifica dell’esistenza di una lista di almeno 15 “saggi” disponibili a rendere le decisioni nelle procedure, di un sito web su cui pubblicarle, di una stabile organizzazione per gestirle.

Gli enti conduttori sono uno degli elementi nei quali le modifiche apportate al testo originariamente presentato al Comitato esecutivo hanno avuto incidenza  negativa. Anzitutto, l’originale proposta secondo cui potessero essere enti conduttori solo “persone giuridiche pubbliche o private” è stata modificata prevedendo quali enti conduttori anche gli “studi professionali”. Il che significa che anche un veterinario (senza nulla voler togliere ai veterinari) potrebbe un giorno svegliarsi, trovare 15 colleghi che si dichiarino esperti in diritto dei marchi o dell’informatica, e mettere in piedi un ente conduttore.

 

A ciò aggiungasi che l’interpretazione data alla norma dall’attuale presidente della Naming Authority è stata estremamente ampia, nel senso di ritenere esistente un diritto soggettivo ad essere abilitato quale ente conduttore in presenza di requisiti richiesti. Il risultato è che esistono oggi in Italia oltre una decina di enti conduttori abilitati alla gestione delle procedure di riassegnazione, a fronte di mezzo milione di nomi a dominio registrati. Per avere un elemento di confronto, basterà osservare che per le MAP di ICANN sono stati abilitati solo 4 enti su circa una trentina di milioni di domini registrati. Il rapporto enti conduttori per domini registrati nei due casi (uno ogni 50.000 in Italia, uno ogni 7.500.000 per ICANN) esime da ogni commento.

Fortunatamente l’utenza sembra aver reagito in modo molto maturo a questa situazione. Al momento, della decina di enti conduttori attivi, i saggi di soli 4 enti conduttori si sono spartiti le procedure di riassegnazione ad oggi effettuate o in corso. Si tratta della C.RD.D. (Centro Risoluzione dispute domini e-solv s.r.l.), della Arbitronline s.r.l., dello studio Fogliani (attivo come ente conduttore solo nei mesi di ottobre 2000) e dello studio Bindi. L’esame dei nomi a dominio contestati presso questi enti rivela poi come la scelta del mercato sia prevalentemente volta verso gli enti costituiti sotto forma di società piuttosto che per gli studi professionali. Ad oggi 23 maggio 2001, salvo errore, risultano affidate ai saggi della C.R.D.D. contestazioni di 45 nomi a dominio; 7 sono stati affidati ad Arbitronline; 3 allo studio Fogliani (ora non più attivo), 1 allo studio Bindi.

Interessante notare come la qualificazione dei saggi inseriti nelle liste dei diversi enti conduttori risulti  elemento determinate nella scelta dell’ente da parte dei ricorrenti rispetto all’elemento economico. La C.R.D.D.  è infatti di gran lunga la più prescelta, nonostante pratichi le tariffe più care (2.300.000 oltre iva per un nome a dominio) e nonostante sia quella con la più alta percentuale di ricorso respinti.

Il procedimento.

La procedura di riassegnazione italiana è sostanzialmente improntata a quella delle MAP di ICANN, rispetto alle quali ha in più l’elemento della previa contestazione presso la Registration Authority.  La contestazione del nome a dominio  si attua mediante invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno alla Registration Authority italiana, redatta secondo quanto previsto dall'art. 14 delle regole di naming, con la quale chi ritiene di avere diritto ad un nome a dominio registrato da altri comunica la sua intenzione di contestarlo. Ricevuta la contestazione, la Registration Authority la annota sul data base whois ad accesso pubblico, la comunica all’assegnatario ed invita tutte due le parti a raggiungere un accordo o adire alle procedure di riassegnazione.

La contestazione del nome a dominio è particolarmente importante non solo in quanto, in mancanza, la procedura di riassegnazione non può essere iniziata, ma anche perché, una volta contestato, il nome a dominio viene bloccato, ossia non può essere ceduto dall'assegnatario ad altri che non sia chi lo ha contestato (art. 10, II comma delle regole di naming). Ciò consente di evitare che il nome a dominio sia ceduto a terzi nel corso del procedimento, vanificando così l’esito della procedura di riassegnazione.

Una volta contestato il nome a dominio, può essere predisposto il ricorso. Le regole di naming non impongono un formulario specifico; il ricorso può quindi essere redatto in forma libera, purché contenga tutti gli elementi previsti dalle procedure di riassegnazione. Gli enti conduttori indicano in genere nel loro sito un modulo contenente tutti gli elementi previsti dalle regole di naming.

Come le MAP di ICANN, anche le procedure italiane prevedono la possibilità per il ricorrente di scegliere fra un collegio uninominale ed un collegio di tre saggi; soluzione questa che si è verificata per ora solo una volta (procedura per il dominio dominio esicuro.it).

Il costo del procedimento è sostenuto interamente dal ricorrente e deve essere versato anticipatamente. All'esito positivo della procedura, il ricorrente potrà  eventualmente adire al giudice ordinario (il giudice di pace) per ottenere la condanna di chi aveva illegittimamente registrato il nome a dominio al rimborso delle spese per il procedimento. Le regole di naming prevedono esplicitamente che il costo della procedura non venga restituito al ricorrente, anche nel caso di successiva rinuncia al ricorso o nel caso in cui la procedura si interrompesse per uno dei casi previsti dalle regole.

Il ricorso deve essere inviato via e-mail e in formato cartaceo all’ente conduttore, che provvede a sua volta ad inviarlo all’assegnatario del nome a dominio contestato. Questi ha 25 giorni per far pervenire eventuali repliche e documenti. Trascorso tale termine, l’ente conduttore nomina un saggio fra quelli della propria lista. Una volta accettato l’incarico, il saggio ha 15 giorni di tempo per rendere la propria decisione che, nel caso sia di accoglimento, viene eseguita dalla Registration Authority non prima di 15 giorni dalla comunicazione da parte dell’ante conduttore. Questo termine è infatti concesso all’assegnatario soccombente per introdurre un eventuale giudizio di merito innanzi alla magistratura ordinaria per bloccare l’esecuzione della decisione e la riassegnazione del nome a dominio.

Se entro tale termine non vengono portati all’attenzione della Registration Authority elementi tali da bloccare l’esecuzione della procedura, il vincitore viene invitato dalla Registration Authority stessa la documentazione necessaria all’assegnazione del nome a dominio.

Procedura di riassegnazione e giudizio ordinario.

Un aspetto che appare opportuno evidenziare a chi debba decidere se introdurre o meno una  procedura di riassegnazione è che non necessariamente una controversia sottoposta al giudizio di un saggio ha lo stesso esito che avrebbe se sottoposta alla magistratura ordinaria.

Infatti, le norme sulla base della quali sono decise le procedure (sostanzialmente coincidenti con quelle delle MAP di ICANN) da un lato sono principalmente volte a combattere il fenomeno del cybersquatting, dall’altro tengono conto delle peculiarità del ciberspazio in misura maggiore di quanto non facciano le vigenti norme di legge.

Sotto il primo profilo, MAP e procedure di riassegnazione hanno come punto centrale non tanto il diritto del ricorrente sul nome a dominio contestato, quanto la buona fede dell’assegnatario nella registrazione e nel mantenimento del nome a dominio. Mentre in un giudizio ordinario, una volta che il ricorrente abbia dimostrato un proprio diritto esclusivo sul nome a dominio, la mala fede dell’assegnatario ha importanza relativa (rilevando soltanto in relazione ad una eventuale richiesta di risarcimento del danno), nelle MAP e nelle procedure di riassegnazione l’elemento soggettivo del resistente è elemento fondamentale. Con la conseguenza che, in mancanza della dimostrazione della malafede nella registrazione e nel mantenimento del nome a dominio, anche chi vanti diritti di esclusiva su un nome a dominio vedrà il suo ricorso respinto.

Sotto il secondo profilo, MAP e procedure di riassegnazione hanno ben presente le peculiarità e la unicità dei  nomi a dominio, nell’ambito dei quali possono trovarsi a concorrere diritti relativi a nomi di persona, oppure di marchi dalla denominazione identica riferiti ad ambiti merceologici o geografici diversi.

Anche in questo caso, oltre a valorizzare l’utilizzo del dominio in buona fede, le regole prevedono esplicitamente il ricorso ad altri elementi, non sempre presi in considerazione in un giudizio ordinario. Di fronte a più diritti concorrenti sullo stesso nome a dominio viene applicato l’antico principio “prior in tempore, potior in jure” (o, con dizione inglese oggi più alla moda, “first came, first served”).

 

In breve, nelle procedure di riassegnazione il ricorrente deve dimostrare che il nome a dominio contestato è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui egli vanta diritti, o al proprio nome e cognome, e che il nome a dominio sia stato registrato e venga usato in mala fede. Una volta provato dal ricorrente un proprio diritto sul nome a dominio, spetta al resistente provare di avere a suo volta un concorrente titolo o diritto sul nome a dominio stesso. Se non ci riesce, ed il ricorrente ha assolto agli oneri probatori che su di lui incombono, il dominio viene trasferito a chi lo ha contestato.
 

Si noti peraltro che le MAP e le procedure di riassegnazione prevedono che il  resistente possa provare alcune circostanze dimostrando l’esistenza delle quali viene dato ingresso ad una presunzione juris et de jure che il resistente stesso abbia titolo al nome a dominio contestato; con la conseguenza che, in applicazione del principio prior in tempore potior in jure, nella concorrenza di più diritti sullo stesso nome a dominio viene preferito quello di chi per primo lo ha registrato.
 

Le circostanze alla cui prova le regole fanno conseguire la suddetta presunzione di diritto o titolo al nome a dominio a favore del resistente sono: (a) che prima di avere avuto notizia della contestazione il resistente abbia usato o si sia preparato oggettivamente ad usare in buona fede il nome a dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni e servizi; oppure che (b) che il resistente stesso sia conosciuto, personalmente, come associazione o ente commerciale, con il nome corrispondente al nome a dominio registrato, anche se non ne abbia registrato il relativo marchio; oppure (c) che del nome a dominio il ricorrente stia facendo un legittimo uso non commerciale, oppure commerciale senza l'intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato.
 

MAP e procedure di riassegnazione
 

Come dicevo, le differenze fra le procedure di riassegnazione e le MAP di ICANN cui sono ispirate non sono molte; ma alcune di esse hanno carattere sostanziale, e derivano chiaramente da una certa ostilità che in alcuni ambienti della Naming Authority l’introduzione degli strumenti contro il cybersquatting ha avuto. Queste differenze, infatti, sono tutte nel senso di rendere la procedure di riassegnazione italiane, rispetto alle MAP di ICANN, più gravose per gli enti conduttori, molto garantiste per i resistenti, ed accessibili soltanto ad una ristretta cerchia di soggetti.
 

Sotto il primo aspetto, si nota immediatamente che nelle procedure italiane i termini a  carico degli enti conduttori e dei saggi (per la nomina dei saggi o per il deposito della decisione) sono più ristretti di quelli previsti dalle MAP. Al contrario, i termini concessi alla Registration Authority per dare attuazione alla decisione sono estremamente ampi, in quanto essa non è tenuta a dar esecuzione alla decisione prima che siano trascorsi almeno 15 giorni dalla decisione (pari, si noti, al tempo concesso al saggio per studiare e redigere la controversia).
 

Anche i termini a favore del ricorrente sono molto più ampi di quelli previsti dalle MAP. Al resistente sono concessi 25 giorni per le repliche anzichè 20 (termine del 25% in più rispetto alle MAP) ed un lunghissimo termine per bloccare l’esecuzione della decisione. Rispetto ai 10 giorni entro i quali nelle MAP il ricorrente può bloccare l’esecuzione di una decisione dimostrando di avere introdotto un giudizio ordinario, nelle procedure italiane tale termine è di fatto allungato a 25 giorni se l’atto introduttivo del giudizio è notificato nella stessa nazione del resistente, a in ben 45 giorni se è notificato all’estero.
 

Si tratta di norme ipergarantistiche che non sembrano avere giustificazione alcuna. Basti pensare che l’accaparratore che si sia visto revocare il nome a dominio a favore del legittimo avente diritto ha a sua disposizione un periodo di tempo addirittura superiore a quello massimo previsto per l’intera procedura soltanto per notificare un atto di citazione il cui effetto è quello di bloccare  la decisione.

Ma il maggiore motivo di perplessità nelle procedure italiane è indubbiamente quello relativo alle ingiustificate limitazioni nella legittimazione attiva e nei provvedimenti richiedibili ai saggi nelle proprie decisioni.
 

Le MAP di ICANN prevedono infatti che chiunque possa far ricorso ad esse, e che il ricorrente possa richiedere, a sua scelta, o la cancellazione o la riassegnazione del nome a dominio contestato. Questa era anche il testo originario delle procedure di riassegnazione italiane nel testo approvato nel luglio 2000 dal comitato esecutivo della Naming Authority. Senonchè, alla prima decisione in cui un saggio ha accordato la sola revoca di un nome a dominio ad una società statunitense (che, in quanto tale, non poteva ottenere la registrazione di un nome a dominio nel ccTLD .it) la Registration Authority si è rifiutata di eseguire la decisione (decisione mastercard.it, su https://www.crdd.it/decisioni/mastercard.htm), rifacendosi ad una diversa interpretazione delle norme che, a suo dire, in quanto procedure di “riassegnazione” avrebbero potuto avere come esito il solo trasferimento del nome a dominio.
 

Tale interpretazione è stata in seguito fatta propria dal comitato esecutivo della Naming Authority, che alla riunione del 27 aprile 2001 (cui sedevano 2 rappresentanti della Registration Authority su sette votanti), ha modificato le regole di naming negando esplicitamente ai soggetti esterni alla Unione europea la legittimazione ad iniziare le procedure, ed escludendo esplicitamente la possibilità di chiedere la sola revoca.
 

Nessuna motivazione logica o giuridica è stata data a questa sconcertante decisione, che priva i soggetti extraeuropei detentori di diritti  su marchi quella tutela inibitoria che pure le convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Stato riconoscono loro. Di fatto, questa decisione costituisce una zona franca per i cybersquatter italiani, che possono oggi impunemente intestarsi domini corrispondenti a marchi di società appartenenti a paesi extracomunitari, le quali non abbiano in Europa licenziatari che possano  registrare nel cc.TLD .it e quindi possano introdurre le procedure di riassegnazione.
 

Si tratta di decisione con basi essenzialmente politiche. Non bisogna infatti dimenticare la fondamentale circostanza per la quale i cybersquatter in ogni caso hanno registrato  le loro decine di migliaia di domini presso la Registration Authority italiana attraverso maintainer, versando all’una e agli altri (tutti membri della Naming Authority) i relativi corrispettivi per la registrazione. Ma questo è ovviamente un discorso che travalica i confini della presente relazione.
 

Conclusioni
 

Tirando le somme, la procedura di riassegnazione appare una seria alternativa al ricorso alla magistratura ordinaria per chi desideri recuperare in tempi brevi un nome a dominio su cui vanta diritti. I suoi sicuri punti di forza sono, rispetto al giudizio ordinario, la rapidità del procedimento (più veloce, nei tempi, di un ricorso per provvedimento cautelare innanzi al giudice ordinario), la possibilità di ottenere la riassegnazione del nome a dominio (laddove la tutela offerta in via cautelare dal giudice ordinario è solo inibitoria), la sua economicità (non ci sono spese per marche da bollo, imposte di registro, etc.), la competenza delle persone cui sono affidate le decisioni. Punti deboli, la impossibilità di ottenere nell’ambito della procedura una condanna al risarcimento dei danni e delle spese, e la possibilità che il procedimento (e la relativa spesa) siano resi vani dal ricorso della parte soccombente al giudice ordinario. Cosa peraltro raramente verificatasi (un paio di volte su una cinquantina di domini sottoposti a procedura), in quanto difficilmente un cybersquatter soccombente può poi sperare di avere successo innanzi al giudice ordinario.
 

In conclusione, penso si possa dire che, pur con gli ostacoli e le limitazioni che hanno incontrato, le procedure di riassegnazione si stanno rivelando un interessante e valido strumento per la risoluzione delle dispute relative ai nomi a dominio.
 

Avv. Enzo Fogliani.