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Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Livorno

 

9 novembre 2006, Palazzo di Giustizia, “Sala degli Specchi”, Livorno

 

 

Il nuovo Codice della nautica da diporto: aspetti evolutivi

a cura di Aniello Raiola

 

 

Di un codice per la nautica da diporto si parlava sin dagli anni '90, anni in cui una tempesta di leggi e decreti si era abbattuta sul settore con l’intento di semplificare, ma di fatto con l’effetto deleterio di una stratificazione legislativa che aveva reso la materia un groviglio inestricabile persino per gli addetti ai lavori.

Semplificazione è stato il termine sintetico utilizzato per indicare un processo di specializzazione del settore ovvero di “prudente” distacco da un codice – il codice della navigazione – nato per ben altri scopi e all’insegna di una cultura mercantile e statalista imperante nel 1942, dalle sue procedure troppo lente e farraginose per un settore così dinamico e giovane come il diporto nautico, che aveva (e continua ad avere) tutt’altri presupposti ed esigenze rispetto alla navigazione commerciale.

L’intento “semplificatore” del legislatore degli anni '90 era stato, invero, compromesso dalla frammentarietà e disorganicità degli interventi normativi, tanto da far nascere quasi immediatamente l’esigenza unanime degli utenti e degli operatori del ramo di un testo di legge unico, che garantisse coordinamento delle varie norme affastellatesi col tempo, organicità normativa e, perciò, accessibilità a tutti.

L’occasione giusta è sorta nel luglio del 2003 quando il Parlamento – con l’articolo 6 della legge 8 luglio 2003, n. 172 – ha delegato il Governo ad adottare entro il 29 luglio dell’anno successivo un decreto legislativo contenente tutte le disposizioni legislative sulla nautica da diporto. I lavori preparatori sono durati circa un anno e l’iter di approvazione si è dimostrato più complesso del previsto, tanto da richiedere una proroga della delega al 29 luglio 2005. Infatti, il Codice è passato per due delibere preliminari del Consiglio dei Ministri (15 ottobre 2004 e 20 maggio 2005), il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni (3 marzo 2005), il duplice parere delle Commissioni parlamentari competenti e, finalmente, la delibera definitiva del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 1° luglio 2005.

I tempi tecnici della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale si sono protratti fino al 31 agosto e l’entrata in vigore è avvenuta il 15 settembre 2005, con ciò evitando che il Codice piombasse “a ciel sereno” nel bel mezzo dell’estate, come purtroppo è accaduto in passato per alcuni provvedimenti inerenti al diporto.

Scendendo nei dettagli, il Codice si compone di 67 articoli e 16 allegati. Questi ultimi sono tutti di natura tecnica ed attengono alla progettazione e costruzione di natanti e imbarcazioni munite di marcatura CE di conformità, salvo il XVI che contiene la nuova tabella dei tributi in materia di nautica da diporto.

Innanzi tutto, è bene chiarire il significato del termine “codice” utilizzato dal legislatore del 2003. E per fare ciò, bisogna risalire alla Legge di semplificazione 2001 (legge 29 luglio 2003, n° 229).

Sin dall’inizio della XIV legislatura era emersa l’intenzione dell'esecutivo di proseguire sì la politica di semplificazione intrapresa nel decennio precedente, ma di farlo con una diversa strumentazione normativa. La legge di semplificazione 2001 delineava, infatti, un nuovo modello, definito non più di “riordino” ma di “riassetto” normativo, destinato a realizzarsi con l’emanazione non di testi unici, bensì di veri e propri codici, che costituivano inevitabilmente l’occasione per l’introduzione di riforme settoriali di notevole impatto, vale a dire che non si limitavano ad apportare modifiche di coordinamento formale, ma, anzi, erano chiamati a compiere interventi di tipo sostanziale sulla legislazione che riunificavano.

Il testo unico in passato si è confermato in più occasioni un efficace sistema di contrasto all’inflazione delle leggi nonché un agile strumento che, concepito per rendere il tessuto normativo su cui va ad incidere più coerente nel suo complesso ed in sintonia con il diritto vivente e con l’evolversi dei principi e dei valori dell’ordinamento, mira a facilitare l’applicazione della normativa vigente.

Queste sono le indubbie virtù dei testi unici, ma nel caso in esame non solo queste, perché se per i testi unici sino ad ora adottati nel nostro ordinamento non era certa la loro natura di fonte di cognizione ovvero di produzione, vale a dire se dovessero limitarsi al coordinamento solo formale delle disposizioni vigenti o se potessero anche apportare innovazioni sostanziali alla legislazione che riunificavano, al testo unico in materia di nautica da diporto mal si attaglia la connotazione di “compilativo”.

Sul punto si ritiene di poter affermare che appare netta la differenziazione del codice sulla nautica da diporto dagli altri testi unici. Sono entrambi raggruppamenti sistematici di norme, ma solo il primo si pone come autonoma fonte del diritto.

Non a caso la IX Commissione permanente della Camera (Commissione trasporti) ha emendato l’espressione testo unico - contenuta nell'art. 6 della legge n. 172 - in codice, recependo l’osservazione formulata dal Comitato per la legislazione, che invitava a coordinare la norma di delega (l’articolo 6) con le procedure previste dal disegno di legge di semplificazione per il 2001 (poi diventato legge n. 229/2003), che prevedeva l’adozione di decreti legislativi denominati per l’appunto codici e non testi unici.

Pertanto, la funzione del codice in esame è duplice:

· da un lato, raccogliere e coordinare le numerose e frammentarie disposizioni stratificatesi nel corso degli anni nella materia, in modo da facilitarne il reperimento e la consultazione da parte degli operatori e degli utenti;

· dall’altro, esprimere un marcato tasso di innovatività per snellire le procedure, ridurre i tempi sovrabbondanti ed elidere fasi e organi superflui, così operando una selezione ed una riorganizzazione del già vigente quadro normativo.

In merito alla prima funzione, non bisogna illudersi troppo, perché il Codice non contiene proprio tutta la produzione normativa sulla nautica. Restano disciplinate a parte in appositi regolamenti alcune materie:

· la sicurezza della navigazione (per ora restano in vigore il regolamento di sicurezza n. 478/99 e, per le navi da diporto, il vecchio regolamento n. 232/94, mentre sarà emanato a breve il regolamento di attuazione del Codice, che conterrà, oltre ai due citati regolamenti, le norme di sicurezza per unità impiegate in attività di noleggio o come appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo);

· i titoli professionali del diporto per le unità adibite al noleggio e per le navi da diporto (il relativo regolamento è stato approvato con decreto ministeriale 10 maggio 2005, n. 121);

· la disciplina delle patenti nautiche (rimane per ora in vigore la normativa del D.P.R. n. 431/97, mentre a breve la materia sarà compresa nel regolamento di attuazione del Codice);

· le procedure amministrative non disciplinate dal Codice, come le modalità di iscrizione delle navi da diporto e delle imbarcazioni autocostruite, l’esecuzione della pubblicità, i trasferimenti da un registro all’altro, il rinnovo dei documenti di navigazione, la cancellazione delle unità dai registri, il rilascio delle autorizzazioni alla navigazione temporanea (saranno oggetto del citato regolamento di attuazione).

Quanto alla seconda funzione del Codice, occorre esaminare singolarmente le innovazioni principali da esso apportate, seguendo la successione dell'articolato codicistico.

 

1)          Art. 2

 

Il Codice, innanzi tutto, riconosce pienamente e giuridicamente l’uso “commerciale” delle unità da diporto. Infatti, l’art. 2 stabilisce che tali unità possono essere oggetto di contratti di locazione e di noleggio oppure possono essere utilizzate per scopi di scuola nautica (insegnamento professionale della navigazione da diporto) o di diving (come unità appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo).

Fino al 2005, la qualificazione della navigazione da diporto come quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi senza fini di lucro, aveva impedito il riconoscimento a pieno titolo dell’uso commerciale delle unità da diporto, vale a dire che locazione e noleggio erano legittimi e perciò praticati, ma pur sempre eccezioni alla regola. Il Codice, prendendo atto della realtà, riconosce due specie di diporto: il diporto c.d. “puro” e quello “commerciale”.

Inoltre, nell’intento di una sempre maggiore professionalizzazione del settore, viene introdotto - solo per locazione e noleggio - un principio di esclusività di utilizzo, per cui le unità impiegate per locazione e noleggio non possono essere contemporaneamente utilizzate per usi non commerciali ovvero per diporto “puro”.

Infine, viene disciplinata l’attività commerciale svolta in Italia con unità battenti bandiera di un paese dell’Unione europea.

A questo punto, occorre ricordare che, con la circolare n. 36416 del 12 aprile 2006, il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha posto alla Direzione generale per la navigazione e il trasporto marittimo e interno una lunga serie di quesiti sull’interpretazione del Codice della nautica da diporto, proponendo soluzioni che, nella quasi totalità, la predetta Direzione generale, con circolare n. 1268 del 31 maggio 2006, ha condiviso.

I due atti ministeriali - che citeremo spesso nel prosieguo - sono serviti a chiarire molti dubbi interpretativi e hanno contribuito a radicare univoci comportamenti su tutto il territorio nazionale per la coerente esecuzione del Codice della nautica e in attesa del regolamento di attuazione.

In materia di uso commerciale, ad esempio, si ponevano due quesiti.

a)                      L’unità da diporto utilizzata a fini commerciali può essere dedicata a più attività commerciali tra quelle elencate nell’articolo 2 del Codice?

A parere del Comando generale e della suddetta Direzione generale, nulla osta a tale destinazione commerciale plurima, limitando il comma 4 dell’articolo 2 soltanto la destinazione ad uso promiscuo - commerciale e diportistico puro - delle unità adibite a noleggio e/o locazione.

b)                      Le scuole nautiche che utilizzano, ai fini dell’insegnamento, imbarcazioni da diporto in forza di contratti di locazione, devono procedere a dichiarazione d’armatore?

Secondo il Comando generale, la scuola nautica non può utilizzare l’imbarcazione a scopi di insegnamento se non diventandone formalmente armatrice.

La Direzione generale, questa volta, si è mostrata di diverso avviso, stabilendo - per ragioni di semplificazione - che se il contratto di locazione lo prevede, la scuola nautica può impiegare l’unità per insegnamento, ma senza procedere obbligatoriamente a dichiarazione d’armatore.

 

2)          Artt. da 4 a 13

 

Solo un cenno merita, in quanto squisitamente tecnica, una parte ponderosa del Codice (dall’art. 4 all’art. 13 e dall’allegato I all’allegato XV), che è dedicata all’armonizzazione con la normativa comunitaria. Essa contiene la direttiva 94/25/CE sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri riguardanti le imbarcazioni e i natanti da diporto (già recepita in Italia con il decreto legislativo n. 436/1996) e, allo stesso tempo, recepisce la direttiva 2003/44/CE del 16 giugno 2003, che ha modificato parzialmente la precedente direttiva. La materia trattata è in parte già nota (progettazione e costruzione di unità da diporto, marcatura CE di conformità, etc.), in parte del tutto nuova (motori da diporto, doppia alimentazione a benzina e a gas ed emissioni di gas di scarico nonché acustiche).

 

3)          Artt. 15, comma 3, 19 e 20

 

Quanto alle immatricolazioni delle unità da diporto, il Codice (art. 20) conferma le facilitazioni previste per le imbarcazioni nuove dalla legge n. 172/2003 ovvero coesistono attualmente due tipi di immatricolazione: una ordinaria, che richiede il titolo di proprietà perfezionato e registrato in una delle forme prescritte (atto pubblico, scrittura privata con firme autenticate, dichiarazione unilaterale di vendita con firma autenticata o sentenza); ed una per così dire “agevolata”, l’iscrizione provvisoria valida 6 mesi, che avviene con la semplice copia della fattura nelle more del perfezionamento e della registrazione del titolo di proprietà.

La seconda è una vera e propria iscrizione sottoposta a condizione risolutiva, in quanto il comma 3 dell’art. 20 stabilisce che decorsi 6 mesi senza che sia stato presentato il titolo di proprietà, l’iscrizione si ha per non avvenuta.

Per l’immatricolazione delle navi da diporto il Codice non si pronuncia, motivo per il quale non ci resta che applicare, in attesa del regolamento di attuazione, l’art. 315 del regolamento di esecuzione del codice della navigazione, che richiede per l’iscrizione l’estratto del registro delle navi in costruzione o un titolo di proprietà nelle forme prima descritte più il certificato di stazza.

Il Codice della nautica (art. 19) ha poi voluto semplificare il trasferimento nei registri nazionali, delle imbarcazioni usate iscritte in registri di Stati membri dell’Unione europea, sostituendo in questo caso al titolo di proprietà e alla documentazione tecnica il certificato di cancellazione dal registro comunitario di provenienza (purché da esso risultino le generalità del proprietario e i dati tecnici dell’unità), come se fosse un semplice trasferimento di ufficio di iscrizione.

Ed ancora, in questa materia, si è riconosciuto giuridicamente (art. 15) il fenomeno delle imbarcazioni autocostruite ovvero quelle unità costruite per uso personale e senza l’ausilio di impresa, cantiere o costruttore professionale, consentendone l’immatricolazione con una procedura che verrà disciplinata dal regolamento di attuazione.

 

4)          Artt. 15, comma 4, 17, comma 2, e 24, comma 2

 

In tema di pubblicità navale, nasce un istituto già noto al settore automobilistico (art. 15): la perdita di possesso.

Fino al 2005, il proprietario di un’imbarcazione oggetto di furto non aveva modo di cancellarla dal registro di iscrizione e neanche di informare chiunque ne avesse interesse che l’unità non era più in suo possesso. Con detto istituto si pone fine alla grave lacuna - cui si sopperiva con la cancellazione per perdita presunta -, prevedendo l’annotazione (sui registri navali) della perdita di possesso, a richiesta del proprietario e dietro presentazione della denuncia di furto nonché restituzione della licenza di navigazione all’ufficio di iscrizione.

Sempre in questa materia, con l’intento di abbattere i tempi necessari per compiere le formalità relative alla trascrizione e quelle inerenti al rinnovo della licenza di navigazione, il Codice (artt. 17, comma 2, e 24, comma 2) introduce uno strumento agile, la “ricevuta” dell’avvenuta presentazione della documentazione prescritta, che sostituisce a tutti gli effetti (per venti giorni) il documento di bordo trattenuto dall’ufficio e consente all’utente di continuare a navigare in attesa della definizione della pratica amministrativa (che, tra l’altro, non può protrarsi oltre i venti giorni, come disposto dall'art. 58).

 

5)          Artt. 16, 40, comma 2, e 53, comma 5

 

Altro elemento di novità sostanziale è costituito dal riconoscimento e dal risalto dato dal Codice ad una particolare forma di acquisto delle unità da diporto, notevolmente sviluppatasi in Italia negli ultimi anni: il leasing nautico. Basti pensare che se fino a qualche anno fa si parlava di “leasing alla francese” in campo nautico, oggi si parla più diffusamente di “leasing all’italiana” grazie ad intelligenti norme fiscali che hanno determinato uno sviluppo senza precedenti non solo delle aziende di leasing nautico, ma dell’intero comparto della nautica da diporto.

Il Codice, a questo proposito, velocizza le formalità previste per l’iscrizione delle unità oggetto di leasing, sopprimendo la macchinosa procedura della dichiarazione d’armatore prima a carico dell’utilizzatore-acquirente del mezzo nautico. Ora, con l’articolo 16 è sufficiente annotare sul registro navale e sulla licenza di navigazione il nome dell’utilizzatore accanto a quello della società di leasing proprietaria del mezzo, nonché la data di scadenza del contratto.

Ed ancora in questa materia, il Codice esonera il proprietario del mezzo nautico (la società di leasing) da ogni responsabilità in caso di violazioni che prevedono sanzioni amministrative pecuniarie (art. 53), nonché dalla responsabilità civile verso i terzi derivante dalla circolazione dell’unità (art. 40). La ratio delle due norme è evidente: un volta concessa l'unità in leasing, il proprietario resta totalmente estraneo al suo utilizzo e, per ciò stesso, non può esserne responsabile.

Il Codice non ha però risolto tutti i problemi in materia.

Innanzi tutto, l’articolo 16, secondo un’interpretazione letterale che teneva conto anche della sua rubrica, pareva applicabile soltanto al caso di iscrizione di unità in leasing e non anche al caso di cessione del contratto di leasing.

Ho usato volutamente il passato, perché con le due già citate circolari del Comando generale e della Direzione generale per la navigazione e il trasporto marittimo si è addivenuti ad un’interpretazione teleologica della norma in esame, secondo la quale - tenendo conto della ratio della disposizione tesa a semplificare l’azione amministrativa - anche in presenza di una cessione del leasing si può richiedere l’annotazione delle generalità del cessionario sul registro e sulla licenza di navigazione, semplicemente esibendo copia del contratto di cessione.

Poi, l’art. 16 non esplicita quale sia la natura dell'annotazione nei registri dell'utilizzatore a titolo di leasing. Con le citate circolari si è fatta chiarezza sull’argomento: di certo, l’annotazione in parola esula dal campo della pubblicità navale di cui al successivo art. 17, non vertendosi in materia di diritti reali. Trattasi di una forma di pubblicità-notizia, il cui effetto è semplicemente quello di rendere a tutti gli interessati più agevole la conoscenza del fatto iscritto e senza limitazioni per la prova contraria.

Rimangono da chiarire altri punti relativi al leasing e ho ragione di ritenere che il regolamento di attuazione lo farà.

Ci chiediamo se l’utilizzatore a titolo di leasing possa fare uso commerciale dell’unità, cioè se possa richiedere l’annotazione di cui all’art. 2. La risposta non può che essere affermativa, a patto che l’utilizzatore presenti la dichiarazione d’armatore, perché l’art. 2 consente solo a due soggetti di utilizzare commercialmente l’unità, il proprietario e l’armatore.

Infine, attualmente l’agevolazione dell’iscrizione provvisoria, di cui all’art. 20 (sopra esaminata), non può essere sfruttata dalle aziende di leasing, perché le stesse dovrebbero sottoscrivere, in quanto proprietarie del mezzo, la dichiarazione di assunzione di responsabilità per tutti gli eventi derivanti dall’esercizio dell’imbarcazione - richiesta dal medesimo art. 20 -, esercizio che in effetti non appartiene loro. A tale riguardo, sarebbe sufficiente una disposizione che attribuisse tale onere all’utilizzatore.

 

6)          Art. 17

 

Su specifica richiesta della IX Commissione della Camera, l’art. 17 ha introdotto, in analogia con quanto previsto dal Codice della strada per motoveicoli e autoveicoli, la trascrizione “obbligatoria” (entro 60 giorni) degli atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà o di altri diritti reali sulle unità da diporto iscritte, pena il pagamento di una sanzione amministrativa pari a 344 euro e successivamente - in mancanza di regolarizzazione - il ritiro della licenza di navigazione.

L’innovazione è di grande portata, perché, così facendo, si transita dal regime dell’onere della trascrizione, tipico degli immobili e delle navi, a quello dell’obbligo della trascrizione, grazie al quale si impone per legge una perfetta continuità delle trascrizioni relative a ciascuna unità. Non solo, ma la norma impone anche la regolarizzazione entro 90 giorni delle trascrizioni pregresse.

Il principio civilistico della continuità delle trascrizioni (articolo 2688 codice civile) merita una digressione.

Come noto, siffatto principio risponde all’esigenza di politica legislativa di costituire, mediante l’effettiva osservanza dell’onere di trascrivere, una sorta di “stato civile” della proprietà navale - così come avviene per la proprietà immobiliare - che possa dare la certezza della titolarità e disponibilità dei diritti sulle navi e che fornisca, altresì, notizia delle ipoteche e delle altre limitazioni esistenti sulle medesime.

È chiaro, infatti, che se le trascrizioni degli atti di acquisto di una data nave fossero saltuarie, cioè se non tutta la serie dei passaggi si assoggettasse alla trascrizione, si formerebbero lacune nella serie dei trasferimenti dei diritti sulla nave medesima, ossia si avrebbe discontinuità nelle trascrizioni, ed i terzi non sarebbero in grado di conoscere i precedenti acquisti non trascritti, i quali non sarebbero, pertanto, opponibili ed efficaci verso di loro.

Per evitare tale inconveniente, il legislatore del codice civile - come anche quello del codice della navigazione - ha imposto all’acquirente non soltanto l’onere di trascrivere il proprio atto di acquisto, ma altresì il distinto onere di supplire all’eventuale negligenza dei precedenti acquirenti di diritti sulla stessa nave, e di colmare così la lacuna.

A ciò provvede l’articolo 2688 del codice civile. Dispone, infatti, il primo comma che nei casi in cui un atto sia soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni, a carico dell’acquirente, non producono effetto, se e sino a che non sia stato trascritto anche l’atto anteriore di acquisto. Il che implica, dal punto di vista pratico, che l’acquirente da un precedente acquirente di una nave (subacquirente), avrà interesse a trascrivere non soltanto il proprio atto di acquisto, ma anche, seppure tardivamente, l’atto di acquisto del proprio venditore immediato (precedente acquirente) ed eventualmente anche quelli dei venditori mediati.

Nel difetto di continuità delle trascrizioni, la trascrizione, fatta nonostante la lacuna, non è nulla, ma soltanto temporaneamente inefficace: l’efficacia le sarà conferita dalla tardiva trascrizione che sia fatta del precedente atto non trascritto.

In detto caso, tale trascrizione ha il valore di una “prenotazione”, ossia di un atto di pubblicità la cui efficacia è subordinata al compimento di atti successivi di pubblicità; e tale efficacia risalirà alla data della prenotazione, se facciano seguito siffatti atti successivi. Così, l’atto trascritto sarà opponibile verso chiunque e dalla data della trascrizione-prenotazione.

Infatti, dispone il secondo comma dell’articolo 2688 cod. civ. che quando l’atto anteriore sia stato trascritto, le successive trascrizioni producono anch’esse effetto, secondo il loro ordine rispettivo, ma retroattivamente ossia a far data dalla prenotazione. Il che significa che la loro inefficacia era solo temporanea e provvisoria.

Tornando a noi, fino ad oggi si insegnava che, essendo la trascrizione un onere ed avendo effetti dichiarativi (e non costitutivi), il conservatore dei registri navali non poteva imporla né poteva esigere, prima di trascrivere un atto, che fosse completata la serie delle trascrizioni precedenti.

In altri termini, come chiarito dall’Avvocatura Generale dello Stato (parere n° 82512 del 13.07.1996), la mancanza della continuità delle trascrizioni su una nave “x” non autorizza il conservatore dei registri a rifiutare la trascrizione di un atto, richiesta da chi si presenta come attuale proprietario.

Ciò in quanto il conservatore non può e non deve ipotizzare conflitti tra terzi in ordine al titolo di proprietà reso pubblico con la trascrizione, né supplire all’eventuale carenza di iniziativa dei terzi stessi in ordine a trascrizioni non eseguite.

In definitiva, esula dai suoi poteri quello di sindacare la provenienza dell’atto di acquisto (ossia la legittimazione del venditore) e, più in generale, la sua validità in senso sostanziale. L’esame del conservatore è semplicemente formale e rivolto a controllare se l’atto, presentato per la trascrizione, abbia i requisiti prescritti dalla legge.

Con l’art. 17 del Codice della nautica cambia qualcosa per il conservatore dei registri del diporto, che comunque non potrà rifiutare la trascrizione di un atto in discontinuità, ma che allo stesso tempo dovrà intervenire perché sia sanata tale discontinuità, sanzionando l’interessato, invitandolo a presentare per la pubblicità l’atto di proprietà precedentemente non trascritto e, in mancanza di tale regolarizzazione, disponendo il ritiro della licenza di navigazione dell’unità.

In definitiva, il conservatore dei registri del diporto diventa, diversamente dal conservatore degli altri registri navali e pur coincidendo con la stessa persona fisica, anche il "tutore" della continuità delle trascrizioni.

La norma desta non poche perplessità, tanto da aver indotto l'Amministrazione ad intervenire con le due circolari più volte citate.

Ci chiediamo chi debba procedere alla regolarizzazione della trascrizione di cui all’articolo 17, comma 3, del Codice (vale a dire alla trascrizione dell'atto precedentemente non trascritto) e chi sia soggetto alla sanzione del ritiro della licenza di navigazione in caso di mancata regolarizzazione.

Come Comando generale, abbiamo osservato che la violazione dell’obbligo di trascrizione, previsto dall’articolo 17, comma 1, può essere accertata in due momenti:

·  allorquando l’ufficio di iscrizione venga a conoscenza della mancata trascrizione del passaggio di proprietà a favore dell’attuale proprietario dell’imbarcazione/nave;

·  allorquando venga presentato per la trascrizione un passaggio di proprietà in discontinuità, non avendo il precedente proprietario (alienante) trascritto il passaggio di proprietà a proprio favore.

A seguito di tale accertamento, non vi è dubbio che in entrambi i casi sopra citati debba essere sanzionato - ai sensi del combinato disposto dagli articoli 17, comma 1, e 53, comma 2 - colui che a suo tempo non ha trascritto entro 60 giorni il proprio acquisto.

I dubbi sorgono nel caso rappresentato per secondo, in merito all’obbligo di regolarizzazione (conseguente all’accertamento della violazione) e al destinatario della sanzione prevista dall’articolo 17, comma 3, ultima parte (ritiro della licenza di navigazione).

Infatti, nella fattispecie in esame, qualora si accedesse ad un’interpretazione strettamente letterale della norma, l’ufficio di iscrizione dovrebbe ritirare la licenza di navigazione sino a quando il precedente proprietario (alienante) non abbia provveduto alla regolarizzazione della propria trascrizione.

Ma in tal modo verrebbe sanzionato il comportamento legittimo dell’attuale proprietario (acquirente), che ha, invece, trascritto nei termini il proprio passaggio di proprietà.

Appare, invece, ragionevole un’interpretazione che intenda il termine “interessato”, utilizzato dal citato comma 3 dell’articolo 17, come riferito esclusivamente all’”attuale” proprietario che ha omesso di trascrivere e, successivamente, di regolarizzare la trascrizione.

Pertanto nel caso rappresentato per secondo (trascrizione in discontinuità), l’ufficio di iscrizione procederà con la sanzione di cui all’articolo 53, comma 2, nei confronti del precedente proprietario (alienante) che non ha trascritto, ma non ritirerà la licenza di navigazione, poiché l’interessato - inteso come “attuale” proprietario - ha regolarmente trascritto.

Diversamente opinando, il ritiro della licenza di navigazione potrebbe sì trovare la propria ragion d’essere nella negligenza dell’attuale proprietario, che non si è dato cura di accertare, prima dell’acquisto, se il suo dante causa avesse trascritto il precedente passaggio di proprietà, ma sortirebbe allo stesso tempo l’effetto deleterio di un blocco del mercato delle imbarcazioni e navi da diporto usate.

La Direzione generale per la navigazione e il trasporto marittimo ha concordato con l’interpretazione proposta dal Comando generale ed attualmente quella descritta è la procedura seguita dagli uffici marittimi in materia.

 

7)          Art. 28

 

Solo un cenno merita l'art. 28, che, nell’ottica della semplificazione, reca l'abrogazione del documento di bordo denominato "certificato d’uso del motore". Detto certificato conteneva i dati tecnici del motore e veniva redatto dall’Amministrazione sulla scorta dei dati contenuti nella dichiarazione di potenza, rilasciata dalla casa costruttrice all'acquirente del motore. Molto più semplicemente, con la citata norma la dichiarazione di potenza diventa direttamente documento di bordo, elidendosi in tal modo la fase superflua della compilazione del certificato d'uso a cura dell'ufficio amministrativo.

 

8)          Art. 39

 

Un solo articolo del Codice (art. 39) è dedicato alla materia delle patenti nautiche.

A tale proposito, va detto che esisteva una bozza iniziale di Codice che contava 116 articoli e 20 allegati. Le ragioni della drastica riduzione sono da rinvenire essenzialmente nella soppressione, durante i lavori preparatori, del titolo dedicato alle patenti nautiche. Infatti, mentre la bozza iniziale conteneva tutta una serie di articoli e di allegati che dovevano sostituire il vigente regolamento n. 431/97 sulle patenti nautiche, l’approvato Codice prevede solo l’articolo 39 in materia, mentre rinvia al regolamento di attuazione la disciplina delle patenti nautiche. Tale scelta è stata fatta nella considerazione che, assumendo nel Codice la materia delle patenti nautiche (procedure d’esame, di rilascio, di rinnovo, di duplicazione del titolo etc.), si sarebbe portato a rango legislativo ciò che era – ed è bene che rimanga – di rango regolamentare, con conseguenti maggiori difficoltà nell’ipotesi di future, magari anche minime, modifiche della normativa.

L'art. 39 reca tre novità salienti:

·  l’obbligo della patente per qualsiasi tipo di moto d’acqua, a prescindere da potenza e cilindrata del motore;

·  l’introduzione, in riferimento all’obbligo di patente nautica, dei parametri di cilindrata (1000 c.c.) e di potenza (30 Kw) anche per i motori ad iniezione diretta (di nuova generazione e, quindi, non previsti dalla normativa del 1997) ;

·                l’istituzione di un terzo tipo di patente – oltre quelle tradizionali per il comando di natanti, imbarcazioni e navi da diporto – riservata ad alcune categorie di disabili, che saranno individuate dal regolamento di attuazione. Si tratta della patente che abilita alla “direzione nautica” di natanti e imbarcazioni. Con tale dizione si è voluto significare essenzialmente che il comando di un mezzo nautico si sostanzia in un processo decisionale ed intellettivo, dal quale esulano le semplici operazioni manuali che ben possono essere delegate a qualsiasi altra persona non abilitata presente a bordo.

 

9)                      Artt. da 42 a 51

 

Il Codice contiene, poi, un intero titolo (il terzo) dedicato ai contratti di locazione e noleggio.

La materia, oggetto di notevole sviluppo nell’ultimo decennio, richiedeva una disciplina coordinata ed unitaria, che pur prendendo spunto dall’omologa disciplina del codice della navigazione, avesse proprie regole per le proprie peculiarità.

Con siffatta normativa il noleggio di unità da diporto cambia volto: non è più quel “contratto con cui una delle parti, in corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a compiere con l’unità da diporto una determinata navigazione ovvero, entro il periodo di tempo convenuto, la navigazione ordinata dall’altra parte alle condizioni stabilite dal contratto”, così come previsto dall’articolo 10, comma 8, lettera b), della legge n. 647/1996. Tale definizione riecheggiava evidentemente quella contenuta nell’articolo 384 del codice della navigazione, compresa la distinzione - classica nell’ambito della navigazione mercantile - tra noleggio a viaggio (“una determinata navigazione”) e noleggio a tempo (“entro il periodo di tempo convenuto, la navigazione ordinata”).

Ebbene, il nuovo noleggio diventa quel “contratto con cui una delle parti, in corrispettivo del nolo pattuito, si obbliga a mettere a disposizione dell’altra parte l’unità da diporto per un determinato periodo da trascorrere a scopo ricreativo in zone marine o acque interne di sua scelta, da fermo o in navigazione, alle condizioni stabilite dal contratto” (definizione già introdotta dalla legge n. 172/2003).

In questo modo, il noleggio nel campo della nautica da diporto diventa soltanto un time charter, in cui vengono messi in evidenza lo scopo ricreativo perseguito dal noleggiatore e la facoltatività della navigazione quale oggetto della prestazione (“da fermo”).

Siffatti elementi sono sufficienti per “prendere le distanze” dal codice della navigazione e dalla concezione mercantile su cui esso si fonda. Infatti, il voyage charter è più vicino al contratto di trasporto, che, come è noto, nella materia del diporto non è ammesso; lo scopo ricreativo del noleggiatore non è ipotizzabile nel campo commerciale; infine, non è concepibile una nave mercantile noleggiata per “non navigare”.

In realtà, il noleggio in campo mercantile è cosa ben diversa dal noleggio di un’unità da diporto: nel primo il noleggiatore si serve dei viaggi della nave per finalità commerciali (trasporto di cose o persone, operazioni di pesca, di rilevazione scientifica, di recupero relitti sommersi etc.), mentre con il secondo il turista nautico decide di fare una vacanza (o organizzare una festa) con la barca di altri, munita di equipaggio o soltanto di skipper.

In questa prospettiva la differenza è netta e rende conto delle ragioni che hanno indotto il legislatore del 2003 e quello delegato del 2005 a mutare la nozione di noleggio in materia di nautica da diporto.

In tale contesto è necessario ricordare che per le unità in noleggio - diversamente che per quelle in locazione - rimane fermo il limite dei 12 passeggeri trasportabili. Anche se il Codice non lo riporta espressamente, tale limite deriva dal Dlgs. n. 45/2000 - recante l’attuazione della direttiva 98/18/CE relativa alle norme di sicurezza per navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali - e dalla Convenzione internazionale SOLAS (per le navi da passeggeri adibite a viaggi internazionali). Tali fonti dispongono che qualsiasi tipo di nave, qualunque sia la sua destinazione, qualora trasporti più di 12 passeggeri a fini commerciali e sia munita di equipaggio (che può essere costituito anche dal solo skipper), è considerata nave da passeggeri ed assoggettata alla pertinente normativa di sicurezza. Motivo per il quale le unità da diporto in noleggio potranno pure trasportare più di 12 passeggeri, ma in tal caso non saranno più soggette al regolamento di sicurezza per il diporto, bensì alle più severe regole di sicurezza previste per le navi da passeggeri.

Altro punto di distinzione rispetto alle unità in locazione è l’esenzione dall’accisa per il carburante utilizzato sulle unità adibite a noleggio.

Il Dlgs. n. 504/95, testo unico in materia, esclude dall’esenzione le imbarcazioni private da diporto, con tale definizione intendendo quelle unità utilizzate per scopi non commerciali, cioè per scopi diversi dal trasporto passeggeri o merci o dalla prestazione di servizi a titolo oneroso.

Da tale norma l’Agenzia delle dogane, con una circolare del 2001 (n° 7206/00), ha dedotto che il beneficio del gasolio agevolato non possa applicarsi alle unità in locazione, in quanto “ il contratto di locazione si risolve nel mero trasferimento della disponibilità del bene da un soggetto ad un altro… e il locatore (il soggetto commerciale) pertanto rimane del tutto estraneo all’impiego dell’unità”. In altri termini, secondo detta Agenzia, dal momento che nella locazione chi acquista il carburante è il diportista e non l’azienda di locazione, l’uso del mezzo non può definirsi “commerciale”.

E’ questo uno di quei casi in cui la definizione fiscale non coincide con quella di diritto comune: mi riferisco al fatto che l’articolo 2 del Codice parla indifferentemente di uso commerciale sia per la locazione che per il noleggio.

I due punti di distinzione tra locazione e noleggio, appena evidenziati, spiegano la ratio delle norme del Codice (articoli 42 e 47) che impongono la forma scritta ad substantiam per i due contratti in esame e l’obbligo di custodirli a bordo in navigazione: la finalità è quella di poter nettamente distinguere, ai fini di un’adeguata vigilanza, le ipotesi di locazione (per le quali non è previsto il beneficio fiscale del gasolio agevolato) da quelle di noleggio (per le quali sussiste il limite dei 12 passeggeri trasportabili).

Nel medesimo titolo III viene introdotta una nuova figura professionale per il diporto: quella del mediatore.

Già da tempo ci si era accorti delle sostanziali differenze tra il mediatore marittimo (che si interessa di navi commerciali) e il mediatore per i contratti aventi ad oggetto unità da diporto, ma non essendoci una disciplina specifica per il diporto, le due figure finivano per essere identificate a scapito della valorizzazione della relativa professione nel campo del diporto.

Vertendosi in materia di legislazione concorrente, il Codice dedica all'argomento soltanto due articoli (artt. 50 e 51), prevedendo che i ruoli dei mediatori del diporto saranno istituiti e disciplinati a cura delle Regioni.

 

10)       Artt. da 53 a 57

 

Il titolo V del Codice introduce, infine, un sistema sanzionatorio dedicato al diporto nautico, che merita un’accurata disamina.

In passato, in materia vigeva un unico articolo - l’articolo 39 - della legge n. 50/1971, che, contenendo l’inciso “salvo che il fatto costituisca reato”, attribuiva prevalenza al codice penale e alle norme penali del codice della navigazione rispetto alla disciplina speciale.

Se a ciò si aggiunge che l’articolo 39 individuava soltanto due fattispecie tipiche di illecito amministrativo – vale a dire, l’inosservanza di divieti segnalati di interdizione alla navigazione e la generica inosservanza delle disposizioni della stessa legge n. 50/1971 o di provvedimenti in base ad essa emanati –, lasciando ampio margine per l’applicazione degli illeciti depenalizzati contenuti nel codice della navigazione, è evidente come il medesimo articolo subisse uno svuotamento di contenuto precettivo, che, in termini pratici, si risolveva nella sottoposizione del diporto nautico non solo alle sanzioni penali, ma anche alle gravi sanzioni pecuniarie amministrative – quelle che le riviste specializzate del settore chiamavano atecnicamente “megamulte” – previste per la navigazione commerciale.

L’inciso “salvo che il fatto costituisca reato”, come detto, obbligava l’interprete a fare riferimento alle contravvenzioni previste dal codice della navigazione. Per citare i casi più ricorrenti, si applicavano alla nautica da diporto l’articolo 1164 cod. nav. (inosservanza di norme sui beni pubblici), l’articolo 1174 cod. nav. (inosservanza di norme di polizia) e l’articolo 1193 cod. nav. (inosservanza delle disposizioni sui documenti di bordo).

Dopo la riforma introdotta dal DLgs. n. 507/99 ovvero dopo la depenalizzazione di siffatti reati, il risultato non cambiò, continuando la materia del diporto ad accogliere gli illeciti depenalizzati del commerciale.

Si riteneva, infatti, che una diversa interpretazione (ovvero l’attribuire prevalenza alle sanzioni amministrative previste dall’articolo 39 su quelle, pur sempre amministrative, disciplinate dal codice della navigazione) comportasse una violazione del principio costituzionale di uguaglianza, in quanto si sarebbero introdotti trattamenti sanzionatori differenziati per comportamenti identici.

Si sosteneva che non dovesse accadere, ad esempio, che il diportista sprovvisto dei documenti di bordo fosse sottoposto, in virtù dell’articolo 39, 3° comma, ad una sanzione amministrativa compresa tra 100.000 ed 1 milione delle vecchie lire e, invece, il comandante di mercantile o di peschereccio, nell’identico caso, andasse incontro alla ben più severa sanzione amministrativa, prevista dall’articolo 1193, 1° comma, compresa tra 3 e 18 milioni delle vecchie lire.

Medesimo canone interpretativo - e a maggior ragione, trattandosi di ipotesi di reato - veniva utilizzato per affermare la prevalenza dell’articolo 1231 cod. nav. (inosservanza di norme sulla sicurezza della navigazione, illecito non depenalizzato) sull’articolo 39, 2° comma (inosservanza di divieti segnalati di interdizione alla navigazione), nell’ipotesi in cui un’unità da diporto violasse i limiti segnalati delle acque riservate alla balneazione in prossimità della costa.

A questo proposito, la Suprema Corte nel 1985 e nel 1993 (Cass. Penale, III sez., sentenza del 27.11.1985 e Cass. Penale, III sez., sentenza del 19.01.1993) aveva categoricamente escluso che “la violazione di un’ordinanza dell’autorità marittima che vieta la navigazione in prossimità della costa, possa essere regolata dall’articolo 39 della legge n. 50/1971, per l’elementare ragione che non può essere sanzionato solo amministrativamente ai mezzi da diporto ciò che è invece punito penalmente per tutti gli altri tipi di imbarcazioni”.

Questo l’iter logico-giuridico seguito dalla giurisprudenza prevalente fino al 2003, anno in cui la legge n. 172/2003 mise in luce e rimarcò la specialità della disciplina della navigazione da diporto, favorendo interpretazioni di segno opposto a quelle appena esaminate in materia di regime sanzionatorio.

Avvisaglie vi erano già state poco prima dell’approvazione della legge n. 172, quando nel gennaio del 2003 l’Amministrazione dei Trasporti espresse alcune considerazioni su una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Taranto relativamente al 1° comma dell’articolo 1193 cod. nav. e con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, perché implicante, a parere del giudicante, una disciplina ingiustificatamente discriminatoria tra situazioni omogenee e comparabili, quali quelle tra unità da diporto e navi da traffico o da pesca.

In detta occasione, la Direzione generale per la navigazione e il trasporto marittimo e interno ebbe ad osservare che “non va dimenticato come la nautica da diporto rimanga sempre un’attività lusoria disciplinata compiutamente da un corpus iuris autonomo in ossequio alle peculiarità di tale tipo di navigazione rispetto agli altri tradizionali tipi di navigazione e che, quindi, non abbia alcun senso confrontare il comportamento (navigare senza documenti di bordo) del comandante di un mercantile o di un peschereccio con quello di un diportista, essendo completamente diversi i presupposti dei sistemi normativi collegati ai due tipi di navigazione”.

La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 109 del 2004, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità sollevata, rilevò la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto e, dunque, l’inidoneità del tertium comparationis a fungere da termine di riferimento onde verificare la pretesa lesione del principio di uguaglianza.

Su queste premesse nasce, con il Codice della nautica da diporto, un vero e proprio “sistema” sanzionatorio dedicato alla materia, totalmente depenalizzato, adeguato a regolare le violazioni più ricorrenti connesse con la navigazione da diporto (facendo salve soltanto quelle in materia di aree marine protette); un sistema che esclude il rapporto di sussidiarietà con le norme incriminatrici del codice della navigazione e il cui criterio ispiratore è stato sostanzialmente quello di una maggiore proporzionalità tra offesa recata e sanzione.

Quanto al rapporto con il codice della navigazione, l’esclusione dell’inciso “salvo che il fatto costituisca reato” - per la verità, già operata dalla legge n. 172/2003 che aveva sostituito l’articolo 39 della legge n. 50/1971 -, fa sì che le norme contenute nel titolo V del Codice della nautica possano considerarsi ormai prevalenti, ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 689/1981, il quale statuisce che in caso di concorso tra disposizione penale e disposizione che prevede sanzioni amministrative, debba trovare applicazione quest’ultima, se speciale.

Fatta questa premessa di ordine generale, si rende necessaria un’analisi delle singole norme del titolo V.

·  L’articolo 53, 1° comma, riproduce una novità introdotta dalla legge n. 172/2003 ovvero la depenalizzazione dell’anacronistico reato di condotta di unità da diporto senza la prescritta patente nautica. La sanzione amministrativa viene raddoppiata se l’illecito è commesso con nave da diporto, implicando la condotta, in tale caso, una maggiore pericolosità, attese le dimensioni del mezzo utilizzato.

·  Strettamente connesso con il precedente è il 6° comma, che conferma altra novità introdotta dalla legge n. 172/2003: quella di una sanzione accessoria obbligatoria per l’ipotesi di comando senza patente.

Si tratta della sospensione, per la durata prefissata di 30 giorni, della licenza di navigazione del mezzo nautico.

La norma desta talune perplessità.

Innanzi tutto, la sanzione accessoria in esame, per la sua stessa natura, non può trovare applicazione nell’ipotesi, tra l’altro statisticamente più diffusa, in cui la violazione sia stata commessa con un natante da diporto (privo, perciò, di licenza di navigazione). E non risulta chiaro se ciò sia stato frutto di una scelta deliberata del legislatore mirante ad istituire un trattamento di favore per tale tipo di unità, come peraltro fatto al comma 3 dell’articolo 53, o se non sarebbe stato più ragionevole e coerente prevedere, per il caso di specie, il fermo amministrativo dell’unità, equivalente, quanto agli effetti, alla sospensione della licenza di navigazione.

In secondo luogo, non si può sottacere il fatto che la norma configura una vera e propria responsabilità oggettiva in capo al proprietario del mezzo nautico nell’ipotesi di conduzione senza patente da parte di soggetto diverso da lui, in quanto non ammette alcuna dimostrazione da parte del proprietario medesimo che la navigazione dell’unità sia avvenuta, ad esempio, contro la sua volontà. E questa considerazione trova maggior rilievo nel caso di locazione del mezzo nautico.

Sono convinto che sarà la giurisprudenza a decidere il futuro della disposizione in esame.

·  Il 2° comma dell’articolo 53, per la prima parte, nulla muta rispetto alla previgente normativa, punendo l’illecito amministrativo del comando di unità da diporto con patente la cui validità sia scaduta; mentre, con la seconda parte, introduce l’illecito dell’omessa o ritardata trascrizione nei registri navali degli atti costitutivi, traslativi o estintivi della proprietà o di altri diritti reali su imbarcazioni o navi da diporto.

Per la verità, la collocazione di tale ultimo illecito in sede di articolo rubricato come “violazioni commesse con unità da diporto” e, ancor più, accanto ad ipotesi di illecito del tutto distinta e diversa, quale può essere quella della navigazione con patente scaduta di validità, desta qualche perplessità e può giustificarsi solo con l’identità di sanzione. Di certo, però, l'ipotesi in esame avrebbe meritato, dal punto di vista sistematico, un articolo ad hoc.

A tale proposito, è da dirsi che la disposizione de qua, come anche la norma contenuta nell’articolo 17, sono state sostanzialmente modificate in extremis - e forse con troppa fretta - rispetto alla versione originale del testo approvato preliminarmente dal Consiglio dei Ministri, al fine di recepire le osservazioni in materia di obbligatorietà della trascrizione formulate dalla IX Commissione trasporti della Camera e poste come condizione di validità del parere favorevole dalla stessa rilasciato.

·  Il 3° comma dell’articolo 53, facendo salve le violazioni della normativa sulle aree marine protette – che sono così destinate a costituire un regime sanzionatorio “subspeciale” –, ricomprende ogni tipo di illecito commesso con unità da diporto in materia di uso del demanio marittimo ovvero in materia di sicurezza della navigazione, in tal modo sottraendo le citate materie all’applicazione degli articoli 1164, 1174 e 1231 del codice della navigazione.

Quel che meno convince della disposizione in esame è il trattamento di favore previsto, per i natanti da diporto, dall’ultima parte del 3° comma, ove si afferma che, se il fatto è commesso con l’impiego di un natante, la sanzione si riduce alla metà.

Mentre l’aumento della sanzione nel caso di nave da diporto, previsto dal 1° comma, si giustifica con il maggior pericolo derivante dal comando senza titolo abilitativo di unità di dimensioni elevate (lunghe più di 24 metri); l’attenuazione, nell’ipotesi in esame, non può trovare fondamento nel minor pericolo o nel minor danno recato con un natante all’interesse protetto, che è quello alla sicurezza della navigazione e all'inviolabilità del demanio marittimo.

Non si possono fare in materia discriminazioni inerenti alle dimensioni dell’unità impiegata, soprattutto quando siano in gioco la sicurezza della navigazione e la vita umana in mare.

Inoltre, per la parte relativa alla sicurezza della navigazione la norma appare assai generica e prevede sanzione identica per condotte illecite eterogenee, alcune delle quali avrebbero meritato sanzione più grave, come, ad esempio, qualora venga messa in serio pericolo l’incolumità altrui.

E sempre in dette ipotesi, riteniamo che sarebbe stato più coerente prevedere, così come fatto in tema di condotta senza patente, la sanzione accessoria della sospensione della licenza di navigazione.

·  Il 4° comma dell’articolo 53 è la norma di chiusura del sistema, che abbraccia tutte le fattispecie residue non disciplinate dai commi precedenti, così come nella disciplina previgente faceva il 4° comma dell’articolo 39 della legge n. 50/1971.

Riguarda, in ultima analisi, tutte le violazioni del regime amministrativo delle unità da diporto, salvo quelle regolate dai seguenti articoli da 54 a 56.

Agli illeciti anzidetti, che sono violazioni a più ampio spettro, il Codice aggiunge due nuove e più specifiche fattispecie che, altrimenti, sarebbero ricadute nella generica e residuale previsione del 4° comma dell’articolo 53: l’abusivo utilizzo dell’autorizzazione alla navigazione temporanea (la c.d. targa prova) e l’esercizio abusivo delle attività di locazione, noleggio, diving e insegnamento della navigazione da diporto.

Nel primo caso, la mancanza di una sanzione adeguata all’importanza della violazione commessa aveva in passato consentito di fare largo “abuso” della targa prova – che può diventare un facile strumento per evitare o rinviare l’immatricolazione del mezzo – rischiando la modica cifra di 100 euro.

Nel secondo caso, il peso sempre maggiore che l’uso commerciale delle unità da diporto sta assumendo nel contesto della nautica, ha suggerito al legislatore di individuare una sanzione puntuale e adeguata in materia.

L’articolo 56, disciplinante l’inosservanza di norme in materia di costruzione e progettazione di unità da diporto, riproduce integralmente l’articolo 10 del decreto legislativo n. 436/1996, che recava le norme di attuazione della direttiva 94/25/CE in materia di progettazione, costruzione e immissione in commercio di unità da diporto, oggi recepite nel Codice.

A tale riguardo, va evidenziato che le disposizioni del predetto articolo – che puniscono gravemente la costruzione o immissione in commercio di prodotti per la nautica non conformi alle prescrizioni comunitarie e, pertanto, pericolosi per la sicurezza, la salute o l’ambiente –, pur essendo in vigore dal ’96, di fatto non avevano potuto trovare applicazione, non avendo la norma individuato il soggetto competente a ricevere il rapporto della violazione, di cui all’articolo 17 della legge n. 689/81.

Il Codice colma detta lacuna con l’articolo 57, che attribuisce alle Capitanerie di porto la funzione di uffici competenti a ricevere il rapporto per tutti gli illeciti amministrativi in materia di nautica da diporto commessi in acque marittime, ivi compresi dunque quelli in esame.

 

La normativa futura

Il nuovo quadro normativo sulla nautica da diporto non è ancora completo, perché manca, come anticipato, il regolamento di attuazione del Codice della nautica, previsto dall’art. 65 del Codice stesso. Tale provvedimento è stato ultimato dall’apposita Commissione istituita presso il Ministero dei trasporti ed attualmente sta terminando la fase del concerto con le altre Amministrazioni interessate, per essere successivamente trasmesso al Consiglio di Stato per il prescritto parere.

Inoltre, la delega contenuta nell’art. 6 della legge n. 172/2003 prevede che entro un anno dall’entrata in vigore del Codice - termine prorogato a due anni dalla legge n. 228/2006 - possano essere emanate dal Governo, con nuovo decreto legislativo, integrazioni e correzioni del Codice stesso. L’intento del legislatore era quello di attendere un anno per poter perfezionare il Codice alla luce dei risultati del suo confronto con l’esperienza pratica e con il diritto vivente, ma il citato regolamento ha assorbito da solo detto periodo, tanto da richiedere una proroga di un altro anno per tali disposizioni integrative. Al momento non ci sono novità su un eventuale decreto legislativo di perfezionamento del Codice.

Quanto al regolamento, esso disciplinerà le seguenti materie:

- sicurezza della navigazione per tutte le unità da diporto e, in particolare, per quelle adibite al noleggio e al diving;

- patenti nautiche e, in particolare, i nuovi criteri in materia di requisiti fisici per il loro conseguimento, vale a dire l'individuazione di alcune categorie di disabili cui riservare la patente per la direzione nautica delle unità da diporto;

- alcune procedure amministrative inerenti alle unità da diporto e, in particolare, le modalità di iscrizione delle navi da diporto e delle imbarcazioni autocostruite, l’esecuzione della pubblicità, i trasferimenti da un registro all’altro, il rinnovo dei documenti di navigazione, la cancellazione delle unità dai registri, il rilascio delle autorizzazioni alla navigazione temporanea.

Tale regolamento andrà a sostituire, abrogandole, ben sei fonti regolamentari che coesistono ancora oggi con il Codice della nautica, vale a dire quattro regolamenti in materia di sicurezza della navigazione (D.M. 8/8/77, recante approvazione delle direttive per l’effettuazione delle visite di accertamento ai fini dell’abilitazione alla navigazione delle unità da diporto; D.M. 19/11/92, n. 566, recante regolamento sull’autorizzazione alla navigazione temporanea delle navi da diporto; D.M. 21/01/94, n. 232, recante il regolamento di sicurezza per le navi da diporto; D.M. 5/10/99, n. 478, recante il regolamento di sicurezza per i natanti e le imbarcazioni da diporto) e due regolamenti in materia di patenti nautiche (D.M. 5/7/94, n. 536, recante regolamento sul comando e sulla condotta delle unità da diporto da parte di coloro che sono in possesso di un titolo professionale marittimo e D.P.R. 9/10/97, n. 431, recante regolamento sulla disciplina delle patenti nautiche).

Dal quadro delineato appare evidente l’ambizioso e ragguardevole obiettivo che si intende conseguire: la realizzazione di un sistema dotato della massima completezza, sì da porre a disposizione di utenti, operatori e addetti ai lavori nel medesimo corpo normativo - composto da Codice e Regolamento - l’intera disciplina afferente il diporto nautico, agevolandone in tal modo l'accesso e la conoscibilità.

Nel ripercorrere il processo evolutivo che la disciplina della nautica da diporto ha subito dagli anni '70 ad oggi, non posso fare a meno di ripensare ad uno dei padri fondatori del positivismo giuridico, John Austin, quando nelle sue Lezioni di giurisprudenza affermava: "È meglio avere un diritto espresso in termini generali, sistematico, conciso e accessibile a tutti, che un diritto disperso, sepolto in un cumulo di particolari, sterminato e inaccessibile".

 
Capitano di Fregata (CP)
dott. Aniello Raiola
(Capo sezione affari giuridici 
del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto)



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