La
prescrizione a carico del SSN è limitata:
alla prevenzione delle complicanze gravi del tratto gastrointestinale
superiore:
-in trattamento cronico con farmaci antiifiammatori non steroidei
-in terapia antiaggregante con ASA a basse dosi
purché sussista
una delle seguenti condizioni di rischio:
-storia di pregresse emorragie
digestive o di ulcera peptica non guarita con terapia eradicante
-concomitante
terapia con anticoagulanti o cortisonici
-età avanzata
Gastroprotettori:
-misoprostolo
-esomeprazolo
-lansoprazolo
-omeprazolo
-pantoprazolo
-rabeprazolo
-misoprostolo + diclofenac*
(la prescrizione dell'associazione misoprostolo+diclofenac è rimborsata alle condizioni previste dalla nota 66)
Background
È noto come il trattamento cronico con i FANS possa determinare
un aumentato rischio di ulcera peptica e delle sue complicanze gravi (emorragia,
perforazione, ostruzione). Il rischio di ospedalizzazione per una complicanza
grave è stimato fra l' 1 e il 2% per anno, ed aumenta fino a 4-5
volte nelle categorie a rischio specificate nella nota limitativa. Sulla
base di studi clinici randomizzati e osservazionali anche l' uso di anticoagulanti
e l' età avanzata (65-75 anni) sono risultate essere condizioni
predisponenti al rischio di complicanze gravi del tratto gastrointestinale
superiore. Pertanto tali condizioni devono essere considerate fattori suggestivi
di popolazioni a maggior rischio ma non raccomandazioni tassative per trattare,
ad esempio, tutti gli anziani o tutti coloro che assumono anticoagulanti.
Data la rilevanza clinica della
tossicità gastroduodenale indotta dai FANS, numerosi sono stati
inoltre gli studi che hanno valutato l' efficacia di una "gastroprotezione"
utilizzando accanto agli inibitori di pompa anche gli analoghi delle prostaglandine
(misoprostolo) e gli anti secretivi (H2 antagonisti).
Evidenze disponibili
Misoprostolo
Risulta ancor oggi l' unico farmaco per il quale esistono dati convincenti
che ne dimostrano l' efficacia nel ridurre l' incidenza delle complicanze
gravi (emorragie, perforazioni e ostruzione pilorica) della gastropatia
da FANS. Lo studio (MUCOSA) di grandi dimensioni (8.853 pazienti) ha infatti
documentato una riduzione del 40% di dette complicanze rispetto al placebo.
Una metanalisi di 24 studi che ha valutato l' efficacia del misoprostolo
non in base alla riduzione delle complicanze ma solo in base alla riduzione
dell' incidenza di ulcere gastriche o duodenali diagnosticate endoscopicamente
ha confermato detta efficacia: (NNT = 8) per prevenire un' ulcera gastrica
e (NNT = 30) per prevenire un' ulcera duodenale.
Il misoprostolo somministrato
alla dose di 800 µg ha però una tollerabilità scarsa
(dispepsia, dolore addominale, diarrea) e nello studio MUCOSA i pazienti
che sospendevano il trattamento per disturbi gastrointestinali erano più
numerosi fra quelli trattati con misoprostolo più FANS (27,4%) che
fra quelli trattati con FANS più placebo (20,1% p<0,001).
Inibitori della pompa protonica
Numerosi studi hanno dimostrato che nei soggetti trattati con FANS,
dosi standard di inibitori della pompa protonica riducono significativamente
l' incidenza di ulcere gastriche e duodenali diagnosticate all' endoscopia
rispetto al placebo. Due di essi meritano particolare attenzione. Nel primo
l' omeprazolo è stato confrontato con ranitidina e, nel secondo,
con misoprostolo in due trial con uguale disegno sperimentale. In tutti
e due gli studi (ASTRONAUT e OMNIUM) venivano valutati soggetti che a seguito
della terapia con FANS presentavano una ulcera peptica o almeno 10 erosioni
gastriche o duodenali. Ciascuno dei due trial esaminava due fasi: a) la
guarigione delle lesioni da FANS già presenti; e b) la prevenzione
della ricomparsa delle lesioni durante ritrattamento con i FANS. In entrambe
le fasi la terapia con omeprazolo si è dimostrata più efficace
del farmaco di confronto (rispettivamente, ranitidina e misoprostolo) sia
nel guarire le ulcere sia nel prevenire le recidive.
Detti risultati vanno
però valutati con prudenza in quanto entrambi gli studi presentano
limiti metodologici rilevanti quali: 1) la dimostrazione di maggiore efficacia
è basata su parametri surrogati, infatti gli studi hanno utilizzato
come "end-point" terapeutico la riduzione del numero di ulcere endoscopiche
e dei sintomi dispeptici e non delle complicanze gravi che sono il parametro
clinico più rilevante cui mira la profilassi farmacologica: non
è cioè la stessa cosa prevenire un' ulcera visibile alla
endoscopia routinaria in uno studio clinico e prevenire una complicanza
grave (emorragia, perforazione, ostruzione); 2) le dosi utilizzate con
i farmaci di riferimento (400 µg/d per il misoprostolo e 300 mg/d
per la ranitidina) sono probabilmente inadeguate; infine, 3) è mancata
soprattutto una attenta considerazione alla presenza o meno nei pazienti
trattati di una infezione da H. pylori. Lo stato di portatore o meno di
una tale infezione può, infatti, avere grande rilevanza. Una recente
metanalisi condotta su 16 studi dimostra, infatti, in modo convincente
come sia l' infezione da H. pylori sia l' impiego di FANS tradizionali
possano aumentare il rischio di causare un' ulcera peptica o un sanguinamento
gastrico in modo indipendente, avendo un effetto sinergico nell' aggravare
il rischio di ulcera peptica e sanguinamento quando entrambi i fattori
di rischio sono presenti nello stesso paziente. La superiore efficacia
dell' inibitore di pompa rispetto a misoprostolo e a dosi usuali di H2
bloccanti nel prevenire le ulcere da FANS potrebbe cioè essere in
parte solo apparente e dovuta a una diversa distribuzione dei pazienti
con infezione nella popolazione studiata.
Particolari avvertenze
L' importanza dell' infezione da H. pylori nella strategia di prevenzione
del sanguinamento gastrico causato dai FANS tradizionali e dall' ASA a
basso dosaggio è dimostrato da uno studio recente che ha rilevato
come nei pazienti con infezione da H. pylori e una storia di sanguinamento
gastrico, l' eradicazione dell' infezione da Helicobacter pylori risulti
equivalente all' omeprazolo nel prevenire una recidiva del sanguinamento
gastrico nei pazienti che assumono ASA a basse dosi (probabilità
di recidiva del sanguinamento a sei mesi 1,9% con eradicazione e 0,9% con
omeprazolo). Mentre nei pazienti che assumono naprossene al posto dell'
ASA a basse dosi l' inibitore di pompa risulta più efficace della
semplice eradicazione (probabilità di recidiva del sanguinamento
a 6 mesi 18,8% con l' eradicazione e 4,4% con omeprazolo).
Nei pazienti
con storia di sanguinamento gastrico e che devono continuare una profilassi
secondaria con ASA a basse dosi l' eradicazione dell' infezione probabilmente
si pone perciò come strategia profilattica più conveniente
della somministrazione di un inibitore di pompa. Non è chiaro se
l' eradicazione vada comunque eseguita in tutti i pazienti infetti che
fanno uso cronico di FANS tradizionali. Una metanalisi recente ha dimostrato
che il rischio emorragico da ASA impiegato come antiaggregante è
assai basso (una emorragia ogni 117 pazienti trattati con 50-162 mg/die
di ASA per una durata media di 28 mesi). Pertanto, una gastroprotezione
farmacologica generalizzata non è giustificata. I trial considerati
nella metanalisi escludevano però i pazienti ad alto rischio emorragico.
In mancanza di dati relativi a questi pazienti, se si estrapola ad essi
l' aumento di emorragie o ulcere da FANS nei soggetti a rischio (4-5 volte
quello di base), la gastroprotezione nei soggetti a rischio emorragico
trattati "long-term" con ASA potrebbe essere giustificata specie in presenza
dei fattori di rischio più rilevanti (emorragia pregressa e pazienti
in trattamento con anticoagulanti e cortisonici). Nei pazienti con infezione
da Helicobacter pylori risulta indicata l' eradicazione. Non è invece
appropriato l' uso di preparazioni "gastroprotette" o tamponate di ASA,
che hanno un rischio emorragico non differente da quello dell' ASA standard.
Gli H2-inibitori non sono stati inclusi tra i farmaci indicati per la prevenzione
e il trattamento del danno gastrointestinale da FANS perché in dosi
standard non riducono significativamente l' incidenza delle ulcere gastriche,
che sono le più frequenti fra quelle da FANS anche se hanno efficacia
pressochè uguale a quella del misoprostolo sulle ulcere duodenali.
Una revisione non sistematica del danno gastrointestinale da FANS non raccomanda
gli H2 - inibitori per la prevenzione dei danni gastrointestinali da FANS;
li ammette per la terapia delle ulcere previa sospensione dei FANS, ma
non se si seguitano i FANS. I dati clinici citati non possono essere applicati
ai COXIB. Va segnalato come in uno studio in pazienti con storia di sanguinamento
gastrico recente, il trattamento per sei mesi con omeprazolo più
diclofenac si sia dimostrato egualmente efficace rispetto al celecoxib
nel prevenire la ricorrenza del sanguinamento gastrico.
Al momento non
vi sono ulteriori dati sulla letteratura scientifica internazionale che
documentino un' efficacia nella gastroprotezione con misoprostolo e/o inibitori
della pompa protonica nei confronti del danno gastrointestinale da COXIB.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti affetti da:
-cirrosi biliare primitiva taurourso-desossicolico
-colangite sclerosante primitiva urso-desossicolico
-colestasi associata alla fibrosi cistica o intraepatica familiare
-calcolosi colesterinica
Acidi biliari: chenourso-desossicolico
Background
La presente nota nasce per il fatto che alcuni prodotti a base di acidi
biliari riportano "indicazioni minori" quali le "dispepsie biliari". Tali
indicazioni, per il carattere indefinito del disturbo, per la sua limitata
rilevanza clinica se isolatamente considerato, oltre che per l' assenza
di studi adeguati a supporto di tali indicazioni, non possono essere poste
a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Pertanto, sono rimborsate solo
le prescrizioni riferite alle situazioni cliniche indicate nella presente
nota.
Evidenze disponibili
Le prime tre indicazioni si riferiscono a epatopatie croniche nelle
quali modificazioni quali-quantitative della funzione biligenetica hanno
un ruolo patogenetico molto importante, determinando alterazioni anatomiche
e funzionali del fegato (epatopatie colestatiche). L' impiego degli acidi
urso-e taurourso-desossicolico nelle epatopatie croniche colestatiche è
limitato a quelle per le quali si trovano in letteratura evidenze di efficacia
terapeutica in termini di miglioramenti anatomici, clinici e di sopravvivenza
significativi o, nel caso di malattie prive di altre terapie utili, anche
marginali. Tali evidenze, non univoche ma nettamente prevalenti per la
cirrosi biliare primitiva (l' acido ursodesossicolico è stato recentemente
approvato per la terapia di questa malattia dalla Food and Drug Administration),
sono meno chiare ma non inesistenti per le altre epatopatie colestatiche
in nota. Le sperimentazioni controllate e randomizzate hanno invece dimostrato
che l' acido ursodesossicolico non è efficace nelle epatiti croniche
virali, nelle quali non favorisce l' eliminazione dell' RNA del virus C
e non migliora le lesioni istologiche.
Particolari avvertenze
La calcolosi colesterinica potenzialmente trattabile con acidi biliari
è caratterizzata da calcoli singoli o multipli (diametro uguale
o inferiore a 1 cm), radiotrasparenti, con colecisti funzionante, pazienti
non obesi con sintomatologia modesta (coliche non molto frequenti o severe).
Altra indicazione è la presenza in colecisti di frammenti di calcoli
postlitotripsia. Nella colelitiasi, la terapia con sali biliari ottiene
la dissoluzione dei calcoli solo in una parte dei pazienti, variabile in
relazione a fattori diversi (dimensioni dei calcoli, funzionalità
della colecisti, ecc.); è seguita frequentemente dalla formazione
di nuovi calcoli (50-60% a 5 anni); non trova indicazione nei pazienti
con coliche ravvicinate o severe, per i quali è necessaria la colecistectomia.
Bisogna anche considerare che l' alternativa chirurgica, laparoscopica
o con minilaparotomia, è risolutiva e a basso rischio. Si ritiene
opportuno limitare l' uso dei sali biliari ai pazienti con caratteristiche
definite "ottimali" per la dissoluzione dei calcoli, che raggiunge in questi
casi percentuali fra il 48% e il 60%. Le caratteristiche sopra ricordate
sono presenti in circa il 15% dei pazienti. La prescrizione di acidi biliari
non è rimborsata dal SSN per il trattamento della semplice dispepsia.
Il trattamento con acidi biliari non è rimborsato nei pazienti con
epatite cronica virale ed in quelli con coliche ravvicinate o gravi per
i quali è indicata la colecistectomia.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti affetti da:
dolore lieve e moderato in corso di patologia neoplastica o degenerativa
e sulla base di eventuali disposizioni delle Regioni e delle Provincie
Autonome
Farmaci per la terapia del dolore: tramadolo
Background
I prodotti a base di tramadolo sono approvati con l' indicazione generica
di "stati dolorosi acuti e cronici di diverso tipo e causa e di media e
grave intensità, come pure in dolori indotti da interventi diagnostici
e chirurgici". Alcune di queste condizioni patologiche associate a dolore
non possono essere poste a carico del Servizio sanitario nazionale a causa
del loro carattere episodico. Infatti, questa nota è stata dettata
dall' intento di limitare la rimborsabilità del tramadolo al trattamento
del dolore cronico di natura neoplastica o degenerativa, in aggiunta agli
analgesici già disponibili in fascia A. Mentre la prescrizione di
oppiacei utilizzabili in queste situazioni è regolamentata dalla
Legge 49/2006, quella del tramadolo non avrebbe trovato alcuna limitazione
della rimobrsabilità, stante l' esclusione (Decreto del Ministero
della Salute del 19 giugno 2006) del medesimo principio attivo (considerato
a basso potere d' abuso) dalla Tabella II, sezione B e D, di cui alla Legge
49/2006. Attualmente, il tramadolo, per le indicazioni non a carico del
Ssn, è prescrivibile su ricetta bianca (RNR).
Evidenze disponibili
Il tramadolo è un analgesico con un doppio meccanismo d' azione:
è agonista oppioide dei recettori µ ed è responsabile
dell' inibizione della ricaptazione della noradrenalina e serotonina. E'
un farmaco non appartenente ad una classe specifica ed ha apparentemente
un basso potenziale d' abuso e di euforia. La sua efficacia sembra essere
simile a quella di dosi equianalgesiche di codeina e idrocodone, così
come la potenziale sedazione e nausea.
Particolari avvertenze
Benché il tramadolo sia indicato "per stati dolorosi acuti e
cronici di diverso tipo e causa e di media e grave intensità", in
caso condizioni neoplastiche e degenerative, il tramadolo si colloca ai
gradini più bassi dell' approccio farmacoterapeutico al dolore,
potendo disporre degli oppiacei per i gradini superiori. Non è consigliabile
affropntare i dolori più intensi aumentando le dosi di tramadolo,
considerando complessivamente il suo profilo beneficio/rischio. Infatti,
il tramadolo è risultato associato al rischio, anche se basso, di
crisi convulsive, e di comparsa di disturbi psichiatrici. Poiché
l' insorgenza di convulsioni può verificarsi a dosi di poco superiori
a quelle normalmente impiegate in terapia, la possibilità di aggiustare
i dosaggi è molto limitata. Pertanto, nel caso di risposta analgesica
inadeguata, anziché aumentare le dosi, è opportuno scegliere
un altro farmaco, possibilmente nella fascia superiore (III, oppioidi)
della scala OMS. Naturalmente, il tramadolo dovrebbe essere usato con estrema
cautela nei pazienti con un passato di crisi convulsive o nei pazienti
che assumono altri farmaci che abbassano la soglia convulsiva.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti con dolore
grave e persistente dovuto alle seguenti patologie documentate dal quadro clinico e/o strumentale:
-nevralgia post-erpetica correlabile clinicamente e topograficamente
ad infezione da herpes zoster
-neuropatia associata a malattia neoplastica
-dolore post-ictus o da lesione midollare
-polineuropatie,
multineuropatie, mononeuropatie dolorose, limitatamente ai pazienti nei
quali l'impiego degli antidepressivi triciclici (amitriptilina,
clomipramina) e della carbamazepina sia controindicato o risulti
inefficace: gabapentin, pregabalin
-neuropatia diabetica:
duloxetina,
gabapentin, pregabalin
L'impiego di questi farmaci non è assoggettato a nota limitativa
ed è a carico del SSN per le seguenti restanti indicazioni autorizzate:
trattamento della depressione per duloxetina e della epilessia per gabapentin
e pregabalin.
gabapentin pregabalin duloxetina
(ultimo aggiornamento in vigore dal 20 agosto 2008, Det AIFA del 17-7-08, GU 5-8-08)
Background
Il dolore neuropatico (o neurogeno) viene definito dall' International
Asssociation for the Study of Pain (IASP) come "dolore associato a lesione
primaria o disfunzione del sistema nervoso". Tale sindrome è stata
progressivamente identificata a partire da denominatori comuni essenzialmente
clinici, rappresentati sia dalla modalità di presentazione dei sintomi
(coesistenza di disturbi di sensibilità, assenza di stimolazione
nocicettiva), sia dalla durata (la cronicità del dolore neuropatico
è legata a persistenza per settimane, mesi o anni), sia dalla risposta
ai trattamenti farmacologici (scarsa agli oppioidi ed anti-infiammatori
non sterodei; significativa ai farmaci anticonvulsivanti, antidepressivi
e antiaritmici). Le condizioni cliniche responsabili del dolore neuropatico
sono identificabili in molteplici quadri morbosi associabili sia a compromissione
del sistema nervoso centrale che periferico. La valutazione dell' effetto
dei farmaci sul dolore è basata sull' impiego di scale analogiche
o numeriche strutturate per quantificarne l' entità o la ricaduta
su altri aspetti più generali del quadro clinico (ad es. la qualità
di vita).
Evidenze disponibili
Nessuno dei farmaci attualmente impiegati nella terapia del dolore
neuropatico è in grado di agire sulle cause del dolore stesso. L'
approccio terapeutico alla sintomatologia algica è dunque solo sintomatico
e non causale. La relazione tra eziologia, patogenesi e sintomi del dolore
neuropatico è complessa: in pazienti diversi lo stesso sintomo può
essere provocato da meccanismi diversi, e nello stesso paziente il dolore
può essere causato da più meccanismi contemporaneamente,
soggetti a variazioni nel tempo. La scelta del farmaco in una specifica
situazione morbosa deve quindi essere fatta privilegiando gli agenti la
cui efficacia è stata dimostrata nell' ambito di sperimentazioni
cliniche controllate.
Particolari avvertenze
La duloxetina è autorizzata soltanto per il trattamento della
neuropatia diabetica negli adulti, mentre gabapentin e pregabalin hanno
indicazioni meno selettive (dolore neuropatico in generale). Nonostante
ciò le condizioni cliniche più studiate per questi due ultimi
principi attivi sono quelle riportate nella presente nota. L' impiego di
questi farmaci per le restanti indicazioni autorizzate (trattamento della
depressione per la duloxetina e della epilessia per gabapentin e pregabalin)
non è assoggettato a nota limitativa.
La
prescrizione a carico del SSN è consentita nei pazienti in una delle
seguenti condizioni comportanti maldigestione e malassorbimento di grassi
e proteine:
- insufficienza pancreatica esocrina conseguente a pancreatite cronica
-pancreasectomia
-neoplasie del pancreas
-fibrosi cistica
Enzimi pancreatici: -pancrelipasi
Background
La pancreatite cronica, la fibrosi cistica e le neoplasie del pancreas
possono causare una perdita della funzionalità pancreatica con conseguente
riduzione della produzione degli enzimi.
Evidenze disponibili
La supplementazione orale con enzimi pancreatici si rende necessaria
per compensare la ridotta o assente secrezione causata da varie malattie
del pancreas con maldigestione e malassorbimento di grassi e proteine.
Particolari avvertenze
Attualmente tutte le preparazioni disponibili sono "gastroprotette"
per cui non serve associare alla supplementazione di enzimi pancreatici
anche inibitori della secrezione acida gastrica o antiacidi. La posologia
è regolata sulla base del numero di scariche alvine, la consistenza
e la quantità delle feci riferite dal paziente che assume la terapia
sostitutiva con gli enzimi pancreatici. Gli enzimi pancreatici possono
provocare irritazione perianale, se assunti in dosaggio eccessivo e periorale
e se trattenuti in cavità orale. Possono anche causare nausea, vomito,
gonfiore addominale e, raramente, iperuricemia ed iperuricosuria La prescrizione
di enzimi pancreatici non è rimborsata dal SSN per il trattamento
della semplice dispepsia.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche, secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle
Province Autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti
condizioni:
-carenza primaria di carnitina
-carenza di carnitina secondaria a trattamento dialitico
-levocarnitina
Background
La carnitina è un costituente essenziale dell' organismo e svolge
un ruolo di rilievo nel metabolismo energetico a livello mitocondriale;
il SSN garantisce pertanto la gratuità dell' erogazione per coloro
che hanno carenza primaria di carnitina, evidenziata mediante dosaggio
della carnitina nel plasma o in biopsie muscolari. I valori normali di
carnitina nel plasma sono di circa 25 µmol/L nell' infanzia e di
54 µmol/L nell' età adulta; nella pratica clinica viene posta
diagnosi di carenza primaria per livelli ematici inferiori a 2 µmol/L
o per concentrazioni tissutali minori del 10-20% rispetto ai valori normali.
Evidenze disponibili
Una carenza secondaria può verificarsi durante trattamento dialitico.
Sono state pubblicate 3 ricerche (anche se condotte su un numero limitato
di pazienti), in cui è stata dimostrata la possibilità di
ridurre la posologia dell' eritropoietina in circa il 50% dei casi trattati
con 1 grammo di levocarnitina per via endovenosa a fine dialisi. La levocarnitina
può pertanto essere usata in regime ospedaliero anche domiciliare,
quando sia stato ottimizzato l' apporto di ferro, per ridurre la posologia
dell' eritropoietina e per migliorare l' insufficiente risposta alla terapia
con eritropoietina che si verifica in alcuni pazienti. Secondo la Società
Italiana di Nefrologia per i pazienti in trattamento emodialitico cronico
sarebbe preferibile la somministrazione della L-carnitina per via endovenosa
alla dose di 20 mg/kg a fine dialisi. Infatti solo il 15% di una dose orale
di L-carnitina è assorbita; la rimanente dose viene degradata dai
batteri intestinali in trimetilamina (TMA) e trimetilamina-N-ossido (TMAO),
sostanze che vengono escrete dal rene nel soggetto normale, ma non nei
pazienti in trattamento dialitico.
Particolari avvertenze
L' accumulo di queste sostanze nei pazienti in dialisi può determinare
disturbi cognitivi e alitosi. Il trattamento con levocarnitina dovrebbe
essere sospeso se, dopo 4 mesi di terapia, non sia stato possibile dimostrare
una riduzione della posologia dell' eritropoietina. Attualmente le sole
specialità incluse nella nota sono a base di formulazioni utilizzabili
per via orale mentre le evidenze disponibili si riferiscono a studi effettuati
con formulazioni utilizzate per via endovenosa.
Le
note 9 - 9 bis sono abolite
e la prescrizione del clopidogrel a carico del SSN è vincolata
all' adozione del Piano Terapeutico AIFA riportato in allegato (vedi Allegato
3).
-
ticlopidina
- clopidogrel
Background
La nota 9, che limitava la rimborsabilità della ticlopidina
a determinate situazioni cliniche, è da ritenersi superata in base
all' esperienza e alle conoscenze ormai acquisite su questo farmaco. La
limitazione del suo impiego ai soggetti intolleranti all' ASA dovrebbe
essere considerata un' acquisizione medica dettata direttamente dal suo
limitato profilo di sicurezza, piuttosto che proposta mediante una nota
riguardante la sua rimborsabilità. Pertanto, la ticlopidina può
essere prescritta a carico del Servizio sanitario nazionale senza le limitazioni
delle precedente nota 9 (ora abolita), ma con una particolare attenzione
al rischio di reazioni avverse gravi a livello della crasi ematica (leucopenia
e/o piastrinopenia). La raccomandazione di sorvegliare tale rischio rimane
tuttora valida. Al tempo stesso, le evidenze a sostegno dell' impiego del
clopidogrel pubblicate in questi ultimi anni hanno suggerito un superamento
delle limitazioni dettate dalla nota 9bis mediante l' adozione di un piano
terapeutico AIFA (PT-AIFA), di tipo vincolante, nel quale sono previste
le situazioni cliniche per le quali la prescrizione di clopidogrel è
a carico del Servizio sanitario nazionale.
Evidenze disponibili
In base alla metanalisi del Antithrombotic Trialists' Collaboration
la ticlopidina si è dimostrata efficace al pari di altri antiaggreganti
nella prevenzione degli eventi vascolari gravi in pazienti ad alto rischio.
Inoltre, da una metanalisi sull' impiego a breve termine di antiaggreganti
in aggiunta all' ASA dopo intervento di stent coronarico non sono emerse
differenze significative tra ticlopidina e clopidogrel.
Per quanto riguarda il clopidogrel, le principali evidenze a sostegno
delle situazioni cliniche ammesse alla rimborsabilità nel piano
terapeutico AIFA (vincolante) sono le seguenti. -Sindrome coronarica acuta
senza innalzamento del tratto ST in associazione con ASA: si veda lo studio
di Yusuf et al., 2001. -Angioplastica percutanea (PTCA) con applicazione
di stent: si veda lo studio PCI-CURE di Metha et al, 2001, nonché
le linee guida American College of Cardiology/American Heart Association
del 2005. -Terapia antiaggregante a breve termine per la prevenzione secondaria
dell' infarto in associazione con ASA: si vedano gli studi COMMIT e CLARITY-TIMI.
-Terapia antiaggregante a lungo termine per la prevenzione secondaria dell'
infarto e dell' ictus: si vedano lo studio CAPRIE e l' analisi post-hoc
dello studio stesso, pubblicata nel 2004 su Stroke. -
Particolari avvertenze
Per la ticlopidina, una grave leucopenia, spesso reversibile all' interruzione
del trattamento, è la complicanza principale (circa dell' 1% dei
pazienti). Si può presentare un fenomeno ancora più grave
quale la porpora trombotica trombocitopenica. Sono stati documentati anche
casi di anemia aplastica. Il rischio di alterazioni ematologiche anche
gravi, leucopenia e/o piastrinopenia rende indispensabile nei pazienti
trattati con ticlopidina un monitoraggio mediante l' esecuzione periodica
dell' esame emocromocitometrico Anche per il clopidogrel sono stati documentati
casi di porpora trombocitopenica. Va inoltre tenuto presente il rischio
di sanguinamento nei pazienti trattati. Tale rischio di base aumenta con
l' associazione con ASA.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti con:
anemie megaloblastiche dovute a carenza di vitamina B12 e/o di folati
acido
folico
cianocobalamina
idrossicobalamina
Background
La cianocobalamina e l' acido folico hanno un ruolo fondamentale per
la crescita e la replicazione cellulare.Il sistema emopoietico risulta
particolarmente sensibile alla loro carenza in quanto presenta un elevato
turn-overcellulare. Il deficit di cobalamina e/o acido folico rappresenta
la causa della maggior parte delle anemiemegaloblastiche. In questi casi,
l' approccio terapeutico è rappresentato dalla terapia sostitutiva.
Evidenze disponibili
Il deficit di cobalamina può essere dovuto a malassorbimento
causato ad esempio da un' insufficiente produzione di fattore intrinseco
o da malattie dell' ileo terminale. L' anemia perniciosa è considerata
la causa più comune di deficit di cobalamina ed è dovuta
all' assenza del fattore intrinseco provocata da atrofia della mucosa gastrica
o da distruzione autoimmunitaria delle cellule parietali. Il deficit di
acido folico può essere dovuto ad un apporto insufficiente, ad aumentato
fabbisogno e a malassorbimento.
Particolari avvertenze
Le formulazioni di acido folico, al dosaggio di 400 mcg, autorizzate
per la profilassi primaria dei difetti dello sviluppo del tubo neurale
in donne in età fertile che stanno pianificando una gravidanza,
sono rimborsate dal SSN e non sono soggette a nota limitativa.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni:
recupero (rescue) dopo terapia con antagonisti dell' acido diidrofolico
acido folinico e suoi analoghi
Background
I farmaci antagonisti dell' acido folico agiscono inibendo la deidrofolato
reduttasi enzima coinvolto nel metabolismo dei folati, per questo motivo
possono provocare effetti tossici a carico di cellule a divisione rapida
quali il midollo osseo e l' epitelio gastro-intestinale.
Evidenze disponibili
La somministrazione di acido folinico risolve la deplezione provocata
dalla somministrazione di antagonisti dell' acidofolico e in particolare:a)
nelle forme orali e nelle forme iniettabili per uso ospedaliero, per contrastare
la tossicità a livello del midolloemopoietico, della mucosa gastrointestinale
e della cute dopo somministrazione a scopo antitumorale del metotrexato,antagonista
della diidrofolato reduttasi;b) nelle forme iniettabili per uso ospedaliero,
in associazione a 5FU, per modularne l' efficacia terapeutica.
Particolari avvertenze
L'utilizzo del farmaco per altre indicazioni non ha motivazioni ai
fini dell' ammissione alla rimborsabilità.
La nota 12 è rimasta in vigore fino al 8 marzo 2008 (pubblicazione ed entrata in vigore del Piano Terapeutico AIFA, adottato con Det AIFA del 11-2-08).
[Eritropoietina e nuove preparazioni: -darbepoetina alfa; -epoetina alfa; -epoetina beta]
La prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di
centri specializzati, Universitari o delle Aziende Sanitarie, individuali
dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Balzano, è limitala
alle seguenti condizioni:
- trattamento dell'anemia (Hb < 11 g/dL) associata ad insufficienza
renale cronica in bambini e in adulti sia in trattamento dialitico sia
in trattamento conservativo; quando Hb > 12 g/dL il trattamento deve essere
interrotto;
trattamento dell'anemia (Hb < 10 g/dL ma non < 8 g/dL) nei pazienti
oncologici che ricevono chemioterapia antiblastica; in caso di Hb <
8 g/dL è è indicata 1' emotrasfusione;
- trattamento dell'anemia (Hb < 10 g/dL o riduzione dell'emoglobina
> 2 g/dL durante un qualsiasi periodo di 4 settimane di trattamento) nei
pazienti trapiantati di fegato o con diagnosi clinica o istologica di cirrosi,
che ricevono ribavirina in combinazione con interferone standard o peghilato
e che presentano risposta virologica alla terapia;
in pazienti HIV pluritrattati con anemia (Hb < 8,5 g/dL) nei quali
l'uso di farmaci anemizzanti è l'unica alternativa terapeutica.
La prescrizione di epoetina o, e p e darbepoetina a non è rimborsata
dal SSN per altre indicazioni autorizzate.
Motivazioni e criteri applicativi
L'impiego dell'eritropoietina per l'emodonazione ai
fini dell'autotrasfusione è limitato all'ambiente ospedaliere. La
ribavirina, impiegata nel trattamento dell'epatite cronica da HCV induce
universalmente anemia emolitica seppure con gravita eterogenea. Il 9% dei
soggetti inclusi in trial cimici sulla terapia dell'epatite cronica da
HCV che assumevano ribavirina ha richiesto riduzione della dose o interruzione
del farmaco (1, 2). Una riduzione della dose di ribavirina è risultata
negli stessi studi correlata ad una marcata diminuzione delle probabilità
di risposta sostenuta (1, 2). Uno studio ha dimostrato che la somministrazione
di eritropoietina è in grado di mantenere elevati livelli di emoglobina
e dosi elevate di ribavirina in pazienti con anemia (3, 4). L'effetto dell'aderenza
alla terapia sulle percentuali di risposta sostenuta e l'efficacia dei
trattamenti anti epatite, anche in pazienti con malattia epatica avanzata
(1, 2) in cui una risposta al trattamento è estremamente e rapidamente
produttiva in termini di anni di vita salvati, sono stati ampiamente dimostrati.
Si ritiene pertanto utile, in accordo con le linee guida internazionali
(5), di consentirne l'uso come terapia aggiuntiva alla terapia con ribavirina,
ma solo in gruppi di pazienti selezionati con risposta virologica alla
terapia.
La risposta virologica è definita come negativizzazione
della viremia HCV con PCR qualitativa o decremento rispetto al basale di
almeno 1 logaritmo dopo meno di un mese di terapia o di due logaritmi dopo
meno di tre mesi di terapia. La posologia e la frequenza della somministrazione
andrà adattata sulla risposta del singolo paziente in maniera tale
da mantenere livelli di emoglobina stabili (con decrementi inferiori ai
2 g/dL in 4 settimane e > 10 g/dL) durante il trattamento. L'anemia indotta
dai farmaci antiretrovirali può limitarne l'impiego laddove le opzioni
terapeutiche siano già ridotte. In tale contesto è stata
ampiamente dimostrata l'utilità dell'eritropoietina in termini di
miglioramento della qualità di vita e dell'anemia. La posologia
e la frequenza della somministrazione andrà adattata sulla risposta
del singolo paziente in maniera tale da mantenere livelli di emoglobina
stabili (> 8,5 g/dL) durante il trattamento.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti affetti da:
-dislipidemie familiari
bezafibrato, fenofibrato, gemfibrozil atorvastatina, fluvastatina,
lovastatina, pravastatina, rosuvastatina, simvastatina, simvastatina +
ezetimibe
omega 3 etilesteri
-ipercolesterolemia non corretta dalla sola dieta:
in soggetti a rischio elevato di un primo evento
cardiovascolare maggiore (rischio a 10 anni > 20% in base alle Carte di
Rischio del Progetto Cuore dell' Istituto Superiore di Sanità) (prevenzione
primaria)
in soggetti con coronaropatia documentata o pregresso
ictus o arteriopatia obliterante periferica o pregresso infarto o diabete
(prevenzione secondaria)
atorvastatina, fluvastatina, lovastatina, pravastatina, rosuvastatina,
simvastatina,
simvastatina + ezetimibe
in soggetti con pregresso infarto del miocardio
(prevenzione secondaria)
omega 3 etilesteri
-iperlipidemie non corrette dalla sola dieta:
indotte da farmaci (immunosoppressori, antiretrovirali e inibitori
della aromatasi)
in pazienti con insufficienza renale cronica
atorvastatina, fluvastatina, lovastatina, pravastatina, rosuvastatina,
simvastatina, simvastatina + ezetimibe
bezafibrato, fenofibrato, gemfibrozil
omega 3 etilesteri
Ipolipemizzanti:
Statine:
Altri:
Fibrati:
-bezafibrato
-fenofibrato
-gemfibrozil
-atorvastatina
-fluvastatina -lovastatina
-pravastatina
-rosuvastatina -simvastatina
-simvastatina +ezetimibe
-omega 3 etilesteri
Background
La corretta alimentazione rappresenta, assieme all' aumento dell' attività
fisica ed alla sospensione del fumo, il primo provvedimento da attuare
nel controllo del rischio cardiovascolare. Solo dopo tre mesi di dieta
adeguatamente proposta al paziente ed eseguita in modo corretto, dopo aver
escluso le cause di dislipidemia familiare o dovute ad altre patologie
(ad esempio l' ipotiroidismo oppure patologie HIV correlate) si può
valutare il Rischio Cardiovascolare Globale Assoluto (RCGA) e, se superiore
al 20% a 10 anni, iniziare una terapia ipolipemizzante. Le correzioni delle
abitudini alimentari, l' aumento dell' attività fisica insieme con
la sospensione del fumo devono essere significativi, permanenti e mantenuti
anche quando viene iniziata la terapia farmacologica. L' ultima revisione
della nota 13 è stata caratterizzata dall' introduzione delle carte
di rischio italiane prodotte dall' Istituto Superiore di Sanità
all' interno del Progetto Cuore (www.cuore.iss.it). Nelle carte di rischio
italiane si fa riferimento al RCGA stimato a 10 anni sia per gli uomini
che per le donne per eventi fatali e non fatali riferibili a malattia cardiovascolare
maggiore (in particolare infarto del miocardio sicuro e possibile, morte
coronarica, morte improvvisa, ictus e interventi di rivascolarizzazione).
A questo proposito è importante ricordare che il calcolo del RCGA
per la rimborsabilità delle statine in prevenzione primaria si è
basato fino al 2004 su differenti carte di rischio sviluppate su popolazioni
statunitensi, carte che tendevano a sovrastimare il RCGA nella nostra popolazione.
Dislipidemie familiari
Le dislipidemie familiari sono malattie su base genetica a carattere
autosomico (recessivo, dominante o co-dominante a seconda della malattia)
caratterizzate da elevati livelli di alcune frazioni lipidiche del sangue
e da una grave e precoce insorgenza di malattia coronarica. Le dislipidemie
sono state finora distinte secondo la classificazione di Frederickson,
basata sull' individuazione delle frazioni lipoproteiche aumentate. Questa
classificazione
è stata superata da unagenotipica.Ad oggi non sono presenti criteri
internazionali consolidati per la diagnosi molecolare di alcune delle forme
familiari,pertanto vengono utilizzati algoritmi diagnostici che si basano
sulla combinazione di criteri biochimici, clinici edanamnestici.Tra le
forme familiari quelle che più frequentemente si associano a cardiopatia
ischemica prematura sonol' ipercolesterolemia familiare, l' iperlipidemia
familiare combinata e la disbetalipoproteinemia.
Ipercolesterolemia familiare monogenica (prevalenza 1:500)
Malattia genetica in genere dovuta a mutazioni del gene che codifica
il recettore delle LDL.Per la diagnosi di queste forme, le metodiche di
biologia molecolare sono specifiche intorno all' 80%, per cui ai finidiagnostici
esiste consenso internazionale sull' utilizzo di criteri biochimici, clinici
ed anamnesticiI cardini di questi criteri, sostanzialmente condivisi da
tutti gli algoritmi diagnostici proposti, includono:
Iperlipidemia combinata familiare (prevalenza 1:100)
Espressione fenotipica collegata a molte variazioni genetiche (nello
studio EUFAM se ne sono contate per 27 geni) conmeccanismi fisiopatologici
legati al metabolismo delle VLDL.Eziologia non è stata ancora chiarita
e i criteri diagnostici sui quali è presente un consenso sono:
Disbetalipoproteinemia familiare
Patologia molto rara che si manifesta nei soggetti portatori dell'
isoforma apoE2 in modo omozigote <1:10.000. I criteri diagnostici includono:
Avvertenza
I centri specialisti, già identificati per le certificazioni,
per le iperlipidemie possono fungere da supporto per la decisione diagnostica
e per la soluzione di eventuali quesiti terapeutici.
Ipercolesterolemia non corretta dalla sola dieta
Nelle malattie cardiovascolari non è individuabile una causa
unica. Sono noti diversi fattori che aumentano nella persona il rischio
di sviluppare la malattia e predispongono l' organismo ad ammalarsi. I
più importanti sono: abitudine al fumo di sigaretta, diabete, valori
elevati della colesterolemia, valori elevati della pressione arteriosa,
età e sesso e, inoltre, la scarsa attività fisica, l' obesità
e la familiarità alla malattia. L' entità del rischio che
ogni persona ha di sviluppare la malattia dipende dalla combinazione dei
fattori di rischio o meglio dalla combinazione dei loro livelli; il fattore
più importante è l' età, pertanto il rischio aumenta
con l' avanzare dell' età, ma, attraverso un sano stile di vita,
è possibile mantenerlo a un livello favorevole. La nuova nota 13
stabilisce per il trattamento ipocolesterolemizzante non un valore soglia
verticale ma un valore decisionale basato sul RCGA. Per convenzione internazionale
è considerato a rischio elevato un paziente con rischio ≥20%
a 10 anni. Le carte del Progetto Cuore non consentono la valutazione del
rischio cardiovascolare per la popolazione con età superiore a 70
anni. Ciò anche in assenza di una serie di studi specificatamente
dedicati a questa fascia di età. Per tale motivo si ritiene che
in questi casi la valutazione del rischio debba essere lasciata alla valutazione
del singolo medico che terrà conto delle comorbidità.
Iperlipidemie non corrette dalla sola dieta
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte dei pazienti
con insufficienza renale cronica (IRC). La National Kidney Foundation,
nello stabilire le Linee Guida per il trattamento dell' IRC, ritiene che
l' incidenza di danno aterosclerotico in pazienti con IRC sia superiore
a quella della popolazione generale. Per tale motivo richiede un accurato
controllo dei fattori di rischio, tra cui la dislipidemia. Per pazienti
adulti con IRC in stadio 5 (GRF<15ml/min o trattamento sostitutivo della
funzione renale) il trattamento farmacologico delle dislipidemie è
indicato, nel caso di insuccesso di dieta e cambiamento di abitudini di
vita, per livelli di trigliceridi ≥500 mg/dL con fibrati, per livelli
di LDL-C≥130 mg/dL con statine a basse dosi e per livelli di LDLC<100
mg/dL, trigliceridi ≥200 mg/dL e colesterolo non HDL (tot C meno
HDL-C) ≥130 mg/dL. Le statine sembrano efficaci nella prevenzione
di eventi vascolari in pazienti vasculopatici e con moderata IRC e sono
in grado di rallentare la progressione della malattia renale. Viene raccomandata
la riduzione del dosaggio in funzione del filtrato glomerulare.
Nei pazienti con infezione da HIV, a seguito dell' introduzione della HAART (terapia antiretrovirale di combinazione ad alta efficacia), è frequente l' insorgenza di dislipidemia indotta dai farmaci antiretrovirali che, nel tempo, può contribuire ad un aumento dell' incidenza di eventi cardio-vascolari, sviluppabili anche in giovane età. Da studi di coorte prospettici, se pur non tutti concordi, emerge un rischio relativo di eventi ischemici vascolari pari a circa 1.25 per anno con incremento progressivo e proporzionale alla durata di esposizione alla terapia antiretrovirale. La prevalenza di dislipidemia nei pazienti HIV positivi è variabile in rapporto al tipo di terapia antiretrovirale, comunque è intorno al 25% per la colesterolemia e oltre il 30% per l' ipertrigliceridemia. Alla luce di questi dati, nella pratica clinica l' utilizzo di farmaci ipolipemizzanti nei pazienti con infezione da HIV in trattamento antiretrovirale si è reso necessario, laddove la riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare "modificabili" non si riveli sufficiente a mantenere i valori di colesterolemia e trigliceridemia entro i limiti consigliati dalla Carta del Rischio Cardiovascolare dell' ISS e laddove, per motivi clinici e/o virologici, non sia sostituibile la terapia antiretrovirale in atto.
Evidenze disponibili
Vengono considerati a rischio elevato i soggetti che, in base alla
combinazione dei 6 principali fattori (età, sesso, diabete, fumo,
valori di pressione arteriosa e di colesterolemia), abbiano un rischio
uguale o maggiore del 20% di sviluppare un evento cardiovascolare nei successivi
10 anni. Tale rischio può essere stimato utilizzando la carta del
rischio cardiovascolare elaborata dall' Istituto Superiore di Sanità.
In alternativa è possibile utilizzare l' algoritmo elettronico cuore.exe
dell' Istituito Superiore di Sanità, scaricabile gratuitamente dal
sito del Progetto Cuore, (www.cuore.iss.it). Tale algoritmo è puntuale
e considera in aggiunta ai sei fattori della carta la HDL-colesterolemia
e la terapia antipertensiva.
Starà al giudizio del medico modulare verso il basso la stima
del rischio nei pazienti ipercolesterolemici nei quali è già
in atto un controllo farmacologico o non farmacologico di altri fattori
di rischio (obesità, ipertensione, diabete). In tali casi, il medico
potrà decidere quale o quali trattamenti farmacologici privilegiare,
anche in base ai livelli dei diversi fattori considerati, non essendo proponibile
assumere medicine per ognuno di essi.
Particolari avvertenze
L' uso dei farmaci ipolipemizzanti deve essere continuativo e non occasionale.
Lo stesso, comunque, va inserito in un contesto più generale di
controllo degli stili di vita (alimentazione, fumo, attività fisica,
etc.). La strategia terapeutica (incluso l' impiego delle statine) va definita,
in prevenzione primaria, in base alla valutazione del rischio cardiovascolare
globale e non di ogni singolo fattore di rischio, facendo riferimento alle
Carte di Rischio Cardiovascolare elaborate dall' Istituto Superiore di
Sanità all' interno del Progetto Cuore (www.cuore.iss.it). Le Carte
del Rischio dell' ISS saranno sottoposte a continua verifica ed aggiornamento
e sono collegate con un progetto di ricerca denominato RiACE (Rischio Assoluto
Cardiovascolare-Epidemiologia) promosso e finanziato dall' Agenzia Italiana
del Farmaco (AIFA), per verificare nella pratica assistenziale della Medicina
Generale la trasferibilità, l' applicabilità, i carichi assistenziali
e gli esiti della prevenzione cardiovascolare primaria e secondaria.
La
prescrizione a carico del SSN, s u diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche delle Aziende Sanitarie, è limitata alle seguenti
condizioni:
-dopo paracentesi evacuativa a largo volume nella cirrosi epatica
-grave ritenzione idrosalina nella cirrosi ascitica, nella sindrome
nefrosica o nelle sindromi da malassorbimento (ad es. intestino corto post-chirurgico
o da proteinodispersione), non responsiva a un trattamento diuretico appropriato,
specie se associata ad ipoalbuminemia ed in particolare a segni clinici
di ipovolemia
-Albumina umana
Background
Il trattamento con albumina ha indicazioni non frequenti ed è
spesso soggetto ad uso incongruo, sia in ospedale sia nella pratica extraospedaliera.
Come documentato dalle evidenze riportate nel testo che segue, l' ipoalbuminemia
di per sé non è un'indicazione all' infusione di albumina.
L' uso di albumina o di altri colloidi in pazienti in condizioni critiche
associate o no a ipovolemia non è preferibile all' uso di soluzioni
di cristalloidi. Le soluzioni concentrate di albumina hanno specifiche
indicazioni nella cirrosi, rappresentate dalla protezione della funzione
renale post-paracentesi e nella peritonite batterica spontanea.
Evidenze disponibili
Secondo linee guida non recenti elaborate da una Consensus Conference,
l' albumina può trovare indicazione in pazienti in condizioni critiche
con ipovolemia, ustioni estese o ipoalbuminemia. Più recentemente
sono state pubblicate 3 meta-analisi relative all' impiego terapeutico
dell' albumina: non vi sono evidenze che l' albumina riduca la mortalità
in pazienti in condizioni particolarmente critiche. La prima e la seconda
(quest' ultima è un aggiornamento della prima), rispettivamente
di 23 e 32 trial, hanno esaminato gli effetti dell' albumina in pazienti
in condizioni critiche e con ipovolemia, ustioni o ipoalbuminemia. La prima
meta-analisi mostra una mortalità più alta nei pazienti trattati
con albumina che in quelli trattati con soluzioni di cristalloidi sia nei
pazienti con ipovolemia, che in quelli con ustioni o con ipoalbuminemia.
I risultati della seconda metanalisi non mostrano evidenze tali per cui
l' albumina, nella stessa tipologia di pazienti, possa ridurre la mortalità:
secondo questo aggiornamento, nei pazienti con ustioni è confermato
che l' uso di albumina possa aumentare il rischio di morte, mentre nei
pazienti con ipovolemia o con ipoalbuminemia il rischio aumenta ma non
è stastisticamente significativo (RR = 1,01; IC 95%: 0,92 - 1,10
per gli ipovolemici e RR = 1,38; IC 95%: 0,94 - 2,03 per i pazienti con
ipoalbuminemia). I risultati della prima di queste due meta-analisi furono
esaminati da un gruppo di esperti, riunito dal Committee on Safety of Medicines
inglese, il quale concluse che non erano presenti sufficienti evidenze
per ritirare l' albumina dal mercato, raccomandando tuttavia prudenza e,
in particolare, la sorveglianza per eventuale sovraccarico circolatorio
nell' eventuale uso dell' albumina in queste condizioni. La terza meta-analisi.
ha esaminato separatamente i trial sull' uso di albumina in differenti
condizioni. I risultati evidenziano che l' aumento del rischio di mortalità
correlato all' uso di albumina in pazienti gravi è probabilmente
basso; i dati mostrano una tendenza, anche se non significativa, all' aumento
di mortalità dopo trattamento con albumina nei pazienti chirurgici
o traumatizzati (RR = 1,12; IC 95%: 0,85-1,46), negli ustionati (RR = 1,76;
IC 95%: 0,97-3,17), e nei pazienti con ipoalbuminemia (RR = 1,59; IC 95%:
0,91-2,78). Risultati sovrapponibili di effetti sfavorevoli dell' albumina
si ritrovano in altre due revisioni sistematiche, che esaminavano i trial
sull' uso di albumina o di altri colloidi. Anche una recente metanalisi
non ha evidenziato un minor rischio di morte associato all' uso di colloidi
versus cristalloidi nei pazienti critici. Di maggior interesse per la pratica
extraospedaliera è l' eventuale impiego di albumina nella cirrosi
e nelle sindromi nefrosiche. Nella cirrosi è generalmente ammesso,
con qualche riserva, un effetto favorevole dell' albumina dopo paracentesi
evacuativa; più recentemente è stato riportato un effetto
favorevole significativo di quantità molto alte di albumina sulla
mortalità nella peritonite batterica spontanea (SBP, dall' inglese
Spontaneous Bacterial Peritonitis),che rappresenta una severa e frequente
complicazione nei pazienti cirrotici con ascite. Limiti del trial sono
la mancanza di cecità, e di un dose finding che spieghi la scelta
di dosi così elevate di albumina. In entrambi i casi l' effetto
sembra mediato attraverso la protezione della funzione renale. Uno schema
di trattamento multifasico non usuale, studiato in un trial, ha mostrato
un debole effetto favorevole di brevi cicli di albumina nei pazienti con
grave ritenzione idrosalina non responsiva al trattamento diuretico; nello
stesso trial, però, trattamenti prolungati non miglioravano la sopravvivenza
né riducevano significativamente le complicanze. Nella meta-analisi
di Wilkes e Navickis sono inclusi quattro trial sull' uso di albumina nella
cirrosi, esaminati separatamente da quelli condotti in altra patologia.
Fra i quattro trial sono compresi i due sopracitati. Il risultato della
meta-analisi dei quattro trial non è significativo (RR = 0,93; IC
95%: 0,67-1,28); è significativo l' aumento di sopravvivenza nel
trial condotto nella SBP, mentre il risultato puntiforme degli altri tre
trial è sul versante dell' aumento di mortalità, con intervallo
di confidenza che attraversa la linea di equivalenza. Un trial recente
dimostrerebbe un aumento di sopravvivenza in pazienti trattati long term
con infusioni (25g/settimana nel primo anno, 25g/ogni due settimane nel
secondo anno). Tuttavia, i risultati negativi degli studi precedenti e
riserve metodologiche di questo studio più recente (p. es: 10 anni
per reclutare 100 pazienti consecutivi con cirrosi; sovrapposizione dei
10 anni di reclutamento con i 4 anni di reclutamento di un precedente trial
dello stesso gruppo, senza che sia chiaro il rapporto fra i due trial;
paracentesi non associate ad infusioni di albumina; analisi per protocol,
senza indicazione di withdrawal o cambiamenti di gruppo; non cecità
e non indicazione di cecità degli sperimentatori che hanno condotto
le analisi suggeriscono di attendere altri trial. Una ulteriore linea di
evidenza emerge dall' esame di revisioni non sistematiche e di trattati
recenti, che non citano l' impiego dell' albumina come complemento alla
terapia diuretica nella cirrosi ascitica; fra queste revisioni, l'aggiornamento
al maggio 2000 delle linee guida dello University Hospital Consortium limiterebbe
l'uso dell'albumina alle paracentesi evacuative e conclude che "l'uso dell'
albumina senza paracentesi dovrebbe essere evitato". Occasionalmente, l'
uso dell' albumina può apparire logico nella sindrome nefrosica
o nelle condizioni di malassorbimento o proteino-dispersione intestinale,
in cui l' edema massivo è associato a ipovolemia clinicamente manifesta
(ipotensione, tachicardia, oliguria).
Particolari avvertenze
Il plasma e i sostituti del plasma sono spesso usati in pazienti molto
gravi, in condizioni instabili. Pertanto è necessarioun controllo
molto accurato e la terapia idratante ed elettrolitica dovrebbe essere
di continuo aggiustata in base allecondizioni del paziente.L' albumina
non è rimborsata dal SSN per altre indicazioni autorizzate.
La
prescrizione per la terapia antitumorale e dell' AIDS a carico del SSN
è limitata alle seguenti condizioni:
-neoplasia della mammella e carcinoma dell' endometrio
-sindrome anoressia/cachessia da neoplasia maligna in fase avanzata
o da AIDS
-medrossi-progesterone
-megestrolo
Background
I progestinici megestrolo acetato, medrossiprogesterone acetato sono
utilizzati come seconda e terza linea di terapia nel cancro mammario. Trovano,
altresì, impiego per il trattamento dei carcinomi endometriali e
renali (limitatamente al medrossiprogesterone acetato per via orale) e
sono scarsamente impiegati nel cancro prostatico. Le indicazioni cancro
dell' endometrio e mammario, per i due steroidi, sono sufficientemente
basate su evidenze tali da permetterne il rimborso da parte del SSN. Il
loro impiego nel carcinoma renale ed ancor più in quello prostatico
è da valutare caso per caso e, relativamente al carcinoma renale,
è limitato al medrossiprogesterone acetato per via orale.
Evidenze disponibili
Megestrolo acetato e medrossiprogesterone acetato per via orale trovano
anche impiego, supportato in letteratura, nellacosiddetta sindrome anoressia/cachessia.
Questa è caratterizzata da progressiva perdita di peso (>10% del
peso ideale),anoressia, nausea cronica, malassorbimento, astenia, cambiamento
dell' immagine corporea, impoverimento delPerformance Status. Tale sindrome
si rileva in pazienti affetti da neoplasia maligna in fase avanzata e da
AIDS, finoall' 80% in pazienti oncologici terminali, e rappresenta un importante
fattore prognostico negativo.Gli obiettivi maggiori dei trattamenti con
progestinici riguardano, nell' anoressia/cachessia da cancro e da AIDS,
ilrecupero ponderale, l' aumento dell' appetito e dell' introito calorico.
Obiettivi secondari sono costituiti dal controllodella nausea cronica e
del dolore e dal miglioramento del Performance Status e della qualità
della vita.Le evidenze che megestrolo acetato e medrossiprogesterone acetato
sono in grado di conseguire tali obiettivi terapeuticisono mostrate da
studi clinici controllati in doppio cieco e con dimensione del campione
adeguata.Vi è anche dimostrazione che l' impatto di questi trattamenti
sul peso corporeo è dovuto a un aumento reale della massamagra e
grassa, e soprattutto grassa, piuttosto che a ritenzione idrica.Gli studi
hanno infine evidenziato che il miglior effetto terapeutico si ottiene
con dosaggi di medrossiprogesteroneacetato di 500-1.000 mg/die e di megestrolo
acetato di 160-320 mg/die per via orale.Gli effetti in pazienti con carcinomi
gastrointestinali non sembrano molto favorevoli.Effetti antianoressici
e di incremento sul peso corporeo sono stati rilevati anche nella fibrosi
cistica.
Fattori di crescita dei leucociti: Le note 30 e 30 bis rimangono in vigore fino alla pubblicazione del Piano Terapeutico AIFA, -filgrastim adottato con atto separato.
-lenograstim -molgramostim -pegfilgrastim
La prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di
centri specializzati, Universitari o delle Aziende Sanitarie, individuati
dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Balzano è limitata
alle seguenti condizioni:
-neutropenia congenita o da chemioterapia;
-trapianto di midolle osseo;
-mobilizzazione di cellule staminali periferiche;
-neutropenia (neufrofìli < 750/uL) nei pazienti trapiantati
di fegato o con diagnosi clinica di cirrosi, che ricevono interferone standard
o peghilato in monoterapia o in combinazione con ribavirina e che presentano
risposta virologica precoce alla terapia;
-neutropenia HIV correlata o correlata ai farmaci antiretrovirali in
pazienti pluritrattati che necessitino di farmaci ad azione neutropenizzante.
La prescrizione dei fattori di crescita dei leucociti non è rimborsata dal SSN per altre indicazioni autorizzate.
Motivazioni e criteri applicativi
L'utilizzo dei fattori di crescita emopoietici attivi
sui precursori della serie granulocitaria (G-CSF) ha migliorato il corso
delle neutropenie congenite severe, riducendo la frequenza delle infezioni
gravi e aumentando la sopravvivenza dei pazienti (1,2). Le linee guida
per l'impiego dei fattori di crescita emopoietici (CSF) per i pazienti
sottoposti a terapie antiblastiche ed a trapianto di midollo sono state
definite nel 1994 e successivamente revisionate dalla American Society
of Clinical Oncology (3-5).
Profilassi della neutropenia. febbrile.
• Somministrazione primaria: i dati recenti
supportano sempre meno un possibile vantaggio terapeutico di regimi molto
mielodepressivi nei tumori solidi (7). La profilassi può essere
considerata un'opzione solo nei pazienti con rischio di neutropenia febbrile
^ 40%. Tuttavia, anche in questo sottogruppo di pazienti i dati disponibili
dimostrano una riduzione dei tempi di ricovero conseguenti ai trattamenti
antibiotici, ma non un vantaggio di sopravvivenza (4, 7). Ugualmente non
viene nessuna evidenza che supporti l'utilizzo generalizzato dei fattori
di crescita in pazienti neutropenici al momento di riprendere la terapia.
• Somministrazione secondaria ad un episodio
di neutropenia febbrile: esiste l'indicazione a utilizzare i fattori di
crescita nei trattamenti che hanno come obiettivo la guarigione della malattia
e per i quali esiste una evidenza di minor efficacia a seguito di una riduzione
dell'intensità di dose. I trattamenti con finalità palliative
dovrebbero prevedere come prima azione una riduzione delle dosi dei chemioterapici
(4).
Terapia.
• Neutropenia in assenza di febbre: sebbene
riducano la durata della neutropenia, non vi è evidenza da studi
randomizzati che vi sia un miglioramento significativo della gravità
delle infezioni o della sopravvivenza.
• Neutropenia febbrile: vi è indicazione
in associazione alla terapia antibiotica. I CSF possono determinare una
riduzione dell'ospedalizzazione, una migliore risposta alla terapia antibiotica,
un miglioramento della qualità di vita.
Trapianto di midollo osseo e di cellule staminali
periferiche.
• Riduzione della neutropenia e delle complicanze
infettive in pazienti sottoposti a chemioterapia ad alte dosi e a trapianto
autologo o allogenico di midollo osseo (BMT, dall'inglese Bone Marrow Transplantation)
o reinfusione di cellule staminali periferiche (PBSCT, dall' inglese Peripheral
Blood Stem Celi Transplantatiorì). In caso di PBSCT il recupero
è più rapido che per il BMT.
• Mobilizzazione di cellule staminali periferiche
sia per trapianto autologo sia da donatori sani.
• Aumento delle cellule staminali raccolte
in corso di aferesi e possibilità di mobilizzare le cellule progenitrici
dal sangue periferico di donatori sani (6). Le dosi consigliate per il
GCSF (fìlgrastim e lenograstim) e per il GM-CSF (molgramostim) sono
di 5-10 mg/kg/die.
Nel trattamento delle epatiti virali croniche con interferone,
la neutropenia è la più frequente causa di sospensione della
terapia o di riduzione dei dosaggi di interferone (8, 9). È pensabile
che G-CSF e GM-CSF siano in grado di ridurre la neutropenia e consentire
la prosecuzione della terapia. Alcuni studi pilota hanno confermato questa
ipotesi (10-14), tuttavia l'uso del G-CSF e del GM-CSF in questo contesto
non e ancora standardizzato. L'effetto dell'aderenza alla terapia sulle
percentuali di risposta sostenuta e l'efficacia dei trattamenti anti epatite,
anche in pazienti con malattia epatica avanzata (8, 9) in cui una risposta
al trattamento è estremamente e rapidamente produttiva in termini
di anni di vita salvati, sono stati ampiamente dimostrati. Si ritiene pertanto
utile, in accordo con le linee guida internazionali (15), di consentirne
l'uso come terapia aggiuntiva alla terapia con interferone, ma solo in
gruppi di pazienti selezionati con risposta virologica. La risposta virologica
viene definita come negativizzazione della viremia HCV con PCR qualitativa
o decremento rispetto al basale di almeno 1 logaritmo dopo meno di un mese
di terapia o di due logaritmi dopo meno di tre mesi di terapia. La posologia
e la frequenza della somministrazione andranno adattate sulla base della
risposta del singolo paziente, in maniera tale da mantenere livelli di
neutrofili > 750/uL durante il trattamento.
La neutropenia indotta dai farmaci antiretrovirali
e da farmaci impiegati per il trattamento delle infezioni da opportunisti
può limitarne l'impiego laddove le opzioni terapeutiche siano già
ridotte. In tale contesto e stata ampiamente dimostrata l'utilità
del G-CSF e del GM-CSF (16) in termini di miglioramento della leucopenia.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alla seguente condizione:
-tosse persistente non produttiva nelle gravi pneumopatie croniche
e nelle neoplasie polmonari primitive o secondarie
Sedativi
della tosse:
-diidrocodeina -diidrocodeina + acido benzoico -levodropropizina
Background
La diidrocodeina è un antitussivo ad azione centrale che inibisce
la frequenza e l' intensità degli impulsi della tosse. Il sito d'
azione della diidrocodeina sembra sia localizzato nel centro bulbare della
tosse nel sistema nervoso centrale, mentre la levodropropizina è
considerata un farmaco ad azione periferica.
Evidenze disponibili
Secondo uno studio randomizzato in doppio cieco della durata di 7 giorni
coinvolgente 140 pazienti, la diidrocodeina e la levodropropizina hanno
mostrato un' efficacia simile nel ridurre la tosse persistente non produttiva
in pazienti con cancro al pomone primitivo o metastatico. Gli autori hanno
evidenziato che entrambi i farmaci sono efficaci nel ridurre il grado di
severità della tosse e che l' attività terapeutica temporale
dei 2 antitussivi risulta simile. Anche dal punto di vista della tollerabilità,
la percentuale di effetti collaterali è stata la stessa nei 2 gruppi
di pazienti, tranne che per la sonnolenza, effetto che si è manifestato
maggioramente nel gruppo dei trattati con diidrocodeina (22% vs 8%). L'
efficacia antitussiva e la tollerabilità della levodropropizina
sono state valutate nei bambini con tosse persistente non produttiva in
uno studio che confrontava il farmaco con il suo enantiomero, la dropropizina.
I due farmaci hanno mostrato un' efficacia simile, sebbene la levodropropizina
risulti più sicura, visto che associata a rischio di sonnolenza
diurna minore. L' efficacia del farmaco in pazienti adulti con tosse persistente
non produttiva è stata valutata anche in un trial clinico randomizzato,
in doppio cieco verso destrometorfano: secondo gli autori l' efficacia
antitussiva dei due farmaci è simile, mentre la levodropropizina
presenta un profilo di sicurezza migliore.
Particolari avvertenze
La prescrizione di sedativi per la tosse non è rimborsata dal
SSN per altre indicazioni autorizzate.
La nota 32 e 32bis è rimasta in vigore fino al 8 marzo 2008 (pubblicazione ed entrata in vigore del Piano Terapeutico AIFA, adottato con Det AIFA del 11-2-08).
[Interferoni:
-Interferone alfa 2 a ricombinante
-Interferone alfa 2 b ricombinante
-Interferone alfa-2a peghilato
-Interferone alfa-2b peghilato
-Interferone n-1 linfoblastoide
-Interferone alfa naturale alfa-n3 (leucocitario)
-Interferone alfacon-1
Lamivudina ]
La prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di centri specializzati, Universitari o delle Aziende Sanitarie, individuati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti condizioni:
interferone alfa 2a ricombinante (Roferon A)
-epatite cronica B HBV-DNA-positiva, con ipertransaminasemia; epatite cronica B-Delta (monoterapia);interferone alfa 2b ricombinante (Intron A)
-in combinazione con ribavirina o in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina: epatite cronica C, con ipertransaminasemia, in pazienti mai trattati in precedenza con interferoni o trattati con risposta post-trattamento e successiva recidiva;
-in monoterapia nel trattamento dell'epatite acuta da HCV;
-leucemia a cellule capellute, leucemia mieloide cronica, sarcoma di Kaposi correlato ali'AIDS o ad altre condizioni cliniche di immunodepressione, linfoma non-Hodgkin follicolare, melanoma maligno;
-carcinoma renale avanzato, linfoma cutaneo a cellule T;
-epatite cronica B HBV-DNA-positiva, con ipertransaminasemia; epatite cronica B-Delta (monoterapia);interferoni alfa 2a (Pegintron) e alfa 2b peghilati (Pegasys)
-in combinazione con ribavirina o in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina: epatite cronica C, con ipertransaminasemia, in pazienti mai trattati in precedenza con interferoni o trattati con risposta post-trattamento e successiva recidiva;
-in monoterapia nel trattamento dell'epatite acuta da HCV;
-leucemia a cellule capellute, leucemia mieloide cronica, sarcoma di Kaposi correlato all'AIDS o ad altre condizioni cliniche di immunodepressione, linfoma non-Hodgkin follicolare, melanoma maligno;
-mieloma multiplo, tumore carcinoide;
-in combinazione con ribavirina o in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina: epatite cronica C, con ipertransaminasemia in pazienti mai trattati in precedenza con interferone o trattati con risposta solo temporanea e successiva recidiva;interferone n-1 linfoblastoide (Humoferon Wellferon)
i-n combinazione con ribavirina in pazienti senza risposta sostenuta a monoterapia con Interferone con malattia avanzata (presenza di ponti porto-centrali alla biopsia epatica e/o diagnosi clinica di cirrosi epatica) o infezione da genotipo HCV 2 o 3;
-epatite cronica B HBV-DNA-positiva con ipertransaminasemia;interferone alfa naturale alfa-n3 (leucocitario) (Alfaferone Alfater Biaferone Cilferon A)
-epatite cronica B-Delta (monoterapia);
-epatite cronica C con ipertransaminasemia, in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina in pazienti mai trattati in precedenza con interferone o trattati con risposta solo temporanea e successiva recidiva;
-leucemia mieloide cronica;
in presenza di: a) documentata intolleranza soggettiva o b) neutro o piastrinopenia (neutrofili persistentemente inferiori a 750/mmc e/o piastrine persistentemente inferiori a 50.000/mm e); che compaiano in corso di terapia con altri interferoni, e che ne impediscano la prosecuzione in presenza di risposta terapeutica; limitatamente alle indicazioni:interferone alfacon-1 (Infergen)
-epatite cronica B e B-Delta;
-in combinazione con ribavirina o in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina: epatite cronica C con ipertransaminasemia, con esclusione di pazienti non responders a un precedente ciclo di trattamento con interferoni;in presenza di documentata intolleranza ad altri interferoni limitatamente alle indicazioni:
-leucemia a cellule capellute;
-leucemia mieloide cronica;
-mieloma multiplo;
-linfoma non-Hodgkin;
-micosi fungoide;
-sarcoma di Kaposi correlato all'AIDS o ad altre condizioni cliniche di immunodepressione;
-carcinoma renale;
-melanoma maligno;
in combinazione con ribavirina o in monoterapia se esistono controindicazioni alla ribavirina: nell'epatite cronica C, con ipertransaminasemia, in pazienti mai trattati in precedenza con interferoni o trattati con risposta post trattamento e successiva recidiva.Motivazioni e criteri applicativi
NOTA 32 BIS
lamivudina (Zeffix)
Motivazioni e criteri applicativi:
Nei pazienti con epatite B HBV-DNA-positiva, HBeAg-negativa
(il 90% dei casi di epatite B attualmente in Italia), la lamivudina negativizza
HBV-DNA e normalizza ALT in una percentuale di pazienti del 65-80% alla
fine del primo anno di trattamento, del 50-60% alla fine del secondo e
del 30-40% alla fine del terzo anno (1). La sospensione del trattamento
è seguita dalla riattivazione dell'epatite nel 90% dei responders
(2).
Il problema della lamivudina è l'emergere,
durante il trattamento, di mutanti dell'HBV parzialmente o totalmente resistenti
e, soprattutto, le segnalazioni, che sembrano in crescendo, di riesacerbazioni
molto gravi e anche fatali in relazione all'emergere dei mutanti (3), particolarmente
in cirrotici (valori di transaminasi elevati fino al range dell'epatite
acuta, tendenza all'aumento della bilirubina e alla riduzione dell'attività
protrombinica). Anche se non ancora precisamente quantificabile, questo
rischio non è irrilevante (5-7). D'altra parte, anche la sospensione
della terapia nei soggetti in remissione espone al rischio di riesacerbazioni,
osservate nel 15-20% dei casi, in un terzo dei quali con epatite clinicamente
grave (4).
La lamivudina va quindi limitata ai soggetti con forme
evolutive e avanzate di epatite B (ovvero in cui siano dimostrabili alla
biopsia ponti porto-centrali o vi siano segni clinici di cirrosi) nei quali
non è indicata o è inefficace o non tollerata la terapia
con interferone che rimane la terapia di prima linea (7, 8).
Nell'epatite cronica HBeAg positiva la lamivudina
può essere sospesa 3-6 mesi dopo la clearance di HBeAg. La durata
minima di trattamento è un anno. La prosecuzione del trattamento
nei pazienti senza sieroconversione e/anti e va valutata tenendo presente
il rischio di lamivudino-resistenza.
Non esistono ne dati da trial controllati, ne un consenso
unanime sulla durata ottimale della terapia con lamivudina nei pazienti
con epatite HBeAg negativa ne sull'utilità di proseguire il trattamento
con lamivudina nei pazienti con infezione da ceppi mutanti resistenti,
nei pazienti che non sono in lista per trapianto e che non hanno presentato
una malattia epatica in fase di scompenso (7, 8). È stato dimostrato
che la terapia con altri antivirali impiegata tempestivamente, è
in grado di indurre un controllo della replicazione di questi ceppi mutanti
ed una remissione delle ri acutizzazioni di epatite, consentendo anche
il trapianto di fegato (9). Sarà da valutare quale sia la durata
ottimale di una terapia antivirale anti HBV e quale sia, nel lungo periodo
(più di 2 anni), l'incidenza di comparsa di mutanti resistenti anche
con l'impiego dei nuovi antivirali.
Nel post-trapianto, la lamivudina appare efficace
sia per la prevenzione sia per il trattamento della recidiva (10); per
la prevenzione, è stata usata sia da sola (11) sia in combinazione
con dosi ridotte di immunoglobuline anti-HBV (12).
L'uso della lamivudina post-trapianto non è
fra le indicazioni autorizzate in scheda tecnica; per la sua importanza
è stato inserito nella Legge 648/96.
In uno studio prelimininare, la lamivudina si è
rivelata del tutto inefficace nell'epatite cronica delta (13).
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche, secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle
Province autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti
condizioni:
-ipogonadismi maschili primitivi e secondari
-pubertà ritardata
Ormoni
androgeni:
-testosterone
-metiltestosterone
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di centri
specializzati, Universitari o delle Aziende Sanitarie individuati, dalle
Regioni e dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, è limitata
alle seguenti condizioni:
-sindrome di Turner citogeneticamente dimostrata -deficit staturale
nell' insufficienza renale cronica -sindrome di Prader Willi in soggetti
prepuberi
Età adulta
Età evolutiva
-bassa statura da deficit di GH definito dai seguenti parametri clinico-auxologici
e di laboratorio:
I. a) statura < -3DS oppure statura < -2DS e velocità
di crescita/anno < -1DS rispetto alla norma per età e sesso,
misurata a distanza di almeno 6 mesi con le stesse modalità
oppure
b) velocità di crescita/anno < -2DS o
< -1,5 DS dopo 2 anni consecutivi, anche in assenza di bassa statura;
nei primi 2 anni di vita, sarà sufficiente fare riferimento alla
progressiva decelerazione della velocità di crescita (la letteratura
non fornisce a riguardo dati definitivi in termini di DS)
oppure
c) malformazioni/lesioni ipotalamo-ipofisario dimostrate
a livello neuroradiologico o difetti ipofisari multipli che comportino
deficit di GH accertato in base ad una delle modalità del punto
b
e
II.a) risposta di GH < 10 g/L ad almeno 2 test farmacologici
eseguiti in giorni differenti
oppure
b) risposta di GH < 20 g/L nel caso uno dei 2
test impiegati sia GHRH + arginina o GHRH + piridostigmina
oppure
c) secrezionespontanea media di GH nelle 24 ore,
o quantomeno nelle 12 ore notturne < 3 g/L in presenza di normale risposta
ai test farmacologici e valori di IGF1 < -2 DS
-soggetti con livelli di GH allo stimolo con ipoglicemia insulinica
<3µg/L o, in presenza di controindicazioni al test di ipoglicemia
insulinica, con picco inadeguato di GH dopo stimoli alternativi, per:
a) ipofisectomia totale o parziale (chirurgica,
da radiazioni)
b) ipopituitarismo idiopatico, post traumatico,
da neoplasie sellari e parasellari
Ormone della crescita (somatropina)
Background
Età evolutiva
In soggetti con caratteristiche clinico-auxologiche in accordo con
il punto I e con normale secrezione di GH (punto II), la terapia può
essere effettuata solo se autorizzata dalla Commissione Regionale preposta
alla sorveglianza epidemiologica ed al monitoraggio dell' appropriatezza
del trattamento con GH. Per il monitoraggio della prescrizione è
necessario far riferimento alla prevalenza del trattamento nella popolazione
compresa tra 0 e 18 anni d' età, che è stimabile, in base
ai dati della letteratura scientifica internazionale degli ultimi 20 anni,
in 1:2000 (tasso di esposizione al trattamento). Va, inoltre, tenuto conto
che la coorte dei soggetti affetti dalle principali patologie per cui è
indicata la terapia con GH è sostanzialmente stabile nel tempo e
distribuita in modo omogeneo sul territorio. Soggetti adulti con deficit
di GH presentano un abbassamento della qualità di vita, una riduzione
della forza muscolare, un aumento dell'adipe viscerale che, insieme ad
un aumento del colesterolo circolante, costituisce un fattore di rischio
per complicanze cardiovascolari.
In particolare, è stato dimostrato un chiaro aumento dei processi di aterosclerosi con netto incremento della mortalità da cause cardiovascolari. Il trattamento sostitutivo con GH biosintetico va comunque riservato solo ai rari casi nei quali vi sia un severo deficit di GH, dimostrato da un picco di risposta < 3 g/L dopo ipoglicemia insulinica, oppure, in presenza di controindicazioni al test dell' ipoglicemia (cardiopatie, patologia del SNC, età avanzata), a seguito di un picco inadeguato di GH dopo stimoli alternativi utilizzati con limiti di normalità appropriati alla loro potenza. Il test con GHRH + arginina viene ad oggi ritenuto l' alternativa di prima scelta e, dopo questo stimolo, un severo deficit di GH è dimostrato da un picco dei livelli circolanti di GH < 9 g/L. Il rigoroso rispetto di tali criteri esclude la possibilità di un uso improprio o eccessivo del farmaco.
Evidenze disponibili
La nota attualmente in vigore è stata formulata circa due anni
fa. Rispetto ad allora non sono stati prodotti dati scientifici tali da
supportare un cambiamento del testo della nota vigente. In particolare,
per quanto riguarda l' uso del GH in neonati SGA non ci sono dati tali
da permettere di prendere in considerazione questa indicazione. La FDA
ha ammesso l' uso del GH in bambini SGA, tuttavia la numerosità
degli studi è troppo piccola per una valutazione di efficacia solida,
anche utilizzando tecniche di analisi bayesiane. Inoltre il follow-up di
questi pazienti è troppo breve rispetto alla storia naturale della
malattia. La velocità di crescita, infatti, rappresenta un end point
intermedio da cui non è possibile inferire l' outcome finale della
statura. Gli studi che valutano la statura finale presentano forti carenze
metodologiche. Uno studio è su 35 soggetti di cui 18 sono persi
al follow up. Un altro studio arruola 114 bambini nel gruppo in trattamento
e 34 in quello non trattato. L' analisi viene condotta solo su 77 trattati
e su tutti i 34 non trattati: vengono esclusi dall' analisi i cattivi responders,
quelli con bassa compliance, con malattie concomitanti e i trattati con
GnRH analoghi. La statura finale del gruppo non trattato è -2 DS
(+ 0.8) e quella del gruppo trattato -1,4 DS (+1.4). La differenza tra
i due gruppi non è statisticamente significativa, anche se nello
studio citato il confronto non viene fatto. Giova ricordare che circa venti
anni orsono venne proposta e praticata la terapia con GH in bambini "short
normal" cioè di statura -2,5 DS con normale produzione di GH endogeno.
Questi bambini mostravano un' aumento della velocità di crescita
rispetto ai soggetti non trattati. Tuttavia la statura finale dei trattati
e dei non trattati risultò essere simile una volta raggiunta la
pubertà. Il GH, sostanzialmente, provocava un' espressione anticipata
del potenziale di crescita geneticamente determinato.
Particolari avvertenze
L' Istituto Superiore di Sanità si farà carico della
sorveglianza epidemiologica nazionale mediante un Registro informatizzato
dell' ormone della crescita (GH). Il registro nazionale dell' ormone della
crescita è uno strumento di sanità pubblica, istituito per
garantire la correttezza diagnostica e l' appropriatezza d' uso dell' ormone.
I Centri, accreditati dalle Regioni e dalle Province autonome per la diagnosi
del deficit di GH e prescrizione della terapia sostitutiva con ormone della
crescita, avranno accesso al Registro via web, mediante Userid e Password,
e immetteranno i dati in tempo reale. Annualmente l' Istituto Superiore
di Sanità provvederà a redigere un rapporto e ad inviarlo
all' Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e alla Conferenza degli Assessori
Regionali alla Sanità. Il monitoraggio dell' appropriatezza dell'
uso dell' ormone sarà effettuato da Commissioni Regionali che avranno
accesso ai dati relativi alla propria regione.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle Province
autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti condizioni:
- acromegalia
- sindrome associata a tumori neuroendocrini
Analoghi
della somatostatina:
- lanreotide
- octreotide
Background
La somatostatina e i suoi analoghi, octreotide e lanreotide, inibiscono
la secrezione del "growth-hormone" (GH) nel 90% dei pazienti affetti da
acromegalia, nei quali persista un innalzamento del GH dopo terapia chirurgica
o radioterapia o in cui non sussista un' indicazione chirurgica. Tale azione
si concretizza in un miglioramento della sintomatologia.
Evidenze disponibili
Non vi sono al momento dati da studi randomizzati che consiglino l'utilizzo
degli analoghi della somatostatina in prima linea in alternativa ai trattamenti
locoregionali. Questi farmaci hanno azione inibente sulla produzione di
molti peptidi prodotti da tumori neuroendocrini e risultano quindi efficaci
nel controllo delle sindromi associate a questa patologia. Il controllo
dei sintomi si può ottenere nel 7090% dei pazienti con tumore carcinoide
metastatico e nel 50-85% degli affetti da neoplasie neuroendocrine insulari.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alla seguente condizione:
-Morbo di Paget
-calcitonina
Background
La calcitonina è un ormone ipocalcemizzante, un peptide di 32
aminoacidi, normalmente prodotto dalle cellule C della tiroide. L' azione
ipocalcemica è principalmente dovuta alla potente azione inibitoria
esercitata sugli osteoclasti. Questa caratteristica è efficacemente
sfruttata nel trattamento dei disordini ossei come la malattia di Paget
e nell'ipercalcemia.
Evidenze disponibili
Per quanto riguarda l'osteoporosi, non vi sono prove univoche di efficacia
clinica in termini di riduzione di fratture. Nonostante la calcitonina
produca, rispetto al placebo, un aumento della massa ossea, non sono documentate
in letteratura variazioni di rilievo dell'incidenza di fratture e, comunque,
l'aumento di massa ossea è minore rispetto a quello indotto dall'alendronato.
Uno studio condotto dal Cochrane Group per stabilire l'efficacia del trattamento
con calcitonina rispetto al placebo, nei pazienti in trattamento con corticosteroidi,
non ha evidenziato differenze statisticamente significative tra i due gruppi
per quanto riguarda l'aumento di massa ossea e il rischio relativo di fratture.
La calcitonina può causare nausea, diarrea e flushing. Alcuni pazienti
possono diventare resistenti nelle terapie a lungo termine forse a causa
dello sviluppo di anticorpi neutralizzanti.
Particolari avvertenze
La prescrizione della calcitonina non è rimborsata dal SSN per
le altre indicazioni autorizzate
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni
-Morbo di Paget: acido etidronico
-trattamento delle lesioni osteolitiche da metastasi ossee e del mieloma
multiplo: acido clodronico
Bifosfonati: -acido etidronico -acido clodronico
Background
I bifosfonati rallentano la formazione e la dissoluzione dei cristalli
di idrossiapatite. L'effetto clinico dei bifosfonati è legato alla
loro capacità di inibire il riassorbimento osseo.
Evidenze disponibili
È stato anche dimostrato che il bifosfonato acido clodronico
agisce non solo mediante l' inibizione dell' attività degli osteoclasti,
ma anche tramite una riduzione diretta delle cellule tumorali dell'osso
con meccanismi ancora da definire, sia di tipo indiretto (alterazioni del
microambiente dell'osso) sia di tipo diretto (apoptosi delle cellule tumorali,
oltre che degli osteoclasti). Per quanto riguarda l'osteoporosi postmenopausale,
l'etidronato, somministrato ciclicamente per via orale, non ha dimostrato
nei trial clinici controllati risultati univoci e quindi non è da
considerare di sicura efficacia rispetto a endpoint clinici.
Particolari avvertenze
L' uso dei bifosfonati è stato associato alla comparsa di osteonecrosi
della mandibola e della mascella in pazienti oncologici e con osteoporosi.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai seguenti periodi di
trattamento ed alle seguenti condizioni:
- durata di trattamento 4 settimane (occasionalmente 6 settimane):
ulcera duodenale o gastrica
positive per Helicobacter pylori (Hp) per la prima o le prime due settimane
in associazione con farmaci eradicanti l'infezione
ulcera duodenale o gastrica
Hp-negativa (primo episodio)
malattia da reflusso gastroesofageo
con o senza esofagite (primo episodio)
- durata di trattamento prolungata, da rivalutare dopo un anno:
sindrome di Zollinger-Ellison
ulcera duodenale o gastrica
Hp-negativa recidivante
malattia da reflusso gastroesofageo
con o senza esofagite (recidivante)
Farmaci
antiulcera:
Inibitori di pompa:
Anti H2:
- cimetidina
- famotidina
- nizatidina
- ranitidina
- roxatidina,
- esomeprazolo
- lansoprazolo
- omeprazolo
- pantoprazolo
- rabeprazolo
Background
L' ulcera duodenale è associata a infezione da Hp nel 90-95%
dei casi e l' ulcera gastrica nel 75-85%.È stato dimostrato da numerosi
trial randomizzati e da meta-analisi che l' eradicazione dell' infezione
previene lerecidive dell' ulcera, riducendole al 5-10% o meno.L' eradicazione
è efficace nei linfomi gastrici Hp positivi a basso grado di malignità.Il
trattamento eradicante è fortemente raccomandato nell' ulcera duodenale
e nell' ulcera gastrica, e lo è con particolareenfasi nei soggetti
che hanno sofferto un' emorragia da ulcera per la prevenzione di risanguinamenti.
Evidenze disponibili
Non ci sono prove convincenti di efficacia del trattamento eradicante
nella dispepsia non ulcerosa. Dopo gli iniziali risultati contrastanti,
infatti, almeno quattro trial pubblicati negli ultimi due anni hanno dato
risultati concordanti che dimostrano l' inefficacia della terapia eradicante.
La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE), con o senza esofagite, ha
tendenza alle recidive, che possono accentuare il danno esofageo ed esitare
in metaplasia dell' epitelio a rischio di evoluzione neoplastica (esofago
di Barrett). Nei soggetti oltre 45 anni, se la sintomatologia da reflusso
è grave, o continua, o recidivante, è fortemente raccomandata
l' endoscopia. Per il trattamento della malattia da reflusso, particolarmente
se associata ad esofagite, i farmaci più efficaci sono gli inibitori
di pompa protonica, che nella maggior parte dei casi sono sufficienti per
somministrazione discontinua e/o a dosi ridotte. I dati disponibili sono
in prevalenza negativi rispetto a un vantaggio terapeutico dell' eradicazione
dell' Hp su frequenza e intensità dei disturbi da MRGE. Un piccolo
trial, che dimostrerebbe un vantaggio dall' eradicazione nella MRGE senza
esofagite grave, presenta manifeste improprietà metodologiche (es:
valutazione non secondo intention to treat; ogni evidenza di vantaggio
è azzerata se i dati sono reinterpretati correttamente). Nella 8a
edizione di Clinical Evidence l' eradicazione dell' Hp viene giudicata
inefficace nel ridurre la frequenza di recidive della MRGE. Infine, anche
il Consensus Report di Maastricht 2-2000 cita come consigliabile ("advisable")
l' eradicazione dell' Hp nella MRGE solo nei soggetti che richiedano "profonda
soppressione long-term della secrezione gastrica". Questa posizione sembra
dettata dal timore che l' infezione da Hp associata ad acidosoppressione
da inibitori di pompa protonica possa determinare gastrite atrofica, potenziale
causa di carcinoma. Tuttavia, questa eventualità è stata
rilevata dopo esposizione inusualmente intensa e protratta ad acido-soppressione
(trattamento ininterrotto con 20-40 mg di omeprazolo/die per una durata
media di 5 anni) ed è contraddetta da altri studi che impiegavano
le stesse dosi di omeprazolo in soggetti con MRGE Hp-positivi e non rilevavano
né atrofia gastrica né metaplasia.
Particolari avvertenze
Rimane da considerare il teorico vantaggio dell' eradicazione per prevenire
l' insorgenza di carcinoma gastrico, per il quale l' infezione da Hp è
solo uno dei fattori di rischio, insieme alla dieta, all' atrofia della
mucosa, all' acquisizione dell' infezione nella prima infanzia, a fattori
genetici e ad altri sconosciuti; e non c' è alcun indizio che indichi
una riduzione di incidenza dopo eradicazione dell' Hp. Se la malattia da
reflusso gastroesofageo è associata a infezione da Hp, l' eradicazione
del batterio può essere indicata se il reflusso è associato
a ulcera peptica o a gastrite cronica grave istologicamente documentata
o se il controllo dei disturbi richiede trattamento ininterrotto con dosi
elevate di inibitori di pompa protonica (es: omeprazolo, dosi pari o superiori
a 20 mg/die). Il trattamento eradicante va effettuato solo nei casi di
dispepsia associata a presenza di ulcera gastrica o duodenale.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche, secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle
Province autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti
condizioni:
- carcinoma della prostata: buserelina, goserelina, leuprorelina,
triptorelina
- carcinoma della mammella: goserelina, leuprorelina, triptorelina
- endometriosi: goserelina, leuprorelina, triptorelina
- fibromi uterini non operabili: goserelina, leuprorelina, triptorelina
- pubertà precoce: leuprorelina, triptorelina
- trattamento prechirurgico:
durata di 3 mesi: per gli interventi di miomectomia e isterectomia
della paziente metrorragica
durata di 1 mese: per gli interventi di ablazione endometriale e
di resezione di setti endouterini pervia isteroscopica:
goserelina, leuprorelina, triptorelina
Analoghi
RH:
- buserelina
- goserelina
- leuprorelina
- triptorelina
Background
Struttura: analoghi dello LHRH.Meccanismo di azione: le dosi iniziali
stimolano la produzione di FSH e LH; un trattamento prolungato determinadesensibilizzazione
dei recettori ipofisari e inibizione della produzione di entrambi gli ormoni
gonadotropi.Funzionalmente si determina una condizione di castrazione farmacologica.
Evidenze disponibili
Carcinoma prostatico: l' uso clinico di questi principi attivi è
soprattutto connesso all' inibizione della produzione degli ormoni gonadotropi.
La leuprolide in uno studio randomizzato ha mostrato gli stessi risultati
ottenuti con il dietilstibestrolo (DES) in pazienti con malattia metastatica.
La goserelina in diversi trial clinici controllati è risultata efficace
quanto l' orchiectomia. La stessa evidenza si ha anche per la triptorelina,
la buserelina e la leuprorelina. In genere, nella malattia avanzata, entro
i primi 3 mesi di trattamento, le risposte obiettive si aggirano intorno
al 50%; un ulteriore 25% mostra una stabilità di malattia, mentre
il restante 25% progredisce.
Carcinoma mammario: l' uso clinico di questi principi attivi è soprattutto connesso all' inibizione della produzione degli ormoni gonadotropi a seguito dell' induzione dello stato menopausale. Questa indicazione è ovviamente limitata alle donne in premenopausa e perimenopausa (che nel caso siano isterectomizzate abbiano un profilo ormonale conseguente) in cui l' espressione dei recettori per estrogeni e/o progesterone sia positiva o sconosciuta. Infatti, in queste condizioni i risultati terapeutici sono paragonabili o superiori a quelli della ovariectomia.
Pubertà precoce: il limite inferiore di età per l' inizio della pubertà, ancorché non semplice da definire, può essere stabilito a 7 anni (7-13 anni) per le femmine e a 9 anni (9-13,5 anni) per i maschi. Solo la pubertà precoce di origine centrale (pubertà precoce vera o LHRH dipendente) risponde al trattamento con analoghi stabili del LHRH naturale. L' uso di analoghi del LHRH è stato raccomandato da un comitato di approvazione della FDA. I benefici della terapia per la pubertà precoce includono una completa cessazione del ciclo mestruale nelle ragazze, l' interruzione o un netto rallentamento della maturazione dei caratteri sessuali secondari, il restaurarsi di comportamenti adeguati all' età anagrafica, la prevenzione della maturazione scheletrica precoce; quest' ultimo effetto previene anche la riduzione della statura in età adulta.
Endometriosi: la terapia con reline dell' endometriosi è di elevata efficacia. Scompaiono i dolori, si ha una rapida involuzione degli impianti nell'endometrio ed aumentano le probabilità di successo del trattamento dell' infertilità. Trattamento prechirurgico: il trattamento per tre mesi con reline di pazienti metrorragiche, in preparazione ad interventi chirurgici sull' utero, porta ad una netta riduzione delle formazioni fibroidi uterine ed aumenta il successo di interventi di tipo conservativo che consentono di preservare la fertilità in donne giovani.
Particolari avvertenze
La prescrizione degli analoghi RH non è rimborsata dal SSN per
altre indicazioni autorizzate.
La
prescrizione carico del SSN degli antibiotici iniettabili per l’uso
extra-ospedaliero, è limitata alle seguenti condizioni:
- trattamento iniettivo di infezioni gravi delle vie respiratorie,
delle vie urinarie, dei tessuti molli, intra-addominali, ostetrico-ginecologiche,
ossee e articolari
- trattamento iniettivo delle infezioni causate da microrganismi resistenti
ai più comuni antibiotici, particolarmente nei pazienti immunocompromessi
Antibiotici
iniettabili per uso extra-ospedaliero:
- cefamandolo
- cefonicid
- ceftezolo
- cefurossima
- cefmetazolo
- cefotetan
- cefoxitina
- cefodizima
- cefoperazone
- cefotaxima
- ceftazidima*
- ceftizoxima
- ceftriaxone
- cefepime*
- mezlocillina
- piperacillina
- ampicillina+ sulbactam
- piperacillina+ tazobactam*
- ticarcillina+ac. clavulanico*
- amikacina
- gentamicina
- netilmicina
- tobramicina
Background
Gli obiettivi della presente nota sono: 1) ottenere il successo terapeutico
in caso di infezioni gravi in ambienti extra-ospedalieri, in particolare
anche quando sia in causa un agente eziologico resistente ai più
comuni antibiotici o nel paziente immunocompromesso; 2) limitare l' induzione
di meccanismi di resistenza nei patogeni presenti in comunità. Devono
essere considerati due importanti punti:
le infezioni extra-ospedaliere sono suscettibili di un trattamento
efficace con agenti a spettro più ristretto per via orale (ad es.
infezioni di orecchio, naso e gola, sinusiti, infezioni delle basse vie
respiratorie, dei tessuti molli, delle vie urinarie);
nel trattamento delle infezioni gravi, per massimizzare l' efficacia
della terapia antibiotica, devono essere attentamente considerate le caratteristiche
farmacocinetiche delle molecole presenti nella nota, utilizzando precisamente,
secondo le indicazioni della scheda tecnica, dosi e numero di somministrazioni
adeguate, così da ridurre il rischio di induzione di resistenze
batteriche.
Evidenze disponibili
La scelta terapeutica è quasi sempre su base empirica, basata
su una diagnosi eziologica presuntiva, su linee guida locali, nazionali
od internazionali, ma, ove possibile, va ricercata la diagnosi microbiologica
che consenta una terapia mirata. Concettualmente possiamo suddividere i
farmaci presenti nella nota in 6 gruppi.
Particolari avvertenze
Un razionale utilizzo degli antibiotici permette di preservare l' ambiente
territoriale extra-ospedaliero dalla diffusione delle resistenze batteriche,
mantenendolo separato da quello ospedaliero ed evitando il ricorso all'
ospedalizzazione per trattare infezioni risolvibili efficacemente al domicilio
del paziente. Tali farmaci non dovrebbero rappresentare, di norma, la prima
scelta terapeutica, ma vanno riservati a casi selezionati, anche allo scopo
di prevenire l' insorgere di ceppi resistenti sul territorio; ciò
vale in particolare per gli antibiotici impiegati nei confronti di Pseudomonas
aeruginosa contrassegnati da asterisco (*). Per gli aminoglicosidi in particolare
è indicato l' impiego in associazione con beta lattamine, in pazienti
anziani che vivono in RSA o strutture protette, in pazienti defedati o
immuno-compromessi o recentemente dimessi dall' ospedale e/o sottoposti
a trattamenti protratti con antibiotici a largo spettro, allo scopo di
potenziare o ampliare lo spettro d' azione antibatterica.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata al trattamento iniziato
in ambito ospedaliero ed al successivo utilizzo in ambito territoriale
da parte del Medico di Medicina Generale per garantire la continuità
terapeutica.
La prescrivibilità esclusiva in ambito ospedaliero è
finalizzata al mantenimento dell'efficacia ed alla contemporanea prevenzione
dell'insorgenza di resistenza batterica ai principi attivi. La scelta di
iniziare un trattamento ospedaliero con tali farmaci dovrebbe essere riservata
alle infezioni gravi e in assenza di alternative terapeutiche. Ciò
non impedisce, tuttavia, dopo la diagnosi e l'inizio del trattamento, il
mantenimento della continuità assistenziale ospedale-territorio
a carico del SSN, ove fosse necessario proseguire la terapia a domicilio.
Antibiotici
per continuità ospedale-territorio
- Aztreonam
- ertapenem
- imipinem+ cilastatina
- meropenem
- rifabutina
- teicoplanina
Background
Il problema dell' insorgenza di resistenza batterica è ormai
considerato una vera emergenza sanitaria. In considerazione dell' ampio
spettro d' azione di questi antibiotici, il loro impiego dovrebbe essere
limitato ai casi d' infezione gravi e in assenza di alternative terapeutiche.
L' obiettivo della nota è di conservare a tali antibiotici, con
una prescrizione inizialmente ospedaliera confortata da adeguate indagini
microbiologiche, la loro pienezza di azione antibatterica, evitando il
più possibile l'insorgenza di resistenze. Le motivazioni da cui
ha origine la nota 56 si basano pertanto non solo sulla criticità
d' uso clinico degli antimicrobici in essa compresi, ma anche su rilevanti
aspetti medico-sociali a tutela della salute pubblica, per il costante
aumento di resistenza verso gli antimicrobici, legato ad un impiego spesso
indiscriminato e non selettivo. La nota 56 garantisce di fatto la possibilità
di proseguire, qualora necessario, a livello domiciliare ed a carico del
Servizio Sanitario Nazionale, una terapia antimicrobica mirata e specifica
prescritta in ambito ospedaliero, previa individuazione della patologia,
assicurando in modo concreto la continuità assistenziale ospedale-territorio.
Evidenze disponibili
La nota riguarda antimicrobici di impiego selettivo in determinate
affezioni critiche. In particolare:
1) farmaci a spettro antibatterico limitato (teicoplanina, rifabutina);
2) farmaci efficaci verso i soli gram-negativi "difficili", simili,
nei riguardi di questi, alle cefalosporine di III e IVgenerazione (aztreonam);
3) carbapenemici (ertapenem, imipenem+cilastatina, meropenem) da riservare
alla terapia mirata dei casi più critici.
Particolari avvertenze
La prescrizione a carico del SSN è limitata al trattamento iniziato
in ambito ospedaliero ed al successivo utilizzo in ambito territoriale
da parte del Medico di Medicina Generale per garantire la continuità
terapeutica.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alla prevenzione e al trattamento
di nausea e vomito indotti da:
- chemioterapia emetizzante
- radioterapia emetizzante (total body irradiation e sull'addome, entro
24 h dall'ultima applicazione)
Antiemetici
(antagonisti dei recettori serotoninergici)
- dolasetron
- granisetron
- ondansetron
- tropisetron
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alla seguente condizione
patologica:
- encefalopatia porto-sistemica in corso di cirrosi epatica
Lassativi
osmotici
-lattitolo
-lattulosio
Background
Il lattulosio e il lattitolo sono disaccaridi semisintetici non assorbiti
a livello gastroenterico. Producono diarrea osmotica con un basso pH fecale
e prevengono la proliferazione della flora produttrice di ammonio, per
cui risultano utili nel trattamento dell' encefalopatia porto sistemica.
Tale patologia è rappresentata da un danno reversibile della funzione
neurologica associata a disfunzione epatica. Nonostante la frequenza con
cui tale condizione si manifesta, sono ancora poco chiari i meccanismi
della patogenesi; sembra comunque che sia implicato un aumento della concentrazione
di ammonio e che ci possa essere un ruolo di inibizione dei neurotrasmettitori
attraverso i recettori dell' acido gamma-aminobitirrico (GABA) a livello
del sistema nervoso centrale (SNC) e modificazioni nei neurotrasmettitori
centrali e aminoacidi circolanti. Le terapie ad oggi disponibili si basano
su diverse ipotesi. Sono comunque presenti pochi studi dai quali derivare
i dati di efficacia. Nel 60-80% dei pazienti con encefalopatica epatica
si riscontrata un aumento dei livelli di ammonio e la terapia, volta alla
riduzione dei livelli di ammonio circolante, porta ad una risoluzione dell'
encefalopatia. Il razionale del trattamento a base di lattulosio e lattitolo
è dovuto all' assenza di uno specifico enzima disaccaridasi sulla
membrana dei microvilli degli enterociti nel piccolo intestino, permettendo
così l' entrata dei disaccaridi nel colon. Qui il lattulosio e il
lattitolo sono catabolizzati dalla flora batterica ad acidi grassi a catena
corta, che abbassano il pH intorno a 5. La riduzione del pH favorisce la
formazione dello ione ammonio NH4+ da NH3, ione non assorbibile, intrappolando
NH3 nel colon e riducendo effettivamente la produzione di ammonio nel plasma.
Vi
sono comunque anche altri meccanismi coinvolti che sembrano contribuire
all' efficacia clinica di lattulosio e lattitolo.
Evidenze disponibili
Ad oggi sono disponibili pochi studi che dimostrino l' efficacia terapeutica
di lattulosio e lattitolo. Una revisione sistematica, effettuata con l'
obiettivo di valutare l' efficacia e la sicurezza dei disaccaridi semisintetici
nei pazienti con encefalopatia epatica, verso placebo o nessun tipo di
intervento o antibiotici, ha evidenziato che il lattulosio ed il lattitolo
sono più efficaci del placebo nel migliore l' encefalopatia porto-sistemica
(RR = 0,62 - in termini di nessun miglioramento -IC 95%: 0,46-0,84); dalla
stessa revisione non appare un beneficio significativo dei disaccaridi
semisintetici in termini di riduzione di mortalità. Gli autori dell'
analisi sottolineano che l' effetto evidenziato potrebbe essere inficiato
da bias, considerando la scarsa qualità metodologica dei trial inclusi
nella revisione. Infatti limitando l' analisi ai soli studi di elevata
qualità metodologica, non emerge una maggiore efficacia dei disaccaridi
nei confronti del placebo in termini di rischio di non miglioramento della
patologia (RR = 0,92; IC 95%: 0,92-2,04); inoltre il lattulosio ed il lattitolo
sembrerebbero anche meno efficaci rispetto agli antibiotici in termini
di diminuzione del rischio di non miglioramento della patologia (RR = 1,24
IC 95%: 1,02 - 1,50). Gli autori concludono che la revisione non abbia
sufficiente potenza per dimostrare un miglior effetto terapeutico dei disaccaridi.
Alcuni clinical trials e due metanalisi suggeriscono che il lattitolo sia
efficace quanto il lattulosio, per quanto abbia una maggiore palpabilità
e meno effetti collaterali. Nei pazienti con deficienza di lattasi, il
lattosio non metabolizzato ha la maggior parte degli effetti dei disaccaridi
semisintetici nel colon ed è più economico.
Particolari avvertenze
La terapia con disaccaridi semisinteci è generalmente ben tollerata;
i principali effetti collaterali consistono in crampi,diarrea e flautolenza.La
prescrizione non è rimborsata dal SSN per altre indicazioni autorizzate.
La
prescrizione e la dispensazione a carico del SSN da parte di centri specializzati,
Universitari o delle aziende Sanitarie, individuati dalle Regioni e dalle
Province Autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti
condizioni:
- per i pazienti con Sclerosi Multipla recidivante-remittente
diagnosticata secondo i criteri di Polman (Polman, 2005) con punteggio
sull'Expanded Disability Status Scale (EDSS) tra 1.0 e 5,5:
glatiramer acetato; interferone bata-1a ricombinante; interferone beta-1b
ricombinante
- per i pazienti con Sclerosi Multipla secondariamente progressiva
e punteggio di invalidità da 3 a 6,5 all'EDSS e almeno
2 ricadute o 1 punto di incremento all'EDSS nei 2 anni precedenti:
interferone beta-1b ricombinante
Farmaci
per la Sclerosi Multipla
- glatiramer acetato
- interferoni beta-1a e beta-1b ricombinanti
(ultimo aggiornamento in vigore dal 20 agosto 2008, Det AIFA del 17-7-08, GU 5-8-08)
Background
La sclerosi multipla rappresenta una mallattia altamente imprevedibile,
sia per decorso clinico sia per prognosi, ed è caratterizzata da
un corredo sintomatologico altamente proteiforme. Caratteristica fondamentale
di questa malattia è l'estrema variabilità focale, temporale
e spaziale con cui essa si manifesta e, a causa di qusta estrema variabilità,
nella gestione dei pazienti con sclerosi multipla risulta molto importante
una esatta valutazione dello stato clinico al momento della visita per
valutare l'eventuale presenza di una riacutizzazione, o per valutare l'eventuale
progressione di malattia. Nella sua forma più tipica,la forma recidivante-remittente,
la sclerosi multipla si presenta con attacchi clinici acuti seguiti da
regressione sintomatologica totale o parziale e da un periodo intercorrente
tra un attacco ed un altro che non manifesta alcune progressione della
disabilità. Circa l'80% delle forme clessiche a riacutizzazioni
e remissioni progredisce in un tempo variabile, nella forma secondariamente
progressiva, caratterizzata da riacutizzazioni associate ad un decorso
progressivo. Il trattamento mira a ridurre la frequenza delle ricadute
e a rallentare il decorso clinico della malattia. Trattandosi di una patologia
infiammatoria su base autoimmunitaria, si utilizzano farmaci immunomodulatori
in quanto riducono l'intensità con il quale il sistema immunitario
attacca il sistema nervoso. L'IFN beta-1a e beta-1b hanno proprietà
antivirale e immunomodulatorie. Essi sopprimono la proliferazione dei linfociti
T, inibiscono la loro migrazione dalla periferia verso il sistema nervoso
centrale e spostano il profilo delle citochine da un tipo pro-a uno antinfiammatorio.
L'IFN beta-1a è indicato nel trattamento della forma recidivante-remittente
allo scopo di ridurre la frequenza delle esacerbazioni, mentre non sono
conclusivi i risultati del trattamento sulla progressione dei sintomi.
Evidenze disponibili
Numerosi studi hanno dimostrato l'efficacia dell' IFN beta-1b dell'IFN
beta-1a nella sclerosi multipla recidivante-remittente. Inoltre, l'IFN
beta-1b si è dimostrato efficace anche nella sclerosi multipla secondariamente
progressiva, nella quale immagini di Risonanza Magnetica mostrano una riduzione
nel numero di nuove lesioni.
Glatiramer acetato è una sequenza polipeptidica casuale composta
da 4 aminoacidi., la cui sequenza assomiglia a quella della proteina basica
della mielina, uno dei principali bersagli contro cui è diretta
la risposta immunitaria alla base della sclerosi multipla. Il farmaco avrebbe
quindi un'azione di tipo competitivo: funzione da falso bersaglio, distraendo
il sistema immunitariodalle strutture endogene. In numerosi studi clinici
la somministrazione di glatiramer ha significativamente ridotto la frequenza
di ricadute di circa il 30% e il numero di lesioni visibili alla Risonanza
Magnetica.
Particolari avvertenze
L' opportunità di monitorare la prescrizione e la dispensazione
(sempre riservata ai centri autorizzati), attraverso schede ad hoc opportunamente
adattate per forma clinica di sclerosi multipla e per tipo di farmaco,
sarà valutata a livello delle singole Regioni.
La
prescrizione dei farmaci antiinfiammatori non steroidei a carico del SSN
è limitata alle seguenti condizioni patologiche:
-artropatie su base connettivitica
-osteoartrosi in fase algica o infiammatoria
-dolore neoplastico
-attacco
acuto di gotta
FANS
non selettivi*
* aceclofenac; acetametacina; acido mefenamico; acido tiaprofenico;
amtolmetina; cinnoxicam; dexibuprofene;diclofenac; diclofenac + misoprostolo;
fentiazac; flurbiprofene; furprofene; ibuprofene; indometacina; ketoprofene;lornoxicam;
meloxicam; nabumetone; naprossene; nimesulide; oxaprozina; piroxicam; proglumetacina;
sulindac;tenoxicam.
** celecoxib; etoricoxib
; parecoxib
COXIB**
Background
Nel recente passato la letteratura scientifica si è spesso occupata
della sicurezza dei Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS)
selettivi e non delle ciclossigenasi 2.
Ritiri dal commercio,
limitazioni d'uso e ridefinizione in generale del profilo
beneficio/rischio hanno riguardato molte delle molecole appartenenti a
questa categoria. Al momento attuale i Fans possono essere
sostanzialmente accomunati ad un'unica categoria , con differenze
presenti soprattutto rispetto al singolo profilo di rischio e al tipo
di effetti collaterali possibili.
[In dosi singole, i FANS hanno attività analgesica paragonabile
a quella del paracetamolo. In dosi adeguate e per somministrazioni ripetute
hanno effetto analgesico protratto e attività antinfiammatoria,
proprietà che li rendono particolarmente efficaci per il dolore
continuo associato a flogosi. Gli inibitori selettivi della ciclossigenasi
2 hanno un' azione simile a quella dei FANS non selettivi come diclofenac
e naproxene e ne condividono gli effetti indesiderati. Tra gli inibitori
selettivi della ciclossigenasi, celecoxib è registrato in Italia
per il trattamento sintomatico dell' artrosi e dell'artrite reumatoide.
Il rofecoxib, in precedenza autorizzato per il trattamento sintomatico
dell'artrosi e dell'artrite reumatoide, è stato ritirato dal commercio
a livello mondiale a causa di un aumento del rischio di eventi gravi cardiovascolari
e trombotici (tra cui infarto del miocardio e ictus). L' etoricoxib è
registrato per il trattamento sintomatico di artrosi, artrite reumatoide,
disturbi muscoloscheletrici cronici, gotta acuta, dismenorrea e odontalgie.
Il valdecoxib che era registrato in Italia per il trattamento sintomatico
dell' artrosi, dell' artrite reumatoide e della dismenorrea è stato
successivamente ritirato dal commercio in tutta Europa a causa di un aumentato
rischio di eventi trombotici vascolari (infarto) e di reazioni avverse
cutanee gravi.]
Evidenze disponibili
Efficacia
Le
differenze nell’attività antinfiammatoria dei vari FANS sono modeste,
ma vi possono essere considerevoli diversità nella risposta individuale
del paziente. Secondo il British National Formulary il 60% circa dei
pazienti è sensibile a ogni tipo di FANS; dei restanti, alcuni che non
rispondono a un farmaco possono trovare giovamento con un altro.
Un
effetto analgesico si ottiene in genere in una settimana, mentre per un
effetto antinfiammatorio completo (anche dal punto di vista clinico)
servono spesso anche 3 settimane Se trascorso questo tempo non vi sono
risultati, è bene tentare con un altro farmaco.
Sicurezza
La
differenza principale tra i diversi FANS risiede nell’incidenza e nel
tipo di effetti indesiderati. Prima di intraprendere la terapia il
medico dovrebbe valutare i benefici ed i possibili effetti collaterali.
La differenza di attività dei vari FANS riflette la selettività
nell’imbizione dei diversi tipi di ciclossigenasi; l’inibizione
selettiva della cielossigenasi 2 può migliorare la tollerabilità
gastrica, ma molti altri fattori influiscono sulla tollerabilità
gastrointestinale e questi, e altri effetti indesiderati, dovrebbero
essere valutati nella scelta di un dato FANS.
Al momento della
loro immissione in commercio, i COXIB venivano indicati come
antinflaminatori privi di rischio gastrointestianale. In realtà, la
revisione degli studi di registrazione (come il CLASS e il VIGOR) e
nuovi studi pubblicati hanno dimostrato che la gastrolesività era solo
lievemente diminuita rispetto ai FANS non selettivi, ed è emerso un
aumento di rischio cardiovascolare. Va sottolineato che, al momento
attuale, esistono dati importanti di sicurezza per i COXIB e per i FANS
che sono stati usati come comparatori in studi molto importanti
(diclofenac, ibuprofene, naprossene). Per la grande maggioranza dei
vecchi FANS non esistono studi appropriati sulla tossicità
cardiovascolare, in mancanza di studi specifici però, non è possibile
escluderla.
Studi sia randomizzati sia osservazionali, nonché
numerose metanalisi, o revisioni sistematiche, hanno nel tempo
confermato la potenziale tossicità cardiovascolare dei COXIB.
Ciò
ha significato per alcuni di essi il ritiro dat commercio (rofecoxib,
valdecoxib) o la revisione del profilo di riscltio (lumiracoxib, poi
ritirato pcr epatotossieità) insieme all’interruzione di importanti
studi clinici in corso (celecoxib).
Alla luce dei recenti dubbi
sul profilo di sicurezza cardiovascolare, gli inibitori selettivi della
ciclossigenasi 2 dovrebbero essere preferiti ai FANS non selettivi solo
se vi è un’indicazione specifica (per esempio in caso di rischio molto
elevato di ulcera, perforazione o saaguinamento gastrointestinale) e
comunque soltanto dopo un’attenta valutazione del rischio
cardiovascolare. A dosi elevate e nel trattamento a lungo termine, i
FANS non selettivi i potrebbero comportare un lieve aumento del rischio
di eventi trombotici (come infarto miocardico e ictus). Il diclofenac e
l’etoricoxib aumentano il rischio trombotico, mentre il naprossene è
associato a un rischio inferiore. Dosi elevate di ibuprofene (2,4 g al
giorno) possono determinare un lieve alimento di rischi trombotici,
mentre dosi basse del farmaco (l,2 g al giorno o meno) non aumentano il
rischio di infarto miocardico. Le diverse raccomandazioni emanate a tal
proposito dalle agenzie regolatorie quali EMEA e FDA, possono
sinteticamente riassumersi nella raccomandazione generale di utilizzare
i FANS o gli inibilori selettivi della ciclossigenasi 2 nel trattamento
sintomatico alla dose minimia efficace e per il periodo più breve
possibile: si raccomanda inoltre, nel caso di trattamento a lungo
termine, di considerarne periodicamente la necessità.
Tuffi i FANS
sono associati a tossicità gastrointestinale grave: il rischio maggiore
è per gli anziani. Studi recenti condotti su 7 FANS per via orale, per
valutarne la sicurezza, hanno dimostrato notevoli differenze nel
rischio di insorgenza di gravi effetti indesiderati a livello del
tratto gastrointestinale alto. L’azapropazone è il farmaco gravato dai
rischi maggiori (ritirato dal commercio) e l’ibuprofene il meglio
tollerato: ketoprofene, indometacina, naprossene e diclofenac hanno un
rischio intermedio. Piroxicam e ketorolac hanno dimostrato un maggior
rischio gastrolesivo, per cui 1'EMEA ne ha limitato l'uso (v. RCP dei
due prodotti).
Il Committee of Safety of Medicines britannico
consiglia pertanto di preferire i FANS associati a un basso rischio di
effetti gastrointestinali come l’ibuprofene, di iniziare la terapia con
la dose più bassa efficace, di non utilizzare piu di un FANS alla volta
e ricordare che tutti i FANS sono controindicati nei soggetti con
ulcera peptica (compresi gli inibitori selettivi della ciclossigenasi
2).
La combinazione di FANS e acido aeetilsalicilico a basso
dosaggio aumenta il rischio di effetti gastrointestinali; tale
associazione deve essere utilizzata solo se è assolutamente necessaria
e il paziente monitorato. Dati preliminari farebbero ipotizzare una
riduzione dell’effetto antiaggregante dell’ASA a basso dosaggio con
alcuni FANS (ibuprefcne e diclofenac), ma i tempi di somministrazione
sono critici. Questa azione di inibizione non parrebbe essere
esercitata dal naprossene.
Particolari avvertenze
I
FANS devono essere utilizzati con cautela negli anziani (rischi di
gravi effetti indesiderati anche mortali), nelle patologie allergiche
(sono controindicati nei soggetti con anamnesi positiva per allergia ad
aspirina o a un altro FANS inclusi coloro in cui un episodio di asma,
angioedema, orticaria o rinite sia stato scatenato dall’assunzione di
aspirina o di un altro FANS), durante la gravidanza, l’allattamento e
nei difetti della coagulazione. L’impiego a lungo termine di alcuni
FANS è associato a una riduzione della fertilità femminile reversibile
con la sospensione del trattamento. Nei soggetti con insufficienza
renale, i FANS devono essere utilizzati con cautela, in quanto possono
peggiorare la funzionalità renale: è necessario somministrare la dose
minima possibile e controllare la funzionalità renale. Vari FANS
possono avere un effetto epatotossico. La nimesulide ha un rischio
epatotossico maggiore degli altri FANS ed è controindicata nei pazienti
epatopatici, in quelli con una storia di abuso di alcool e negli
assuntori di altri farmaci epatotossici.
Tutti i FANS sono
controindicati nello scompenso cardiaco grave. Gli inibitori selettivi
della cielossigenasi 2 sono controindicati nella cardiopatia ischemica,
nelle patologie cerebrovascolari, nelle patologie arteriose periferiche
e nello scompenso cardiaco moderato e grave. Gli inibitori selettivi
della ciclossigenasi 2 devono essere usati con cautela nei pazienti con
storia di insufficienza cardiaca, disfunzioni del ventricolo
sinistro o ipertensione, così come in caso di edema per cause diverse e
quando vi sono fattori di rischio cardiovascolare. In alcuni studi il
diclofenac ha mostrato un rischio cardiovascolare simile
all’etoricoxib. Il Committee on Safety of Medicines britannico avverte
che i EANS non devono essere somministrati a soggetti con ulcera
peptica attiva o pregressa e che gli inibitori selettivi della
ciclossigenasi 2 sono controindicati in caso di ulcera peptica attiva.
Secondo la stessa fonte ogni peggioramento di asma può essere attribuito all’assunzione di un FANS.
Anche
se è preferibile astenersi dalla prescrizione di FANS in soggetti con
un’ulcera gastrointestinale o un sanguinamento in atto o pregresso, e
sospenderli nel caso in cui si verifichino queste condizioni, non si
deve trascurare il fatto che molti pazienti affetti da gravi malattie
reumatologiche (come l’artrite reumatoide) possano trarre beneficio
dall’uso dei FANS per il controllo della sintomatologia dolorosa.
[FANS
I FANS sono gravati da una incidenza di effetti gastrointestinali sfavorevoli
(ulcera peptica e sue complicanze; emorragie, perforazione, ostruzione).
Il rischio di ospedalizzazione per una complicanza grave e potenzialmente
fatale è stimato fra l' 1 e il 2% per anno. Questa incidenza aumenta
nei soggetti a rischio, come specificato nella nota 1. Per questo motivo
uno dei FANS in nota associa come gastroprotettore il misoprostolo e, pertanto,
va riservato ai pazienti a rischio. I FANS possono inoltre ridurre l' efficacia
degli antipertensivi e dei diuretici, e, in soggetti predisposti e in associazione
con altri farmaci nefrolesivi, determinare o aggravare insufficienza renale.
COXIB
Due sono gli studi clinici fondamentali che hanno esaminato comparativamente
efficacia e tollerabilità dei primi due COXIB: lo studio CLASS,
che ha comparato il celecoxib con ibuprofen e diclofenac, e lo studio VIGOR,
che ha comparato rofecoxib con naprossene. In questi studi ambedue i COXIB,
secondo il parere dei ricercatori, hanno dimostrato una efficacia analoga
e una minore tossicità gastrointestinale rispetto ai FANS non selettivi
prescelti. Purtroppo entrambi gli studi presentano problemi di interpretazione
che mettono in discussione questa conclusione. Lo studio CLASS è
stato criticato per il modo con il quale è stato condotto ed ha
analizzato i dati. Non solo, ma l' obiettivo dello studio, che era quello
di dimostrare per il celecoxib una minore gastrolesività rispetto
ai FANS tradizionali, è di fatto fallito, essendo l' incidenza di
ulcere complicate (l' end-point principale dello studio) analoga per i
due trattamenti. Nello studio VIGOR, invece, pur dimostrando il rofecoxib
una minore incidenza di effetti indesiderati gastroduodenali (l' end-point
primario combinato era costituito dalla incidenza complessiva di ulcere
complicate e ulcere sintomatiche) rispetto al naprossene, si riscontrava
un inaspettato ma significativo aumento di eventi trombotici cardiovascolari
gravi (in particolare infarto del miocardio) nei pazienti trattati con
rofecoxib. I risultati degli studi CLASS e VIGOR hanno stimolato l' esecuzione
di numerosi altri studi volti a chiarire il rapporto beneficio/rischio
dei COXIB. In particolare su due aspetti fondamentali: la reale minore
gastrolesività e la possibile maggiore tossicità cardiovascolare
rispetto ai FANS tradizionali.
La selettività per la COX-2, infatti, può essere un' arma a doppio taglio, cioè da un lato garantire una riduzione del rischio di tossicità gastrointestinale, ma di converso essere anche responsabile di un incremento della frequenza di fenomeni tromboembolici e/o della mortalità totale, vista la più alta prevalenza degli eventi cardiovascolari rispetto a quelli gastrointestinali gravi. Per quanto attiene la dimostrazione di una minore gastrolesività da parte dei COXIB vanno considerati due studi recenti. Il primo è una revisione sistematica di 9 studi clinici (durata > 12 settimane) che hanno paragonato il celecoxib con i FANS non selettivi. I pazienti trattati con celecoxib hanno mostrato una minore incidenza di interruzioni del trattamento dovute a sintomi gastrointestinali rispetto a quelli trattati con FANS tradizionali (6,2% vs 23%), ma tale vantaggio non veniva confermato se si consideravano tutte le cause di interruzione del trattamento. Ancora, i pazienti trattati con celecoxib presentavano una minore incidenza di ulcere gastro-duodenali rilevate routinariamente all' endoscopia eseguita alla fine delle 12 settimane di trattamento. Detta incidenza risultava essere del 6,2% dei pazienti trattati con celecoxib, del 12,0% nei pazienti trattati con celecoxib + aspirina, del 25,0% nei pazienti trattati con FANS tradizionali e del 26,0% nei pazienti trattati con FANS tradizionali più aspirina. L' incidenza delle gravi complicanze (emorragia, perforazione, ostruzione) era, invece, analoga tra i pazienti trattati con celecoxib (2,7%) e quelli che utilizzavano ibuprofen o diclofenac (5,0%) dimostrando così come la scelta dell' end-point terapeutico sia fondamentale per valutare correttamente comparativamente questi farmaci. Il secondo è uno studio osservazionale sulle emorragie gastrointestinali occorse in oltre 40.000 pazienti anziani trattati con FANS non selettivi o selettivi e 100.000 controlli. Rispetto ai controlli non utilizzatori di FANS, lo studio dimostra un aumentato rischio di emorragie gastrintestinali nei pazienti trattati con FANS non selettivi (RR 4,0), diclofenac + misoprostolo (RR = 3,0) e rofecoxib (RR = 1,9) ma non con celecoxib (RR = 1,0). I risultati di questi due studi sembrano confermare il dato che i COX-2 inibitori selettivi possono presentare una minore gastrolesività rispetto ai FANS tradizionali, ma anche che tale migliore tollerabilità è dimostrata solo quando si considerano end-point surrogati o combinati (es. ulcere endoscopiche e/o sintomatiche). Mancano dati certi su una significativa minore incidenza di ulcere complicate (emorragia, perforazione, ostruzione), il parametro di valutazione più clinicamente rilevante. Inoltre, questa migliore tollerabilità non è mantenuta nei pazienti in trattamento con ASA, evenienza necessaria e frequente nella fascia di pazienti ai quali viene prescritto un FANS. Quello che è certo è che la selettività per la COX-2 non è di per sé garanzia di minore gastrolesività. In uno studio recente su pazienti che avevano presentato un sanguinamento gastrico da FANS la ricorrenza di un episodio emorragico si è verificata nel 4,9% di pazienti trattati con celecoxib e nel 6,4% di quelli trattati con diclofenac + omeprazolo, una differenza statisticamente non significativa. Per quanto attiene al possibile rischio di un incremento di eventi trombotici vascolari nei pazienti in trattamento con COXIB, i dati disponibili sono ancora incompleti e controversi per taluni composti. Le basi fisiopatologiche a sostegno di un possibile aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti trattati con i COXIB sono ampiamente condivise. I COX-2 selettivi agiscono inibendo la sintesi di prostaciclina nella parete vascolare ma non quella del trombossano a livello piastrinico, causando così uno slittamento della bilancia emostatica verso uno stato protrombotico. Divergenze di giudizio sono invece espresse, specie da parte interessata, quando si discute della rilevanza clinica di tale aumento, anche se i dati clinici attualmente a nostra disposizione confermano in larga parte la tossicità cardiovascolare dei COXIB nonché di alcuni dei FANS tradizionali configurando così probabilmente un effetto di classe. I primi dati che indicavano un potenziale incremento dei fenomeni tromboembolici risalgono al 1999-2001 e riguardano lo studio VIGOR. Lo studio che comparava il rofecoxib al naprossene dimostrava un incremento di ben 5 volte di eventi tromboembolici cardiovascolari, soprattutto infarti acuti del miocardio, nei pazienti trattati con rofecoxib rispetto a quelli che assumevano naprossene, rofecoxib ha causato 1 infarto miocardico per ogni evento avverso grave gastrointestinale (es. sanguinamento) prevenuto. Configurando così un profilo di tollerabilità tutt' altro che favorevole. Dopo quasi 4 anni di discutibili polemiche sul potenziale ruolo antiaggregante protettivo del naprossene, Merk decideva di ritirare dal commercio il farmaco dopo che un secondo studio prospettico di grandi dimensioni (studio APPROVe: Adenomatous Polyp Prevention on Viox) confermava i dati del VIGOR, dimostrando per il rofecoxib un incremento di due volte di eventi cardiovascolari avversi maggiori rispetto al placebo. I dati di questo studio inizialmente sono stati oggetto di una erronea valutazione statistica che portava la Merk a sostenere che il rischio cardiovascolare del rofecoxib si manifestava solo dopo 18 mesi di uso continuativo del farmaco. Detta analisi è stata ampiamente confutata e corretta dalla stessa Merk dimostrando che il rischio cardiovascolare aumentava sin dalla prima dose di rofecoxib e rimaneva elevata per tutta la durata della terapia. Nel frattempo altri studi sia randomizzati che osservazionali nonché numerose metanalisi o revisioni sistematiche venivano a confermare la potenziale tossicità cardiovascolare dei COXIB e per alcuni di essi ciò ha significato il ritiro dal commercio in analogia a quanto occorso con il rofecoxib, e tra di essi ricordiamo il valdecoxib e il parecoxib, oppure la interruzione di importanti studi clinici in corso, come lo studio APC (Adenoma Prevention with Celebrex) che dimostrava un aumento di 3 volte del rischio cardiovascolare associato al celecoxib ad alte dosi rispetto al placebo.
Particolari avvertenze
Non sembrano esserci al momento differenze sostanziali nel profilo
di sicurezza tra FANS non selettivi e COX-2 inibitori selettivi in merito
alla potenziale nefrotossicità e agli altri eventi avversi.
Alla luce di quanto sopra esposto appare chiaro come i dubbi avanzati sul profilo di sicurezza cardiovascolare dei COXIB appaiano tuttaltro che infondati e richiedano un riesame complessivo del rapporto beneficio/rischio di tutti i COXIB nonché di alcuni FANS tradizionali. Rimane ancora aperta la questione se il rischio di complicanze cardiovascolari sia un effetto di classe correlato al meccanismo d' azione di questa categoria di farmaci, quesito importante alla luce della immissione in commercio di nuovi COXIB. Infine il complessivo profilo di sicurezza dato dal rapporto tra tossicità gastrointestinale e rischio cardiovascolare appare ancora insoddisfacente. Risulta prudente perciò riservarne l' impiego al trattamento di pazienti che sono ad "alto rischio" per effetti avversi gravi gastrointestinali e che non sono a rischio cardiovascolare elevato. Questo in attesa che studi di grandi dimensioni randomizzati di confronto tra i vari farmaci, aventi come end-point terapeutici significativi l' incidenza delle ulcere complicate e degli eventi trombotici gravi cardiovascolari possano chiarire il reale rapporto rischio/beneficio di questi farmaci, che rimane a tutt' oggi ancora incerto. La prescrizione dell' associazione misoprostolo + diclofenac* è rimborsata alle condizioni previste dalla nota 1.]
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture
specialistiche, secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle
Province Autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti
condizioni:
- trattamento dell'infertilità femminile:
in donne di età non superiore ai 45 anni con valori di FSH,
al 3° giorno del ciclo, non superiori a 30 mUI/ml
- trattamento dell'infertilità maschile
Farmaci
per l'infertilità femminile e maschile:
- follitropina alfa da DNA ricombinante
- follitropina beta da DNA ricombinante
- lutropina alfa
- menotropina
- urofollitropina
L'infertilità di coppia è un problema di vaste proporzioni che coinvolge anche in Italia decine di miglialia di persone. L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima intorno al 15-20% le coppie con problemi di fertilità nel paesi industrializzati avanzati. L'infertilità di coppia è legata, nel 35% circa dei casi, al fattore femminile, nel 30% al fattore maschile; nel 20% dei casi si rilevano problemi in ambedue i partner e nel 15% dei casi l'infertilità rimane sconosciuta (infertilità inspiegata). Le alterazioni dei fenomeni fisiologici dell' ovulazione rappresentano un' importante causa di infertilità di coppia (18-25% dei casi). L' individuazione dell' ovulazione in queste donne è finalizzata ad indurre lo sviluppo follicolare e la conseguente ovulazione. Il trattamento dell' infertilità femminile con gonadotropine è pertanto consigliato nelle diverse condizioni patologiche di cicli anovulari. L' indicazione all' uso delle gonodatropine si è notevolmente ampliata negli ultimi decenni, in quanto, oltre a situazioni patologiche di infertilità, le gonadotropine vengono utilizzate anche in donne normo-ovulanti sottoposte ad iperstimolazioni ovariche controllate necessarie al ripristino della fertilità mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (FIVET, ICS). L' infertilità maschile ha diverse cause, spesso difficilmente diagnosticabili e soltanto in alcuni casi di alterazione della spermatogenesi (ipogonadismo ipo-o normo-gonadotropo) esiste un razionale per un intervento terapeutico efficace con gonadotropine.
Evidenze disponibili
Le gonadotropine follicolostimolanti attualmente in uso si possono
ricondurre a due grandi gruppi:
Particolari avvertenze
Sulla base dei dati di letteratura ed al fine di evitare l' iperstimolazione
ovarica, viene suggerito di non superare il dosaggio massimo complessivo
di 12.600 UI/paziente diviso in due o più cicli non superando comunque
il dosaggio massimo di 6.300 UI/ciclo nella donna. Nell' infertilità
maschile si suggerisce di non superare il dosaggio massimo, per singola
prescrizione, di 150 UI di FSH 3 volte alla settimana per 4 mesi. Se dopo
i trattamenti con tali dosi non si ottiene un risultato positivo (nel trattamento
dell' infertilità), eventuali nuovi trattamenti possono comportare
rischi superiori ai risultati attesi. Se effettuato con dosi improprie
ed elevate, il trattamento con gonadotropine può essere responsabile:
a) della cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica, con passaggio
di liquido nello spazio peritoneale e conseguenti ipovolemia, oliguria,
emoconcentrazione, ascite massiva, eventualmente emoperitoneo, shock anche
ad esito letale;
b) di eventi tromboembolici in concomitanza o indipendenti dalla suddetta
sindrome a carico di organi critici (cervello,polmone e delle estremità);c)
di complicazioni polmonari (atelettasia, dispnea, tachipnea, sindrome della
insufficienza respiratoria acuta), oltre acisti ovariche, torsione degli
annessi, forti caldane, reazioni febbrili, nausea, crampi addominali, meteorismo,
gravidanzeectopiche e multiple.Nei casi di iperstimolazione ovarica sono
controindicati i rapporti sessuali, per il rischio di insorgenza di gravidanzeplurime.Nell'
uomo, la somministrazione di gonadotropine provoca ginecomastia, dolore
al seno, mastite, nausea, anormalitàdelle frazioni lipoproteiche,
aumento nel sangue degli enzimi epatici, eritrocitosi.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata ai pazienti con:
- lesioni permanenti del midollo spinale e compromissione della funzione
erettile
Farmaci
per la disfunzione erettile:
- alprostadil
- sildenafil
- vardenafil
- tadalafil
Background
Le lesioni permanenti che coinvolgono il midollo spinale possono compromettere
la funzione erettile. Il grado di disfunzione erettile dipende dalla complessità
o dal livello della lesione. Farmaci quali l' alprostadil o gli inibitori
della fosfodiesterasi di tipo 5 (sildenafil, vardenafil e tadalafil) seppur
con meccanismo d' azione differente, sono utilizzati per trattare tale
condizione. L' alprostadil, in vendita come soluzione iniettabile per uso
intracavernoso, è in grado di indurre un erezione per rilascio diretto
della muscolatura liscia; il sildenafil, il vardenafil e il tadalafil sono
inibitori della fosfodieterasi di tipo 5, enzima responsabile dell' inattivazione
del GMP ciclico. Un aumentato livello intracellulare di GMP ciclico causa
una riduzione del calcio citoplasmatico e porta ad un rilasciamento delle
cellule muscolari lisce che sono necessarie per l'erezione del pene.
Evidenze disponibili
Nel novembre 2004, la Agency for Healthcare Research and Quality statunitense
nel report di Technology Assessment "Sexuality and Reproductive Health
Following Spinal Cord Injury" ha preso in esame il confronto tra la somministrazione
di alprostadil intracavernoso e sildenafil per via orale. Sebbene esistano
differenze nel disegno degli studi e nelle misure di esito utilizzate,
gli autori concludono che il tasso di risposta in termini di erezione soddisfacente
da alprostadil è del 90% (random effects pooled estimate: 0.90 [95%
C.I. 0.83, 0.97]) vs il 79% con sildenafil a dosaggio variabile da 25-100
mg (random effects pooled estimate: 0.79 [95% C.I. 0.68, 0.90]). Dal punto
di vista della sicurezza i due trattamenti sono risultati generalmente
ben tollerati. Per quanto riguarda gli altri inibitori della fosfodiesterasi
commercializzati dopo il sildenafil (tadalafil e vardenafil), i dati attualmente
disponibili non consentono una loro comparazione diretta. Le conclusioni
in termini di evidenza, sono sufficienti per riconsiderare il ruolo in
terapia del sildenafil e dei suoi congeneri per la prescrizione a carico
SSN del trattamento della disfunzione erettile in questa tipologia di pazienti.
La
prescrizione a carico del SSN, in situazioni di carenza documentata, è
limitata alle seguenti categorie di pazienti:
- bambini di età < 3 aa
- donne in gravidanza
- anziani (>65 anni)
Sali
di ferro:
- ferrico gluconato
- ferromaltoso
- ferroso gluconato
La rimborsabilità dei prodotti di ferro a costo più elevato è limitata alle condizioni di maggiore criticità.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di specialisti,
secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle Province Autonome
di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti condizioni:
in monoterapia:
- nel trattamento del glaucoma in pazienti per i quali i beta-bloccanti
sono inefficaci o controindicati
in associazione:
- nei pazienti per cui la monoterapia risulti terapeuticamente insufficiente
Il trattamento a base di beta-bloccanti va considerato di prima scelta,
seguito, ove necessario, dalla terapia con uno dei principi attivi singoli
o associati in elenco.
Colliri
anti-glaucoma:
- apraclonidina
- brimonidina
- brinzolamide
- dorzolamide
- latanoprost
- travoprost
- bimatoprost
in associazione
- bimatoprost + timololo
- brimonidina + timololo
- dorzolamide + timololo
- latanoprost + timololo
- travoprost + timololo
Background
Il glaucoma comprende un gruppo di disturbi caratterizzati da perdita
del campo visivo associato a infossamento del disco oculare e a danno del
nervo ottico. Il glaucoma si associa in genere a un aumento patologico
della pressione intraoculare ma esistono forme in cui la pressione resta
nei limiti della norma. Probabilmente la condizione più comune è
rappresentata dal glaucoma primario ad angolo aperto (glaucoma cronico
semplice, glaucoma ad angolo ampio), in cui l' ostruzione è localizzata
nel trabecolato sclerale. Questa condizione è spesso asintomatica
e il paziente può perdere una porzione significativa del campo visivo.
Il glaucoma acuto ad angolo chiuso (glaucoma primario ad angolo chiuso,
glaucoma ad angolo chiuso) deriva dal blocco del flusso di umor acqueo
nella camera anteriore ed è un' emergenza medica.
Evidenze disponibili
Per il trattamento del glaucoma si impiegano farmaci che riducono la
pressione intraoculare e che possono avere vari meccanismi d' azione. Betabloccanti
topici o analoghi delle prostaglandine sono di solito i farmaci di prima
scelta. Per controllare la pressione intraoculare può essere necessario
combinare questi farmaci o aggiungerne altri, come per esempio miotici,
simpaticomimetici e inibitori dell'anidrasi carbonica. La dorzolamide e
la più recente brinzolamide sono inibitori topici dell' anidrasi
carbonica. Sono registrati per l' utilizzo in pazienti resistenti o con
controindicazione ai betabloccanti. Possono essere utilizzati da soli o
in aggiunta a betabloccanti topici. Latanoprost e travoprost sono analoghi
delle prostaglandine che aumentano il deflusso uveo-sclerale. Di recente
è stato introdotto anche il bimatoprost. Sono usati per ridurre
la pressione intraoculare in caso di ipertensione oculare o glaucoma ad
angolo aperto. La brimonidina è un agonista selettivo alfa 2 adrenergico
registrato per l' abbassamento della pressione intraoculare nel glaucoma
ad angolo aperto e nell' ipertono oculare in pazienti per i quali i betabloccanti
sono controindicati; può essere utilizzata anche in associazione
quando il betabloccante da solo non consente di raggiungere un' adeguata
pressione intraoculare. L' apraclonidina è un altro agonista alfa
2 adrenergico. La moderna strategia della terapia del glaucoma cronico
semplice ad angolo aperto, come suggerita dall' European Glaucoma Society
(EGS), prevede l' impiego di un farmaco in monoterapia per il raggiungimento
della target pressure individuata per ciascun paziente. Se il primo farmaco
usato non è efficace nel ridurre la pressione intraoculare o se
non è tollerato, si sostituisce con un altro farmaco. Se invece
il primo farmaco è ben tollerato ed efficace, ma non sufficiente
a raggiungere la target pressure, le linee guida prevedono l' aggiunta
di un altro farmaco a quello in uso. Questi concetti sono ribaditi anche
nelle linee-guida dell' American Academy of Ophthalmology. Inoltre, nel
proseguimento con la terapia, in caso di progressione dei danni al nervo
ottico ed al campo visivo la target pressure dovrebbe essere rivalutata;
ulteriori aggiustamenti della target pressure potrebbero essere presi in
considerazione se il paziente è rimasto stabile per almeno cinque
anni o in presenza di effetti collaterali. Una revisione sistematica e
2 studi randomizzati successivi hanno trovato prove limitate che in soggetti
con glaucoma primario ad angolo aperto o ipertensione oculare il trattamento
medico con farmaci per uso topico riduce la pressione intraoculare rispetto
a placebo od osservazione clinica. La revisione e uno degli studi non hanno
rilevato differenze significative fra trattamento medico e placebo in termini
di alterazioni del campo visivo a 1-3 anni di follow-up, mentre
Particolari avvertenze
L' assorbimento sistemico degli inibitori dell' anidrasi carbonica
(dorzolamide e brinzolamide) può in rari casi dare effetti indesiderati
tipo sulfamidico; se gravi tali effetti possono richiedere la sospensione
del trattamento. I pazienti in terapia con latanoprost e travoprost devono
essere controllati per verificare la comparsa di alterazioni della colorazione
dell' occhio, dato che il latanoprost può incrementare la pigmentazione
(bruna) dell' iride; è richiesta particolare attenzione negli occhi
con iridi di colore disomogeneo e in caso di trattamento in un occhio solo.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni
di rischio:
Prima di avviare la terapia con i farmaci sopraindicati, in tutte le
indicazioni è raccomandato un adeguato apporto di calcio e vitamina
D, ricorrendo, ove dieta ed esposizione solari siano inadeguati, a supplementi
con sali di calcio e vitamina D3 (e non ai suoi metaboliti idrossilati).
La prevenzione delle fratture osteoporotiche deve anche prevedere un adeguato
esercizio fisico, la sospensione del fumo e la eliminazione di condizioni
ambientali ed individuali favorenti i traumi. Non deve essere dimenticato,
infine, che tutti principi attivi non sono privi di effetti collaterali
per cui va attentamente valutato il rapporto vantaggi e rischi terapeutici.
Inoltre la loro associazione è potenzialmente pericolosa e va pertanto
evitata. Per l' applicazione della Nota 79 la valutazione della massa ossea
con tecnica DXA o ad ultrasuoni deve essere fatta presso strutture pubbliche
o convenzionate con il SSN.
- soggetti di età superiore a 50 anni in cui sia previsto un
trattamento > 3 mesi con dosi > 5 mg/die di prednisone o dosi equivalenti
di altri corticosteroidi
ac. alendronico, ac. risedronico, ac. alendronico + vitamina D3.
- soggetti con pregresse fratture osteoporotiche vertebrali o di femore
- soggetti di età superiore a 50 anni con valori di T-score
della BMD femorale o ultrasonografica del calcagno < - 4 (o < -5
per ultrasuoni falangi)
- soggetti di età superiore a 50 anni con valori di T-score
della BMD femorale o ultrasonografica del calcagno < -3 (o < - 4
per ultrasuoni falangi) e con almeno uno dei seguenti fattori di rischio
aggiuntivi
- storia familiare di fratture
vertebrali
- artrite reumatoide e altre
connettiviti
- pregressa frattura osteoporotica
al polso
- menopausa prima 45 anni
di età
- terapia cortisonica cronica
ac. alendronico, ac. alendronico + vitamina D3, ac. risedronico,
ac. ibandronico, raloxifene, ranelato di stronzio.
- soggetti che incorrono in una nuova frattura vertebrale moderata-severa
o in una frattura di femore in corso di trattamento con uno degli altri
farmaci della nota 79 (alendronato, risedronato, raloxifene, ibandronato,
ranelato di stronzio) da almeno un anno per una pregressa frattura vertebrale
moderata-severa. Soggetti, anche se in precedenza mai trattati con gli
altri farmaci della nota 79 (alendronato, risedronato, raloxifene, ibandronato,
ranelato di stronzio), che si presentano con 3 o più fratture vertebrali
severe (diminuzione di una delle altezze dei corpi vertebrali > 50% rispetto
alle equivalenti altezze di corpi vertebrali adiacenti integri) o con 2
fratture vertebrali severe ed una frattura femorale prossimale. La nota
si applica su diagnosi e piano terapeutico, della durata di 6 mesi prolungabile
di ulteriori periodi di 6 mesi per non più di altre due volte (per
un totale complessivo di 18 mesi), di centri specializzati, Universitari
o delle Aziende Sanitarie, individuate dalle Regioni e dalle Province autonome
di Trento e Bolzano.
teriparatide, ormone paratiroideo
La prescrizione va fatta nel rispetto delle indicazioni e delle avvertenze
della scheda tecnica dei singoli farmaci
Bifosfonati:
- ac. alendronico
- ac. risedronico
- ac. ibandronico
- ac. alendronico + vitamina D3
- raloxifene
- ranelato di stronzio
- teriparatide
- ormone paratiroideo
Background
Il trattamento dell' osteoporosi deve essere finalizzato alla riduzione
del rischio di frattura. I provvedimenti non farmacologici (adeguato apporto
di calcio e vitamina D, attività fisica) o la eliminazione di fattori
di rischio modificabili (fumo, rischi ambientali di cadute) non hanno controindicazioni
e possono quindi essere raccomandati a chiunque. L' utilizzo di farmaci
è sempre associato a potenziali rischi per cui il loro utilizzo
deve essere riservato ai pazienti a rischio più elevato di frattura,
che sono poi gli unici per i quali esiste una adeguata documentazione di
efficacia.
La nota 79 prevede il trattamento farmacologico dell' osteoporosi a carico del SSN per pazienti con rischio di frattura sufficientemente elevato da giustificare gli inevitabili rischi connessi a trattamenti di lungo termine. I pazienti con pregresse fratture osteoporotiche sono quelli più a rischio di ulteriori fratture (> 20% a 10 anni). Va anche sottolineato che l' efficacia anti-fratturativa di tutti i prodotti in nota è stata prevalentemente dimostrata in pazienti con una storia pregressa di frattura vertebrale (studi FIT, VERT, BONE e SOTI). Una condizione di rischio analoga è stata anche documentata per i pazienti ultra-cinquatenni in trattamento cortisonico cronico. La documentazione di efficace nell' osteoporosi cortisonica per alcuni farmaci giustifica l' estensione della Nota 79 a donne e uomini in trattamento con dosi medio-elevate di corticosteroidi. In altre condizioni (ad esempio bassa massa ossea) la definizione di una soglia di intervento è complicata dall' interagire di più fattori di rischio oltre che dalla minor documentazione di efficacia dei farmaci disponibili. Dall' analisi di studi epidemiologici di grandi dimensioni, condotti in Nord-Europa e negli USA, è stato possibile sviluppare algoritmi per una stima del rischio di frattura a 10 anni, basata sulla valutazione densitometrica (DXA) del femore o ultrasonografica delle falangi in combinazione con altri fattori di rischio. Una ragionevole semplificazione dei suddetti algoritmi consente di identificare due soglie densitometriche ossee a femore o falangi, al di sotto delle quali il rischio di frattura clinica vertebrale a 10 anni sia > 10%: <-4.0 o -3.0 di T score, in relazione alla presenza o meno di ulteriori importanti fattori di rischio. La teriparatide per il suo profilo di sicurezza va riservato a pazienti con una osteoporosi severa e ad altissimo rischio di nuove fratture da fragilità. Questo livello di rischio è identificato dalla presenza di multiple fratture vertebrali severe o dalla comparsa di nuove fratture dopo un congruo periodo di terapia con altri farmaci. La nota prevede che un paziente può essere in nota 79 per teriparatide se ha una delle seguenti condizioni: (a) 3 fratture vertebrali severe; (b) 2 fratture severe e storia di una frattura femorale; (c) 2 fratture vertebrali moderate-severe se una delle due fratture è insorta in corso di terapia con altri framaci della Nota 79; 1 frattura moderata-severa e storia di frattura di femore se una delle due fratture è insorta in corso di terapia con altri framaci della Nota 79. La definizione di severità di frattura è quella descritta da Genant sulla base dei seguenti schemi:
Evidenze disponibili
Per tutti i farmaci della Nota 79 è stata documentata l' efficacia
sul rischio di fratture vertebrali post-menopausali con percentuali di
riduzione del rischio comprese tra 30 e 60% e con un numero di donne da
trattare per 3 anni per evitare una frattura vertebrale (Number Needed
to Treat, NNT), compresa fra 10 e 20, tra i soggetti a più elevato
rischio. In soggetti a minor rischio il NNT a 3 anni è superiore
a 200. L' effetto sulle fratture di femore manca del tutto o risulta da
sub-analisi o è marginale. Va ricordato che in soggetti anziani
per la prevenzione delle fratture di femore sono disponibili più
solide documentazioni di efficacia con la correzione dell' apporto di vitamina
D. L' alendronato è disponibile in Nota 79 anche in associazione
con vitamina D. L' unico studio comparativo condotto con questa associazione
in soggetti non vitamino D-carenti, non dimostra alcun vantaggio rispetto
alla formulazione standard. Nel maschio l' 'efficacia terapeutica è
stata valutata in un trial controllato e randomizzato per il solo alendronato,
al quale pertanto si riferisce la nota. Il numero dei pazienti del trial
(N= 241) non era calcolato per valutare gli effetti del trattamento sulle
fratture osteoporotiche. L' efficacia per la prevenzione delle fratture
è quindi in parte surrogata dai dati sulla massa ossea.
In soggetti in trattamento cortisonico effetti favorevoli dei bifosfonati sulla densità minerale ossea sono stati rilevati in più trial randomizzati. L'efficacia per la prevenzione delle fratture vertebrali (ma non delle fratture non vertebrali) è stata dimostrata in trial randomizzati per risedronato e l'alendronato. In questi e in altri studi, l'esposizione ai corticosteroidi in grado di aumentare in maniera clinicamente rilevante il rischio di fratture osteoporotiche, è generalmente stimata in 7,5 mg/die o più di prednisone o equivalenti. È importante l'osservazione che gli effetti favorevoli dei bifosfonati sulle fratture e sulla densità minerale ossea sono più evidenti in uomini ultra-cinquantenni ed in donne in post-menopausa. Il trattamento con teriparatide riduce il rischio di frattura vertebrale a valori inferiori al 10% in 10 anni anche in soggetti ad alto rischio. Il suo utilizzo è limitato a questi ultimi pazienti per il suo ancora incerto profilo di sicurezza (vedi sotto). Tra le forme severe di osteoporosi va inclusa anche la Osteogenesi Imperfetta. Il neridronato è l' unico famaco con indicazione e prescrivibilità a carico del SSN per questa patologia.
Particolari avvertenze
Alendronato, risedronato ed ibandronato appartengono alla classe dei
bifosfonati. I tre farmaci non sono privi di effetti indesiderati. Tra
questi il più comune è la comparsa o accentuazione di esofagite
particolarmente in persone con reflusso gastro-esofageo o alterata motilità
esofagea o che assumono FANS o che sono incapaci di seguire le raccomandazioni
del foglietto illustrativo (compressa presa a digiuno con abbondante acqua,
rimanenedo in posizione eretta o seduta per almeno trenta minuti). Questo
effetto collaterale è apparentemente meno frequente con le formulazioni
intermittenti (settimanale o mensile). La terapia con bisfofonati è
stata associata alla comparsa di osteonecrosi della mandibola. Questo grave
effetto collaterale è stato ossservato quasi esclusivamente tra
pazienti che assumono dosi elevate di bisfosfonati per via venosa per il
trattamento della ipercalcemia neoplastica e delle metastasi ossee. Le
osservazioni tra pazienti che assumono le dosi indicate per l' osteoporosi
rimangono sporadiche.
Il raloxifene è un modulatore dei recettori estrogenici. I suoi effetti sono simil-estrogenico su osso (riduzione del turnover) e fegato (riduzione di colesterolo e lipoproteine LDL) e anti-estrogenici su endometrio e mammella. Da studi specifici è emerso che raloxifene ha un effetto neutro sul rischio cardio-vascolare, mentre si associa ad un significativo aumento del rischio di ictus e trombo-embolismo venoso. Il meccanismo d' azione del ranelato di stronzio è per il momento sconosciuto. Va ricordato che circa il 50-70% delle variazioni densitometriche sono legate ad un artefatto: l' elevato peso atomico dello stronzio che si deposita nel tessuto osseo. La teriparatide stimola la neoformazione di osso soprattutto a livello della colonna. Il trattamento cronico provoca nei ratti la comparsa di osteosarcomi. Ciò giustifica sia la limitata durata dei trattamenti sia la necessità di limitare la prescrivibilità a centri specialistici particolarmente qualificati.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni:
- nel trattamento di "seconda linea" dell'asma moderato persistente,
in aggiunta agli steroidi per via inalatoria, quando questi non garantiscano
un controllo adeguato della patologia, anche dopo associazione con beta-2
agonisti
- nella profilassi dell'asma da sforzo
Quando gli steroidi risultino insufficienti è preferibile, piuttosto
che aumentarne il dosaggio, aggiungere un farmaco di "seconda linea". Tra
questi la prima scelta è rappresentata dai beta-2 agonisti a lunga
durata d'azione, seguiti, come seconda scelta, dagli antileucotrienici.
Antileucotrienici:
- montelukast
- zafirlukast
Background
Nei pazienti affetti da asma lieve-moderata persìstente non
controllata da steroidi inalatori, è preferibile aggiungere un farmaco
di seconda linea (beta-2 inalatori a lunga durata d'azione, teofillina
o antagonisti dei leucotrieni) piuttosto che aumentare la dose di steroide
inalatorio. Fra queste terapie di seconda linea, i beta-2 inalatori a lunga
durata d'azione rimangono i farmaci di prima scelta.
Evidenze disponibili
Gli antagonisti dei leucotrieni costituiscono farmaci di seconda linea,
da aggiungere quindi agli steroidi inalatori e ai beta-2 stimolanti, quando
tale associazione non sia sufficiente a controllare la sintomatologia o
per mantenere il controllocon dosaggio ridotto di steroide inalatorio in
pazienti con asma persistente di moderata entità.Gli steroidi per
via inalatoria sono i farmaci di prima linea e di prima scelta nel trattamento
dell' asma lieve persistente,ma, quando inefficaci o non tollerati, possono
essere sostituiti, come seconda scelta, dagli antagonisti dei leucotrieni.Questi
ultimi invece sono sconsigliati nell'asma grave persistente in quanto non
efficaci e potenzialmente associati allosviluppo di complicanze quali la
sindrome di Churg-Strauss.Gli antagonisti dei leucotrieni sono consigliati
come farmaci di prima scelta nella profilassi dell'asma da sforzo inalternativa
ai beta-2 stimolanti a breve o lunga durata d'azione o ai cromoni.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni:
-trattamento sintomatico dei pazienti affetti da malattia di Sjögren
o fenomeno di Sjögren (sindrome sicca in corso di patologia autoimmune),
poiché non è disponile una terapia di tipo causale della
malattia
Sostituti lacrimali
La terapia della malattia di Sjögren o fenomeno di Sjögren (sindrome sicca in corso di patologia autoimmune) è attualmente solo sintomatica ed è diretta alla riduzione delle manifestazioni di insufficienza esocrina. La correzione della secchezza oculare può essere effettuata con sostanze di natura diversa, per le quali esista una dimostrazione clinica di efficacia.
La
prescrizione a carico del SSN in soggetti immunocompetenti è limitata
alle seguenti condizioni:
Virus Herpes Simplex: - trattamento delle infezioni genitali acute:
aciclovir, famciclovir, valaciclovir
- profilassi e trattamento delle recidive a localizzazione genitale:
aciclovir, famciclovir, valaciclovir
- cheratite erpetica:
aciclovir
- trattamento della stomatite in età pediatrica:
aciclovir
Virus Varicella-Zoster: - trattamento della varicella:
aciclovir
- trattamento delle infezioni da H. Zoster cutaneo:
aciclovir, famciclovir, valaciclovir, brivudin
La prescrizione dei farmaci attivi sui virus erpetici è rimborsata
dal SSN anche per le altre indicazioni autorizzate nei pazienti immunocompromessi.
Farmaci
attivi sui virus
erpetici:
- aciclovir
- brivudin
- famciclovir
- valaciclovir
Background
La terapia dell'Herpes simplex a localizzazione genitale persegue essenzialmente
quattro scopi:
Evidenze disponibili
L' aciclovir è il farmaco di riferimento per la terapia dell'Herpes
simplex a localizzazione genitale, il primo ad essereintrodotto negli anni
' 80, con dimostrata superiorità sul placebo.Valaciclovir e famciclovir
sono farmaci più recenti, per i quali è dimostrata una efficacia
pari all'aciclovir in studicontrollati comparativi con l'aciclovir stesso
(mentre non esistono trial comparativi tra i due).Gli schemi raccomandati
di terapia sono:
prima infezione:
Per la terapia dell'Herpes zoster, invece, l'aciclovir non è più generalmente considerato il farmaco di riferimento,sebbene l'efficacia rispetto al placebo rimanga confermata. Valaciclovir risulta infatti più efficace di aciclovirnell' accorciamento della durata del dolore associato alle lesioni cutanee e nella riduzione della neurite post-erpetica.Famciclovir è equivalente ad aciclovir in termini di risoluzione delle lesioni cutanee e del dolore associato.Valaciclovir e famciclovir sono stati giudicati equivalenti per quanto riguarda tempo di risoluzione del dolore e nellaprevenzione della neuropatia posterpetica.Brivudin è una analogo nucleosidico pirimidinico (a differenza di aciclovir che è un analogo nucleosidico purinico)registrato per la sola indicazione dell'infezione da Herpes Zoster.Gli studi registrativi di Brivudin dimostrano una riduzione statisticamente significativa (da 17 a 13 ore rispettoall' aciclovir) del tempo di eruzione di nuove lesioni vescicolose da VZV. Il tempo di crostizzazione delle lesioni e discomparsa del dolore associato alla fase acuta sono simili per brivudin e aciclovir. È, inoltre, suggerita la possibileriduzione dell' incidenza (ma non della durata) delle lesioni vescicolose. Uno studio ha dimostrato una riduzionestatisticamente significativa della neurite post-erpetica (PHN) in soggetti trattati con brivudin vs aciclovir.Gli schemi raccomandati di terapia sono:
Particolari avvertenze
La gengivostomatite erpetica è la più comune manifestazione
clinica dell'infezione primaria da HSV-1 in età pediatrica. Sebbene
si tratti di una malattia autolimitantesi, essa ha un decorso di 10-14
giorni e determina difficoltà alla alimentazione e alla reidratazione
che spesso conducono all'ospedalizzazione. In uno studio controllato in
bambini di età compresa fra 1 e 6 anni il trattamento con aciclovir
ha dimostrato più precoce scomparsa delle lesioni e dei sintomi,
riduzione del tempo di viral shedding, basso tasso di ricorrenze, assenza
di eventi avversi rispetto al placebo.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico delle Unità
di Valutazione Alzheimer (UVA) individuate dalle Regioni e dalle Provincie
Autonome di Trento e Bolzano, è limitata ai pazienti con malattia
di Alzheimer di grado lieve e moderato.
Alle UVA è affidato il compito di effettuare o, eventualmente,
confermare una diagnosi precedente e di stabilire il grado di severità
in accordo alla scala MMSE.
Il piano terapeutico deve essere formulato sulla base della diagnosi
iniziale di probabile demenza di Alzheimer di grado lieve-moderato.
La risposta clinica dovrà essere monitorata ad intervalli regolari
dall'inizio della terapia:
- a 1 mese, per la valutazione degli effetti collaterali e per l'aggiustamento
del piano terapeutico;
- a 3 mesi, per una prima valutazione della risposta e per il monitoraggio
della tollerabilità:
la rimborsabilità del trattamento oltre i tre mesi deve basarsi
sul non peggioramento dello stato cognitivo del paziente valutato tramite
MMSE ed esame clinico;
- ogni 6 mesi per successive valutazioni della risposta e della tollerabilità.
Farmaci
per Alzheimer (inibitori dell'acetilcolinesterasi):
- donepezil
- galantamina
- rivastigmina
Background
La demenza, una delle principali cause di disabilità e di disagio
sociale per il mondo occidentale, rappresenta una priorità assistenziale
la cui rilevanza, soprattutto in termini di costi sociali, è destinata
ad aumentare nei prossimi anni a causa del progressivo invecchiamento della
popolazione associato anche all' aumento dell' aspettativa di vita. Stime
di prevalenza indicano che, rispetto al 2001, nei paesi dell' Europa occidentale
ci si dovrà aspettare un incremento del 43% del numero di persone
affette da demenza entro il 2020, e del 100% entro il 2040. Considerando
la malattia di Alzheimer (DA) la più frequente tra le cause di demenza
(43%-64%), il numero stimato di pazienti nella popolazione italiana ultrasessantacinquenne
del 2001 è di 492.000 (range 357.000-627.000), con una prevalenza
del 3,5% (IC 95% 2,5-4,5), mentre la sua incidenza è di 23,8 per
1000 anni/persona (IC 95% 17,3-31,7). Gli inibitori reversibili delle acetilcolinesterasi
(IACh) sono gli unici farmaci approvati in Italia per il trattamento della
DA. Attualmente le molecole presenti in commercio sono donepezil, rivastigmina
e galantamina, con indicazione registrata nella DA di grado lieve-moderato.
La premessa su cui si è basata l' introduzione in commercio di questi
farmaci era la dimostrazione di una loro efficacia nel ritardare il declino
cognitivo e funzionale associato alla DA, a fronte di un buon profilo di
tollerabilità. Tali premesse sembrano però non essere confermate
dai risultati di recenti revisioni sistematiche e di uno studio controllato
di ampie dimensioni. . Da questi studi risultano di dubbia rilevanza clinica
i benefici statisticamente significativi emersi utilizzando sia strumenti
di valutazione globale sia scale cognitive.
Evidenze disponibili
Donepezil, rivastigmina e galantamina sono stati confrontati con il
placebo in numerosi studi randomizzati controllati (RCT), inclusi in varie
revisioni sistematiche. Non vi sono RCT che confrontino le diverse molecole
di IACh tra loro.
Recenti revisioni sistematiche hanno sintetizzato i risultati degli RCT che hanno confrontato donepezil e placebo. Rispetto al placebo il donepezil somministrato al dosaggio di 5 o 10 mg/die per periodi che vanno da 3 a 12 mesi produce un miglioramento cognitivo statisticamente significativo. Utilizzando il Mini Mental State Examination (MMSE, punteggio massimo 30 punti) la differenza osservata è di 1,8 punti a favore del donepezil (10 mg/die per 52 settimane), mentre utilizzando la sezione cognitiva della scala a 70 punti Alzheimer Disease Assessment Scale (ADAS-Cog) si osserva un miglioramento di 2,0 e 3,1 punti (rispettivamente con 5 e 10 mg/die per 24 settimane). Il quadro clinico globale valutato mediante la scala a 7 punti Clinician' s Interview Based Impression of Change (CIBIC plus) migliora di circa 0,5 punti. Gli effetti avversi più frequenti associati all' uso del donepezil sono di tipo colinergico: diarrea (Absolute Risk Increase rispetto al placebo, ARI = 12%) e nausea (ARI = 5%). L' interruzione della terapia a causa di effetti avversi è significativamente maggiore tra i trattati con donepezil rispetto a quelli con placebo (ARI = 6%)(6), mentre la frequenza di eventi avversi gravi non differisce significativamente.
Lo studio AD 2000, finanziato dal servizio sanitario britannico, merita una considerazione particolare in quanto ha il follow-up più lungo mai realizzato su pazienti affetti da AD in trattamento con IACh (3 anni), ed è uno dei pochi RCT pubblicati ad avere considerato come outcome primario il rischio di istituzionalizzazione che d' altra parte non necessariamente rappresenta un buon outcome nella malattia di Alzheimer e nelle demenze in genere. Dei 565 pazienti affetti da AD di grado lieve-moderato, 282 sono stati assegnati a trattamento con donepezil e 283 a placebo; 292 pazienti sono stati seguiti per 60 settimane e 111 fino a 114 settimane. I risultati mostrano che il rischio di istituzionalizzazione dei pazienti sottoposti a trattamento con donepezil non differisce significativamente da quello dei pazienti del gruppo placebo (rischio relativo 0,97; IC 95% 0,72-1,30 p = 0,80). Anche combinando il rischio di istituzionalizzazione e di progressione della disabilità non sono state osservate differenze significative tra donepezil e placebo (rischio relativo 0,96; IC 95% 0,74-1,24 p = 0,70). Anche per gli altri outcome considerati dallo studio (sintomi comportamentali, psicopatologia dei caregiver, costi assistenziali, tempo non retribuito impiegato dai caregiver per l' assistenza al malato, eventi avversi o decessi, dosi diverse di donepezil) non sono state osservate differenze statisticamente significative rispetto al placebo. I pazienti in trattamento con donepezil hanno mostrato nelle prime 12 settimane un miglioramento medio di 0,9 punti del MMSE e di 1 punto della scala funzionale Bristol Activities of Daily Living (BADLS). Successivamente, entrambi i gruppi (donepezil e placebo) hanno mostrato un ritmo analogo di peggioramento nel tempo. Durante lo studio, 167 pazienti hanno sospeso in cieco il trattamento con donepezil senza mostrare particolari problemi dopo l' interruzione. Gli autori dello studio hanno inoltre effettuato una valutazione economica mostrando che, nell' ambito del servizio sanitario britannico, la terapia con donepezil non produce sostanziali riduzioni dei costi assistenziali per i pazienti con DA. In sostanza lo studio ha confermato i risultati dei precedenti RCT sugli IACh, dimostrando che l' uso di donepezil produce un miglioramento dei punteggi nelle scale cognitive e funzionali, ma ha messo in dubbio la rilevanza clinica di questi outcome e la costo-efficacia del farmaco. La pubblicazione dello studio ha innescato un dibattito sulla utilità clinica del donepezil (e quindi anche degli altri IACh, vista l' assenza di provate differenze in termini di efficacia tra molecole diverse) nella terapia della DA. Numerose sono state le critiche su aspetti metodologici relativi al disegno e alla conduzione di questa indagine. In particolare è stato sottolineato che la ridotta numerosità di reclutamento rispetto a quanto programmato (565 pazienti invece di 3000), pur permettendo di raggiungere la potenza necessaria per dimostrare o confutare le ipotesi legate agli outcome primari, ha portato a stime con intervalli di confidenza relativamente ampi (compatibili con circa 30% di riduzione e 30% di aumento del rischio associato alla terapia con donepezil). Secondo alcuni autori inoltre, i ripetuti periodi di washout al termine delle varie fasi dello studio potrebbero avere provocato una perdita dei benefici ottenuti mediante terapia con donepezil. Una revisione sistematica Cochrane14 aggiornata al 2003 ha analizzato i risultati di 8 RCT (pubblicati e non) sulla rivastigmina. Rispetto al placebo, il farmaco somministrato a dosi di 6-12 mg/die produce, al termine di un followup di 26 settimane, un miglioramento cognitivo quantificabile in 2,1 punti alla ADAS-Cog e un miglioramento funzionale pari a 2,2 punti della Progressive Disability Scale (PDS) nell' attività della vita quotidiana. Nausea (ARI = 17%) e vomito (ARI = 14%) sono gli effetti avversi più comunemente associati alla terapia, e causano il 9% in più di sospensioni del trattamento rispetto al placebo.
Per quanto riguarda la galantamina una revisione sistematica che ha incluso 8 trial, di cui 6 pubblicati, mostra un miglioramento cognitivo (testato mediante la scala ADAS-Cog) e globale (scale CIBIC plus o CGIC) rispetto al placebo a dosi comprese tra 16 e 36 mg/die in soggetti con DA di grado lieve-moderato. L' effetto sulla sfera cognitiva sembra aumentare con la durata del trattamento, che tuttavia negli studi considerati non supera i 6 mesi. Fino al 20% dei pazienti trattati con galantamina presenta effetti avversi di tipo colinergico, che causano più frequentemente del placebo sospensioni della terapia (ARI = 14%).
Le metanalisi sugli IACh
Due metanalisi, pubblicate nel 2004 e nel 2005, hanno analizzato in
maniera cumulativa i risultati di RCT di confronto tra i vari IACh in commercio
e il placebo. Sostanzialmente le conclusioni dei due lavori sono simili:
nei pazienti con DA il trattamento con IACh produce benefici statisticamente
significativi sia utilizzando strumenti di valutazione globale (scala CIBIC
plus o la scala GCI), sia quando si utilizzano scale cognitive (ad es.
la ADAS-Cog). L' effetto terapeutico sul quadro clinico globale degli IACh
rispetto al placebo è del 9% (IC 95% 6-12), corrispondente a un
Number Needed to Treat (NNT) di 12 (IC 95% 9-16). Ciò significa
che per ottenere un miglioramento clinico globale di qualsiasi entità
in un nuovo paziente è necessario trattare 12 pazienti con IACh.
L' analisi dei dati di sicurezza, cioè il calcolo del Number Needed
to Harm (NNH), porta a stime analoghe: ogni 12 pazienti trattati con IACh
(IC 95% 10-18) si avrà un nuovo paziente con effetti avversi. Per
quanto concerne la sicurezza degli IACh considerati globalmente, la proporzione
dei pazienti trattati che interrompe la terapia è maggiore che nel
gruppo placebo (ARI = 8%), particolarmente a causa di effetti avversi (ARI
= 7%). L' apparente "pareggio" tra benefici e rischi, in termini di NNT
e NNH, va interpretato considerando l' importanza di un potenziale guadagno
in termini di deterioramento clinico in un paziente affetto da DA a fronte
della comparsa di effetti avversi che, pur potendo portare in molti casi
a una sospensione del trattamento, sono reversibili e non gravi. L' entità
del miglioramento clinico globale è tuttavia modesta, e la sua ricaduta
su esiti assistenziali rilevanti, quali il carico assistenziale per i caregiver
o un ritardo nella istituzionalizzazione del paziente, resta ancora da
chiarire. La revisione di Kaduszkiewicz et al. include una valutazione
accurata della qualità metodologica dei singoli RCT dalla quale
emergono problemi sostanziali riguardanti il disegno degli studi e l' analisi
dei dati. Scelte metodologiche inappropriate potrebbero aver introdotto
dei bias che hanno particolarmente enfatizzato i benefici associati all’uso
degli IACh. La presenza di carenze metodologiche e di modesti vantaggi
clinici fa concludere gli autori che “le basi scientifiche per
raccomandare gli IACh nel trattamento della DA sono discutibili”.
Implicazioni cliniche dei recenti risultati
Tra i pazienti affetti da DA la percentuale attesa di responder alla
terapia con IACh, intesi come individui che mostrano un qualsiasi miglioramento
accertabile mediante una scala clinica globale, è circa del 10%.
Poiché non vi è modo di individuare in anticipo i pazienti
che risponderanno alla terapia, una possibile strategia prescrittiva -
adottata dall' Agenzia Italiana del Farmaco e da altre istituzioni estere,
come il britannico National Institute for Clinical Excellence (NICE) -
consiste nel decidere la prosecuzione del trattamento sulla base della
risposta clinica a 3 mesi: solo i pazienti che dopo 3 mesi di trattamento
non peggiorano o mostrano un miglioramento del punteggio MMSE rispetto
alla baseline saranno candidabili a continuare la terapia con IACh. I risultati
dello studio osservazionale CRONOS mostrano, infatti, che la presenza di
una risposta al trattamento dopo 3 mesi aumenta significativamente la probabilità
di mantenere un miglioramento cognitivo anche 9 mesi dopo l' inizio della
terapia (OR = 20,6; IC 95% 17,2-24,6). Poiché tuttavia si è
visto che i miglioramenti cognitivi associati al trattamento con IACh sono
di modesta entità, dovendosi basare sulla risposta individuale di
singoli pazienti è opportuno chiedersi se il MMSE, unitamente a
una valutazione clinica informale e soggettiva, sia un criterio appropriato
per decidere la prosecuzione del trattamento con IACh, considerando che:
nessuno dei trial sugli IACh nella DA ha utilizzato il punteggio MMSE
come outcome cognitivo primario, che nella maggioranza degli studi è
rappresentato dalla scala ADASCog; il MMSE infatti non è ritenuto,
dalla maggior parte degli autori, uno strumento adeguato a misurare l'
efficacia degli IACh;
analizzando gli studi in cui il MMSE è stato utilizzato come
test cognitivo nella DA risulta che il deterioramento atteso annualmente
in pazienti non trattati è di circa 3,3 punti (IC 95% 2,9-3,7),
e che le differenze osservate tra effetto dei farmaci e placebo (0,68-1,36
punti) sono minori dell' errore medio di stima del MMSE (2,8 punti);
i risultati di recenti RCT mostrano, confermando precedenti osservazioni,
che il miglioramento osservato al MMSE durante i primi 3-6 mesi di terapia
con donepezil non è predittivo della risposta a lungo termine. Pur
senza togliere importanza alla scelta di strumenti idonei a monitorare
lo stato cognitivo e funzionale, l' aspetto sostanziale da considerare
quando si interpretano i risultati degli studi sugli IACh nella DA è
tuttavia un altro, e riguarda la rilevanza clinica delle differenze osservate.
Tutti gli RCT pubblicati, eccetto pochi tra cui lo studio AD 2000, hanno
considerato come outcome primario una variazione del punteggio di scale
cliniche che consentono quantificazioni formali di deterioramento cognitivo,
globale o funzionale. Questa scelta nasce dal fatto che, per ottenere l'
approvazione di un farmaco come agente antidemenza, la Food and Drug Administration
americana richiede la dimostrazione di una differenza significativa rispetto
al placebo, utilizzando una delle suddette scale. Come già accennato
in precedenza, non è tuttavia chiaro se ai miglioramenti rilevati
mediante questi outcome surrogati corrisponda un beneficio anche su misure
di esito più rilevanti per i pazienti con DA. La valutazione critica
delle prove di efficacia che hanno promosso gli IACh all' attuale ruolo
nella terapia della DA insieme con le più recenti revisioni sistematiche
e studi clinici portano a dover tenere conto che:
rispetto al placebo, nei pazienti affetti da DA, la terapia con IACh
produce benefici cognitivi e funzionali di modesta entità;
questi benefici non hanno ricadute su esiti clinicamente e socialmente
più rilevanti, come il rischio di istituzionalizzazione, la progressione
della disabilità e il carico assistenziale per i caregiver;
la percezione di efficacia che ha portato alla registrazione e alla
rimborsabilità di queste molecole è nata dalle conclusioni
positive di singoli RCT i cui risultati potrebbero essere stati distorti
a favore degli IACh in conseguenza di discutibili scelte metodologiche
riguardanti il disegno dello studio e l' analisi dei dati.
Particolari avvertenze
La risposta clinica dovrà essere monitorata ad intervalli regolari
:
Criteri NINCDS-ADRDA per la diagnosi di probabile demenza di Alzheimer
a)Criteri che devono essere presenti contemporaneamente:
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alla seguente condizione:
-pazienti affetti da incontinenza urinaria, nei casi in cui il disturbo
minzionale sia correlato a patologie del sistema nervoso centrale (es.
ictus, morbo di Parkinson, traumi, tumori, spina bifida, sclerosi multipla).
Antispastici
urinari:
-ossibutinina
Background
In condizioni normali, la minzione ha inizio per contrazione del muscolo
detrusore della vescica, mediatadall'innervazione colinergica, cui segue
un rilasciamento dello sfintere urinario. In caso di instabilità
del detrusore,contrazioni involontarie della vescica causano pollachiuria,
bisogno impellente di urinare e incontinenza.L' ossibutinina è un
farmaco anticolinergico utilizzato nel trattamento della vescica iperattiva.
L' ossibutinina determina unrilasciamento della muscolatura liscia vescicale,
sia per la sua attività antimuscarinica sia per un effetto diretto
sullamuscolatura liscia.
Evidenze disponibili
Molti studi clinici hanno dimostrato la reale efficacia dell' ossibutinina
nel controllo della iperattività detrusoriale, inclusa l' iperreflessia.
Il farmaco, riducendo efficacemente la frequenza della minzione, diminuisce
il numero degli episodi di incontinenza e incrementa la capacità
della vescica. Thuroff et al. hanno raccolto 15 studi clinici controllati
e randomizzati su un totale di 476 pazienti trattati con ossibutinina.
La riduzione media dell' incontinenza urinaria osservata in tali soggetti
è stata circa il 52% e la riduzione media relativa alla frequenza
della minzione nelle 24 ore è stata circa il 33%. In tale studio
la compliance dei pazienti è stata del 97% e la comparsa di effetti
collaterali (prevalentemente secchezza delle fauci) è stata osservata
solo dell' 8%. L' efficacia dell' ossibutinina è stata dimostrata
anche per somministrazione intravescicale.
La
prescrizione a carico del SSN, su diagnosi di specialisti, secondo modalità
adottate dalle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, è
limitata alle seguenti condizioni:
-pazienti affetti da patologie cutanee gravi e croniche (ad es. psoriasi,
dermatite atopica).
Cortisonici per uso topico
Background
Alcune malattie infiammatorie croniche che colpiscono primariamente
la cute, soprattutto quando le lesioni abbiano estensione limitata, possono
essere efficacemente controllate, attraverso il ricorso a steroidi per
applicazione topica. L' applicazione topica del farmaco offre il vantaggio
di limitare, in buona parte, gli effetti al sito di applicazione. Le condizioni
cliniche che possono trarre beneficio da un trattamento con steroidi topici
comprendono: gli eczemi da contatto, la dermatite atopica, la psoriasi
(per lesioni di estensione limitata, in genere inferiore al 10% della superficie
corporea), il pemfigoide bolloso, il lichen planus, il lupus eritematoso
discoide cronico ed in misura più limitata la vitiligine. In base
alla loro potenza, valutata in genere attraverso test di vasocostrizione,
gli steroidi topici possono essere classificati come deboli o di classe
I (es. idrocortisone, prednisone, clobetasone butirrato), moderatamente
potenti o di classe II (es. triamcinolone acetonide, betametasone benzoato
e valerato), potenti o di classe III (es. dilfucortolone valerato, betametasone
dipropionato, fluocinamide) e molto potenti o di classe IV (es. clobetasolo
propionato). Un differente modo di classificare gli steroidi topici prevede
classi da 1 a 7 ove la classe 1 comprende steroidi molto potenti e la classe
7 steroidi deboli. L' efficacia degli steroidi topici si può potenziare
aumentandone l' assorbimento attraverso medicazioni occlusive. Fondamentale
è poi considerare la diversa capacità di assorbimento delle
varie zone corporee: se si assume pari a 1 l' assorbimento sull' avambraccio,
sullo scroto questo è 40 volte maggiore, 6 volte maggiore sulla
fronte e 4 volte maggiore nella regione delle ascelle.
Evidenze disponibili
Gli steroidi per uso topico sono efficaci nel controllo dei sintomi
associati alla dermatite allergica da contatto. Bisogna, tuttavia, notare
come gli steroidi topici possano essere, a loro volta, responsabili di
sensibilizzazione da contatto. Sebbene largamente impiegati, gli steroidi
topici non sembrano efficaci nel trattamento della dermatite irritativa
da contatto. Nella dermatite cronica delle mani, condizione in genere multifattoriale,
gli steroidi topici hanno documentata efficacia ma non vi sono prove che
indichino i vantaggi di brevi cicli con steroidi potenti rispetto ad applicazione
prolungata di steroidi di bassa potenza. In uno studio randomizzato un
trattamento intermittente (3 applicazioni settimanali) con uno steroide
potente come il mometasone, dopo soppressione dei sintomi con trattamento
continuativo per 9 settimane, offriva un controllo dei sintomi a 36 settimane
nell' 83% dei pazienti rispetto al 26% dei pazienti non trattati. Una revisione
sistematica conferma l' efficacia degli steroidi topici nel controllo dei
sintomi della dermatite atopica. Gli oltre 40 studi analizzati avevano
durata molto limitata (1-6 settimane) e valutavano differenti molecole
con grande variabilità nella stima degli effetti (13-90% di risposta).
Un solo studio controllato e randomizzato considera l' effetto degli steroidi
topici nel prevenire le recidive della dermatite atopica una volta ottenuta
la remissione clinica. Lo studio mostra come l' applicazione di fluticasone
propionato per due giorni consecutivi della settimana per 16 settimane
dopo un trattamento continuativo per 4 settimane, permetta un miglior controllo
dei sintomi rispetto al placebo. Come indicato da una revisione sistematica,
solo dati a breve termine (periodi di trattamento non superiori in genere
alle 6-8 settimane) sono disponibili circa gli effetti degli steroidi topici
di media e alta potenza nella psoriasi. Le medicazioni occlusive accrescono
l' attività clinica in questa condizione. Uno studio controllato
e randomizzato indica come il clobetasolo propionato topico sia più
efficace degli steroidi sistemici nel controllo del pemfigoide bolloso
con lesioni estese e si associ a minore mortalità ed eventi avversi.
Come indicato da una metanalisi, la fotoprotezione e l' impiego di steroidi
topici risultano misure efficaci nel ridurre l' entità delle manifestazioni
cliniche del lupus eritematoso discoide cronico. Gli steroidi topici sono
frequentemente impiegati nel controllo dei sintomi del lichen planus sia
cutaneo sia mucoso. Le prove disponibili, raccolte in due revisioni sistematiche,
sono tuttavia limitate per quanto riguarda le localizzazioni cutanee, mentre
sono più convincenti per quanto riguarda gli effetti sulle lesioni
mucose. Una revisione sistematica indica come gli steroidi topici potenti
per periodi prolungati (4-6 mesi) possano indurre un variabile grado di
ripigmentazione nella vitiligine di recente insorgenza e di estensione
limitata. Tali trattamenti protratti si associano a frequenti effetti avversi
locali. Per ridurre gli effetti avversi sono state proposte modalità
di trattamento che prevedono una settimana di sospensione ogni tre settimane
di trattamento.
Particolari avvertenze
Gli steroidi potenti non dovrebbero essere applicati in zone cutanee
ad elevato assorbimento (es. aree di piega e scroto).Tali steroidi potenti
non sono inoltre consigliabili in età infantile.Gli steroidi non
vanno applicati su cute ove siano in atto processi infettivi né
su lesioni ulcerative.Per applicazioni protratte si possono osservare effetti
collaterali locali come teleangectasie, porpora, ipertricosi, atrofia,strie
distense. Per applicazioni protratte su aree estese e in zone ad elevato
assorbimento si possono osservare gli effettiavversi sistemici degli steroidi.
La
prescrizione a carico del SSN è limitata alle seguenti condizioni:
-pazienti affetti da patologie su base allergica di grado medio e grave
(rinocongiuntivite allergica stagionale, orticaria persistente non vasculitica)
per trattamenti prolungati (superiori ai 60 giorni).
Antistaminici
Background
Le malattie allergiche costituiscono un serio problema sanitario sia
per il costante e continuo incremento epidemiologico in Italia (i dati
ISTAT si attestano attualmente sul 20% dell' intera popolazione), sia per
i risvolti farmaco-economici: i costi per il trattamento e le assenze lavorative
e scolastiche. Le forme perenni alterano significativamente la qualità
di vita, addirittura tanto quanto l' asma lieve o moderata. La rinite e
la rinocongiuntivite allergica rappresentano il più importante fattore
di rischio per lo sviluppo di asma bronchiale e spesso le due patologie
sono associate. Un non adeguato trattamento delle vie aeree superiori comporta
un insuccesso terapeutico nel paziente asmatico. Per questi motivi la rinite
allergica deve essere considerata una patologia importante sia per le sue
caratteristiche di cronicità sia per il fatto di essere un fattore
aggravante l' asma. A tale proposito deve essere sottolineato lo stretto
legame esistente tra la rinite allergica e la patologia asmatica: questo
nesso è talmente cruciale che l' OMS ha stilato un documento che
valuta appunto l' impatto della rinite allergica sull' asma (ARIA Document
"Allergic Rhinitis and its Impact on Asthma"). Da tale documento emerge
il concetto che la rinite allergica è caratterizzata da un processo
infiammatorio strettamente dipendente dall' esposizione all' allergene
causale, anche in assenza di sintomi. Si evince inoltre che un trattamento
ottimale della rinite allergica può prevenire l' insorgenza di asma
o migliorare l' asma coesistente. Il documento ARIA ha anche rivisitato
la classificazione e i protocolli terapeutici della rinite allergica. La
nuova classificazione è basata sulla durata dei sintomi e prevede
due forme: intermittente e persistente. La seconda è caratterizzata
dalla presenza di sintomi rinitici per più di quattro giorni alla
settimana e per più di quattro settimane consecutive. A seconda
dell' impatto sulle attività del soggetto, del senso di fastidio
e delle ripercussioni sul sonno, la rinocongiuntivite allergica è
riclassificata in base all' intensità dei sintomi. Il trattamento
pertanto deve essere differenziato a seconda della forma e della gravità.
Tale trattamento deve essere indirizzato verso obiettivi prioritari: l'
antagonismo degli effetti indotti dai mediatori sugli organi bersaglio
e la riduzione dell' accumulo delle cellule infiammatorie attivate. In
questa ottica, l' istamina costituisce il più importante mediatore
patogenetico.
Evidenze disponibili
Gli antistaminici sono farmaci che esplicano il loro ruolo con differenti
meccanismi tra i quali il principale è il blocco del recettore H1
per l' istamina. I farmaci di seconda generazione possiedono proprietà
farmacologiche aggiunte che differiscono tra le diverse molecole. Gli antistaminici
sono in grado di bloccare il rilascio di mediatori da basofili e mastociti.
Possono avere anche un effetto antinfiammatorio. Gli antistaminici di seconda
generazione si sono dimostrati più efficaci e accompagnati da minori
effetti collaterali di sedazione rispetto a quelli di prima generazione,
nonché da migliore compliance (monosomministrazione). Nell' orticaria
acuta e cronica sono efficaci sintomatici. Sono in grado di ridurre il
numero, la dimensione e la durata delle lesioni cutanee negli episodi di
orticaria. Nell' orticaria cronica si ottengono risultati migliori nella
somministrazione continua rispetto a quella intermittente al bisogno (36).
Nei casi di orticaria vasculitica la risposta agli antistaminici non è
ottimale. Nella dermatite atopica gli antistaminici non hanno effetto sul
decorso della malattia.
Particolari avvertenze
Le attuali evidenze non supportano l' uso di antistaminici nella terapia
dell' asma (Gina 2001). Gli antistaminici non sono indicati nel raffreddore
comune sia in monoterapia sia associati a decongestionanti.