CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA

Dipartimento Centro Studi - Formazione e Crediti formativi

Progetto sul Diritto della Navigazione e dei Trasporti

 

Numero 6 – novembre 2012

newsletter del Progetto sul Diritto della Navigazione e dei Trasporti

 

Sono lieto di presentare il sesto numero della Newsletter, frutto dello studio dei componenti del Progetto sul Diritto della Navigazione e dei Trasporti e del coordinamento scientifico del titolare della cattedra di Diritto della Navigazione dell’Università La Sapienza, Prof. Leopoldo Tullio, coordinatore del Progetto e responsabile della I Sezione della newsletter, dedicata al Diritto della Navigazione.

Vengono di seguito riportati i principali argomenti trattati ed il link per una lettura completa della newsletter.

 

Il Consigliere delegato al Progetto sul Diritto della Navigazione e dei Trasporti

Avv. Fabrizio Bruni

 

 

PROGETTO SUL DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE E DEI TRASPORTI

CONSIGLIERE DELEGATO: Avv. Fabrizio Bruni

 

Sezione I: DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE

COORDINATORE: Prof. Leopoldo Tullio

Collaboratori per la redazione di questa newsletter:

Marco Basile; Cristina De Marzi; Enzo Fogliani; Chiara Luna; Francesco Mancini; Giovanni Marchiafava; Daniele Ragazzoni; Sara Reverso; Cristina Sposi; Andrea Tamburro.

 

 

Indice degli argomenti trattati

 

Aeromobili - Navigabilità - Certificazione.

 

Demanio marittimo - Punti d’ormeggio - Pontili galleggianti - Competenza dei Comuni.

 

Lavoro marittimo - Foro di competenza - Luogo di cessazione del rapporto di lavoro.

 

Porti - Servizi portuali - Abuso di posizione dominante.

 

Servizi della navigazione interna - Esercizio non autorizzato del trasporto di cose per conto terzi - Natura reale dell’autorizzazione.

 

Trasporto aereo di persone - Reg. (CE) n. 261/2004 - Nozione di «negato imbarco».

 

Trasporto aereo di persone - Ritardo - Reg. (CE) n. 261/2004 - Compensazione pecuniaria - Equiparazione alla cancellazione del volo - Compatibilità con la Convenzione di Montreal del 1999 - Compatibilità col principio di proporzionalità.

 

Trasporto aereo di persone - Trasparenza delle tariffe - Assicurazione dell’annullamento viaggio - Espressa e consapevole accettazione dei costi per prestazioni non indispensabili. 

 

Trasporto aereo internazionale - Trasferimento dati del codice di prenotazione - Accordo UE-Australia - Entrata in vigore.

 

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Trasporto aereo internazionale - Trasferimento dati del codice di prenotazione - Accordo UE-Australia - Entrata in vigore.

 

ACCORDO TRA L’UNIONE EUROPEA E L’AUSTRALIA SUL TRATTAMENTO E SUL TRASFERIMENTO DEI DATI DEL CODICE DI PRENOTAZIONE DA PARTE DEI VETTORI AEREI ALL’AGENZIA AUSTRALIANA DELLE DOGANE E DELLA PROTEZIONE DI FRONTIERA

 

Strategia esterna dell’UE relativa ai dati del codice di prenotazione e breve sintesi dell’accordo firmato con l’Australia.

 

Il 1° giugno 2012 è entrato in vigore l’accordo internazionale firmato a Bruxelles il 29 settembre 2011, fra l’Unione europea e l’Australia relativo al trasferimento, da parte dei vettori europei all’Agenzia australiana delle dogane e della protezione di frontiera, dei dati del codice di prenotazione (Passenger Name Record - PNR) (GUUE 14 luglio 2012, L186/1-L186/16, in cui sono pubblicati, oltre all’accordo: informazione relativa all’entrata in vigore, dec. 2012/380/UE del Consiglio relativa alla firma, dec. 2012/381/UE del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo).

L’accordo si inserisce nel quadro delle misure applicate dagli Stati per la prevenzione e la lotta dei crimini terroristici e, più in generale, dei crimini transfrontalieri.

La Commissione europea, in una comunicazione del settembre 2010 [COM(2010) 492], indica la raccolta e lo scambio di dati personali come una delle misure che l’UE ed altri Stati terzi hanno adottato per fronteggiare minacce ed attentati terroristici.

La politica comunitaria relativa ai dati del codice di prenotazione è illustrata nella risoluzione del Parlamento europeo sulla «Strategia esterna dell’UE relativamente ai dati del codice di prenotazione» (2012/C 74 E/02 in GUUE C 74 e/8 del 13 marzo 2012), in cui sono segnalati i precedenti atti comunitari sui dati PNR, come la risoluzione del 2007 relativa all’accordo PNR con gli Stati Uniti d’America.

I dati del codice di prenotazione (PNR) sono  informazioni personali fornite dai passeggeri e raccolte dai vettori aerei ai fini della prenotazione del volo e delle operazioni di check-in; essi sono conservati nei sistemi di prenotazione e controllo delle partenze dei vettori aerei e contengono tutte le informazioni relative al contratto dei trasporto ed al passeggero.

L’accordo fra UE ed Australia  in esame ha lo scopo di fissare le condizioni di trasferimento,  uso e modalità di protezione dei dati PNR trasferiti dai vettori europei all’Agenzia australiana delle dogane e della protezione frontaliera.

L’Australia assicura che i dati pervenuti in base all’accordo vengano trattati dalla Agenzia australiana esclusivamente per prevenire, accertare, indagare e perseguire i reati di terrorismo o i reati gravi di natura transnazionale (art. 3).

L’Allegato 1 all’accordo enumera gli elementi del PNR che i vettori sono tenuti a trasferire in base all’accordo. Oltre al codice PNR di identificazione della pratica ed ai dati desumibili direttamente dal contratto di trasporto (nome del passeggero, data e ora del volo, bagaglio), vi si trovano, fra l’altro, le informazioni sui viaggiatori abituali, tutte le informazioni relative al pagamento e fatturazione, l’agenzia di viaggio, le informazioni APIS (cioè i dati anagrafici raccolti dalla banda a lettura ottica del passaporto).

Si tratta, quindi, di un’ampia gamma di informazioni che viaggiano dal vettore all’autorità australiana almeno 72 ore prima del passeggero stesso (art. 21); essi vengono trasferiti con il metodo push, per cui è il vettore aereo che trasmette i dati al Paese terzo e non già il Paese terzo che accede alle banche dati del vettore aereo.

I dati PNR sono soggetti alla legge australiana in materia di sicurezza dei dati (Privacy Act del 1988) e l’art. 8 dell’accordo fa divieto all’Agenzia australiana  di trattare dati PNR sensibili che devono essere cancellati. Sono definiti «dati sensibili» dall’art. 2 dell’accordo: «qualunque dato personale che riveli l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, o la salute o l’orientamento sessuale».

I dati raccolti e trasferiti dal vettore non riguardano soltanto il passeggero ma anche l’equipaggio incluso il comandante (art. 2, lett. g), per cui il vettore è tenuto ad inviare i dati relativi ai propri dipendenti.

L’accordo contiene una serie di articoli volti a garantire il rispetto della persona del passeggero, il quale deve essere chiaramente informato dal vettore della raccolta, del trattamento e dell’uso dei dati PNR (art. 11), può chiedere all’Agenzia australiana di accedere ai suoi dati (art. 12) e  dopo cinque anni e mezzo dalla raccolta, salvo eccezioni, i suoi dati vengono cancellati (art. 16).

Dalla lettura degli articoli si evince lo sforzo di contemperare i diversi e contrapposti interessi in gioco: la salvaguardia della sicurezza, da un lato, ed il diritto alla protezione dei dati personali dall’altro.

Invero mi sembra che, nonostante gli sforzi, il primo degli interessi sia senza dubbio prevaricante. Infatti, benché sia previsto che i dati viaggino con mezzi informatici sicuri, che siano contenuti in strumenti non accessibili, che divengano anonimi dopo tre anni e così via, rimane il fatto che tutti i dati, anche quelli sensibili (benché poi cancellati) relativi a tutte le persone che si accingono a viaggiare in aereo, vengono registrati, trasmessi, esaminati, catalogati per essere quindi ritrasmessi alle autorità competenti se vi sia il sospetto che una persona possa compiere un atto di terrorismo, o finanziarlo o raccogliere fondi «direttamente o indirettamente, con l’intenzione di utilizzarli per compiere un atto di terrorismo» (art. 3).

 

Cristina De Marzi

 

 

Porti - Servizi portuali - Abuso di posizione dominante.

 

CORTE D’APPELLO DI ROMA, SEZ. I CIVILE,  2 LUGLIO 2012

 

Abuso di posizione dominante in ambito portuale.

 

La Corte d’appello di Roma, nella sua competenza in unico grado sulla base dell’art. 33 della legge antirtrust (legge n. 287/1990), pone un interessante precedente nel settore portuale risolvendo un’annosa questione relativa al servizio di traghettamento nello stretto di Messina che vedeva coinvolta anche la pubblica amministrazione. Parte attrice, infatti, chiedeva all’autorità portuale ed a RFI (Rete Ferroviaria Italiana) il risarcimento del danno provocatogli dall’asserito diniego, da parte dell’autorità portuale stessa, dell’uso di un’area portuale già data in concessione a RFI.

La vertenza era particolarmente complessa, sia in quanto vertente su un settore di mercato in cui per forza di cose si possono facilmente verificare monopoli di fatto, sia per la circostanza che la vicenda si intrecciava con più di una pronuncia del Tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato, cui non erano estranei elementi di diritto penale.

La sentenza, ampiamente motivata, dopo aver esattamente delineato gli ambiti di competenza delle pronunce della giurisdizione amministrativa intervenuta sulla questione e quelli riservati alla cognizione della Corte d’appello, ha posto una serie di punti fermi che possono essere ritenuti fondamentali per la soluzione di controversie analoghe in ambito portuale.

Fra questi, si può citare il principio secondo il quale, affinché possa configurarsi una indebita situazione di monopolio a favore di un determinato operatore portuale su un bene portuale, non è sufficiente che questi sia titolare di concessione esclusiva del bene portuale che l’impresa che intende entrare nel mercato vuole utilizzare, ma è necessario che tale concessionario, richiestone, neghi l’uso di tale bene. Inoltre (e rileva anche sotto il profilo processuale) la deduzione di un abuso di posizione dominante a carico di un singolo operatore in zona portuale ove viceversa operino più soggetti, comporta la necessità di dimostrare l’esistenza di un accordo monopolistico fra tutti gli operatori interessati, che a tal fine dovrebbero quindi essere contraddittori necessari del giudizio.

La soluzione cui è pervenuta la Corte d’appello, sostanzialmente condivisibile, lascia però aperta in diritto la questione della legittimazione passiva dell’amministrazione convenuta, ritenuta assorbita dall’inesistenza dell’abuso di posizione dominante. Questione che verosimilmente si presenterà in futuro in situazioni analoghe, in quanto la circostanza che le operazioni portuali si svolgano in ambito demaniale fa sì che difficilmente l’autorità amministrativa possa rimanere estranea ai fatti alla base di tali controversie.

 

Enzo Fogliani

 

 

Demanio marittimo - Punti d’ormeggio - Pontili galleggianti - Competenza dei Comuni.

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, 4 LUGLIO 2012 N. 3908

 

Caratteristiche strutturali dei punti d’ormeggio e regime concessorio.

 

Con la sentenza del 4 luglio 2012 n. 3908, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha confermato quanto statuito in primo grado dal TAR Lazio-Latina 30 giugno 2011 n. 576, dichiarando legittimo il diniego ad una concessione demaniale marittima,  segnatamente per l’installazione di un pontile galleggiante, da parte del Comune.

Il ricorrente principale ha proposto appello avverso la sentenza assumendo, da un lato, che detto diniego fosse stato adottato in violazione delle competenze regionali e delle disposizioni vigenti per l’utilizzazione del litorale, dall’altro, che detto pontile galleggiante non rientrasse nelle «strutture coperte» cui devono ricollegarsi i limiti stabiliti dal regolamento regionale n. 11/2009. Tale regolamento, emanato ai sensi degli art. 52, commi 3 e 4, e 56 della l. reg. 6 agosto 2007 n. 13, stabilisce i requisiti e le caratteristiche delle diverse tipologie di utilizzazione delle aree demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative, tra cui i punti d’ormeggio.

Il pontile galleggiante è un’importante struttura dedicata alla nautica da diporto che, insieme ai gavitelli di ormeggio, funge da punto di ormeggio; in generale, per ormeggio si intende «il luogo nel quale una nave o imbarcazione in genere può essere o è ormeggiata»; secondo un’accezione più completa indica la «fermata stabile» di una nave in porto (cfr. U. La Torre, Ormeggio di nave, in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, p. 723). 

Una prima definizione a livello legislativo dei punti di ormeggio è stata data  con il d.P.R. 2 dicembre 1997 n. 509, il cui art. 2 li definisce come le «aree demaniali marittime e gli specchi acquei, dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto». 

La finalità del decreto è quella di regolamentare il procedimento di concessione dei beni del demanio marittimo, finalizzato alla realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto e per consentire ai privati di costruire tali strutture, in attuazione dell’art. 20, comma 8, della legge n. 59/1997 recante la «Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa».

Quanto alle concessioni per i punti di ormeggio, il decreto stabilisce che devono essere rilasciate con procedure snelle e celeri, equiparando tali strutture a quelle di interesse turistico-ricreativo in ragione della tenuità delle installazioni.

I giudici amministrativi, nella sentenza in commento, certi che la competenza in materia di rilascio, rinnovo e revoca di concessioni del litorale marittimo per finalità turistiche e ricreative spetti ai Comuni, analizzano i requisiti e le caratteristiche che le strutture devono possedere per essere definite come aventi finalità turistiche e ricreative.

La giurisprudenza si è più volte soffermata sulla definizione di punto di ormeggio per differenziarlo dall’approdo turistico, facendo leva sul criterio funzionale, proprio ai fini dell’individuazione del regime normativo applicabile in materia concessoria. Il punto d’ormeggio, essendo destinato ai natanti ed alle imbarcazioni minori per la fornitura di servizi minimi quali la guardiania, l’ormeggio, la fornitura d’acqua o di luce (cfr. ex multis TAR Puglia 24 marzo 2011 n. 546, in Dir. mar. 2012, 257, con nota di A. Airò, Inapplicabilità della proroga ex art. 1, comma 18, del d.l. 94/2009 alle concessioni demaniali marittime relative alle infrastrutture dedicate alla nautica da diporto) sarà il solo soggetto alle procedure snelle e celeri menzionate. 

Secondo i giudici di palazzo Spada, la struttura de qua avrebbe dovuto possedere i requisiti strutturali richiesti dal regolamento regionale n. 11/2009 e, pertanto, del tutto priva di pregio è la circostanza che la struttura sia o meno coperta, ciò non trovando alcuna corrispondenza nel dato normativo.

Detto regolamento stabilisce che i punti d’ormeggio, oltre al fatto che devono essere di facile rimozione, possono misurare una superficie massima di 25 mq e sono destinati a natanti o piccole imbarcazioni (cfr. art. 6, l. reg. 28 luglio 2009 n. 11); a nulla rileva dunque la circostanza dedotta dal ricorrente che il limite di 25 mq vada misurato solo avendo riguardo alle installazioni a terra e non anche alla parte strettamente marittima.

La struttura, nel caso di specie (un pontile di 140 mq, dotato di wc chimico, ancorato al fondale da 56 corpi morti e da un sistema di catenarie di non facile rimozione) sembrerebbe destinata anche ad imbarcazioni di notevoli dimensioni oltre al fatto che farebbe presumere possa fornire dei servizi ulteriori a quelli minimi prima descritti.

Il Consiglio di Stato, considerando il diniego operato dal Comune un atto dovuto, non ha potuto far altro che rigettare l’appello, anche con riferimento alla richiesta risarcitoria, confermando la statuizione di primo grado.

 

Sara Reverso

 

 

Lavoro marittimo - Foro di competenza - Luogo di cessazione del rapporto di lavoro.

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI, 12 LUGLIO 2012 N.11910

 

Circa il foro di competenza nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro nautico.

 

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a giudicare su un ricorso per regolamento di competenza proposto da un lavoratore marittimo avverso la decisione del Tribunale di Bari che, accogliendo l’eccezione sollevata dalla compagnia di navigazione convenuta dal lavoratore, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale.

Nel caso in esame il lavoratore era stato sbarcato per malattia e successivamente, in seguito all’accertamento della sua permanente inidoneità alla navigazione, il rapporto era cessato.

Il Tribunale di Bari aveva ritenuto competente, in applicazione dell’art. 603 c. nav., il foro del luogo di cessazione del rapporto, considerato quello dello sbarco e quindi il Tribunale di Livorno. Era stata esclusa l’applicabilità al caso di specie di quel consolidato principio giurisprudenziale per cui nei rapporti di lavoro nautico, aventi un carattere di continuità, assume rilievo, nell’ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro durante il periodo di sbarco, il domicilio del lavoratore in cui lo stesso deve stare in attesa del reimbarco.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il regolamento proposto dal lavoratore e dunque erronea l’esclusione della competenza del Tribunale di Bari, sul presupposto che la risoluzione del rapporto era avvenuta non per effetto dello sbarco, ma intervenuta durante la permanenza del lavoratore presso il suo domicilio, situato appunto nell’ambito della circoscrizione del Tribunale di Bari.

La fattispecie ha offerto inoltre lo spunto alla Suprema Corte per sottolineare come si debba considerare estesa ai rapporti di lavoro marittimo la disciplina generale dei rapporti di lavoro che ha limitato i licenziamenti; pertanto, precisa la Corte, devono intendersi tacitamente abrogate quelle norme relative alle cause di risoluzione automatica del rapporto di lavoro marittimo che siano in contrasto con i principi di stabilità e di controllo giudiziale circa l’adeguatezza delle causali di risoluzione del rapporto, stabiliti dalla legge n. 604/1966 e dalla legge n. 300/1970.

Secondo la Corte rientra in tale ottica anche la tacita abrogazione dell’ipotesi disciplinata al n. 5 dell’art. 343 c. nav., che recita testualmente: «il contratto di arruolamento si risolve di diritto: […] 5) quando l’arruolato, per malattia o per lesioni, deve essere sbarcato o non può riassumere il suo posto a bordo alla partenza della nave da un porto di approdo».

Infatti in tal caso viene attribuita efficacia risolutiva automatica del rapporto ad una ipotesi di impossibilità della prestazione normalmente temporanea e ciò è in contrasto con i criteri di cui alla legge n. 604/1966. Del resto, evidenzia la Corte, la giurisprudenza ha addirittura sostenuto che non può costituire una causa di risoluzione automatica del rapporto nemmeno la revoca dell’abilitazione professionale motivata dalla non idoneità delle condizioni fisiche.

 

Cristina Sposi

 

 

Trasporto aereo di persone - Trasparenza delle tariffe - Assicurazione dell’annullamento viaggio - Espressa e consapevole accettazione dei costi per prestazioni non indispensabili. 

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEZ. III, 19 LUGLIO 2012, CAUSA C-112/11

 

Nella prenotazione on line dei biglietti aerei l’assicurazione sull’annullamento del viaggio deve essere espressamente (e consapevolmente) accettata dal passeggero.

 

La sentenza in commento segna un ulteriore passo in avanti nella direzione del rafforzamento della tutela del passeggero-consumatore nei confronti di talune pratiche commerciali, che non brillano certo per trasparenza e correttezza, alquanto diffuse non solo nel settore della prenotazione e della vendita dei biglietti aerei.

Si tratta in particolare di quei sistemi di commercializzazione e di comunicazione pubblicitaria che tendono a riconoscere come richiesto dal consumatore un determinato servizio non perché da lui espressamente scelto (opt-in) ma perché dallo stesso non espressamente rifiutato (opt-out).

Nel caso di specie la Corte è stata chiamata a valutare la legittimità rispetto al diritto comunitario della procedura di prenotazione adottata da una società tedesca, specializzata nella commercializzazione via internet di biglietti aerei, consistente nell’automatica inclusione delle spese per una assicurazione sull’annullamento del viaggio nel costo complessivo del biglietto.

 Occorreva preliminarmente decidere se nella nozione di «supplementi di prezzo opzionali» di cui all’art. 23, § 1, ultima parte, del reg. (CE) n. 1008/2008 potesse rientrare anche il costo dell’assicurazione per il rischio di annullamento del viaggio.

Invero, nell’ambito del regolamento citato, gli art. 22 e 23 contengono misure finalizzate proprio a garantire una maggiore trasparenza delle tariffe dei voli ed in particolare l’art. 23, § 1, ultima parte, dispone che «i supplementi di prezzo opzionali sono comunicati in modo chiaro, trasparente e non ambiguo all’inizio di qualsiasi processo di prenotazione e la loro accettazione da parte del passeggero deve avvenire sulla base dell’esplicito consenso dell’interessato (opt-in)».

Alla questione pregiudiziale sottoposta al suo vaglio la Corte dà risposta affermativa, chiarendo che i costi relativi all’assicurazione sull’annullamento del viaggio rientrano nella nozione di supplemento di prezzo opzionale di cui alla citata disposizione normativa, giacché la prestazione in parola si connota proprio per essere solamente connessa al servizio aereo ma non certo obbligatoria e neppure indispensabile per l’effettuazione del trasporto dei passeggeri o delle merci.

Nella sentenza inoltre si sottolinea che l’art. 23 del citato regolamento si prefigga in generale proprio il compito di tutelare il passeggero-consumatore, mirando ad evitare che sia indotto ad acquistare in maniera inconsapevole servizi non indispensabili ai fini del volo.

Nella sentenza peraltro non si manca di valorizzare i principi diffusi nel diritto comunitario volti ad affermare la necessità di un consenso espresso del consumatore per ogni pagamento supplementare rispetto alla remunerazione dell’obbligazione principale del professionista.

La pronuncia si rivela dunque di estremo interesse, soprattutto nella delineata prospettiva di tutela dell’utente dei sistemi di prenotazione on line, perché stabilisce chiaramente che la scelta di prestazioni non indispensabili per l’effettuazione del trasporto aereo deve passare, oltre che per una chiara e tempestiva informativa, anche e soprattutto per una espressa accettazione da parte dell’interessato del servizio in questione e non già attraverso un’operazione di rifiuto della relativa componente di costo, altrimenti automaticamente contabilizzata dal sistema (opt-out).

 Secondo i giudici comunitari, peraltro, è irrilevante che la prestazione opzionale venga offerta dal vettore ovvero da un altro soggetto giuridicamente distinto, essendo per contro solamente importante che tale servizio e il suo prezzo siano in rapporto con il volo stesso e inseriti nel medesimo contesto della procedura di prenotazione; ragionando diversamente infatti i ricordati principi su cui si fonda la normativa comunitaria di riferimento sarebbero facilmente aggirati e violati.

È infine interessante segnalare che, sempre sullo stesso tema ma con riguardo all’ipotesi speculare delle componenti di costo non evitabili né separabili dal prezzo del biglietto aereo (come, ad esempio, le commissioni per l’utilizzazione della carta di credito), è di recente intervenuta l’Autorità garante della concorrenza e del mercato la quale, nel comminare sanzioni ad alcune compagnie aeree, ha chiarito che non risponde ai criteri di trasparenza e completezza informativa l’indicazione del prezzo senza le componenti che necessariamente vi entrano a far parte (due dei provvedimenti in parola, rispettivamente contro Alitalia e contro Ryanair, sono pubblicati in Dir trasp. 2011, 735 e in Dir. trasp. 2011, 1052).

 

Francesco Mancini

 

 

Servizi della navigazione interna - Esercizio non autorizzato del trasporto di cose per conto terzi - Natura reale dell’autorizzazione.

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II, 26 LUGLIO 2012 N. 13265.

 

Sulla qualificazione dell'autorizzazione per il trasporto di cose per conto terzi in acque interne.

 

Con la sentenza in epigrafe la Corte di cassazione ha respinto il ricorso di una società proprietaria e armatrice di un natante avverso la decisione del Tribunale di Venezia di rigettare la sua opposizione a un'ordinanza-ingiunzione e di confisca dello stesso natante, che, a seguito di un accertamento da parte della polizia municipale, era risultato privo della prescritta autorizzazione per il trasporto di cose per conto terzi nella zona lagunare del comune di Venezia.

La mancanza di un’autorizzazione riferita al natante utilizzato per l’esercizio del servizio di trasporto di cose per conto di terzi, secondo i giudici di legittimità, configura una violazione della l. reg. Veneto 30 dicembre 1993 n. 63 sull'esercizio delle funzioni amministrative in materia di servizi di trasporto non di linea nelle acque di navigazione interna e del regolamento attuativo del comune di Venezia. In particolare, la sopramenzionata normativa regionale e comunale sottopone l’esercizio del servizio di trasporto di cose per conto terzi nella laguna di Venezia a un’apposita autorizzazione comunale riferita a un singolo natante «specificatamente indicato nell'autorizzazione stessa». (art. 30 della l. reg. Veneto n. 63/1993; art. 2, 18 e 19 del reg. att. comune Venezia). Pertanto, la Corte di cassazione ha considerato corretta la decisione del Tribunale di Venezia di rigettare l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria prevista ex art. 43, primo comma, lett. a, e 29, secondo comma, della l. reg. Veneto n. 63/1993 in caso di svolgimento non autorizzato del trasporto di cose per conto terzi e di confermare la sanzione amministrativa accessoria costituita dalla confisca del natante oggetto di accertamento ai sensi del combinato disposto degli art. 43 e 44 della citata legge (art. 27, primo comma, lett. a, e 28 del reg. att. comune Venezia). D’altra parte, la Corte, avendo attribuito carattere reale all'autorizzazione in parola, ha considerato priva di rilievo giuridico la circostanza che alla data di accertamento la società ricorrente fosse titolare di un'autorizzazione riferita a un altro natante, poiché la conclusione del procedimento di sostituzione definitiva di tale natante con quello confiscato mediante annotazione sulla stessa autorizzazione, allora in corso di svolgimento, era avvenuta solo successivamente a tale data.

La sentenza della Corte di cassazione è condivisibile, essendo conforme alla disciplina della regione Veneto e del comune di Venezia in materia di servizi di trasporto non di linea in acque interne, che obbliga coloro che sono stati ammessi all’esercizio del trasporto di cose per conto terzi nella laguna di Venezia a utilizzare solo quei natanti ai quali si riferiscono le rispettive autorizzazioni comunali. Tuttavia non sembra da condividere in pieno la decisione dei giudici di legittimità di qualificare l'autorizzazione per il trasporto di merci per conto di terzi come autorizzazione reale.

Nell’ambito della classificazione dei provvedimenti amministrativi autorizzatori, si distingue tra autorizzazioni personali e reali a seconda dell’oggetto dell’accertamento. L'autorizzazione assume carattere personale quando il suo rilascio presuppone da parte dell’autorità amministrativa competente un giudizio favorevole sui requisiti personali di chi esercita l'attività autorizzata (ad esempio, abilitazione alla condotta di navi). L'autorizzazione ha invece carattere reale quando è concessa «esclusivamente in considerazione della cosa in relazione alla quale l'azione autorizzata deve essere svolta» e richiede un accertamento sui requisiti della stessa res (ad esempio, certificati di sicurezza e di idoneità delle navi). L'autorizzazione reale, riferendosi alla res e non alla persona che ne dispone, è definita «ambulatoria» in quanto si trasferisce con la res senza necessità di uno specifico atto di trasferimento o di voltura. (cfr. A.M. Sandulli, Abilitazioni - Autorizzazioni - Licenze, in Rass. dir. pubb. 1958, 1, 2; Manuale di diritto amministrativo, I, XV ed., Napoli, 1989, 625; R. Garofoli - G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, V ed., Roma, 2012, 629).

Per quanto attiene all’autorizzazione comunale per lo svolgimento del servizio di trasporto di cose per conto terzi, si osserva che secondo la l. reg. Veneto n. 63/1993 e il regolamento attuativo del comune di Venezia a dovere essere munito dell’autorizzazione in parola non è il natante al quale essa si riferisce, ma colui che abbia superato una selezione per titoli mediante concorso pubblico, previo accertamento del possesso di requisiti di carattere personale (età, cittadinanza, carichi pendenti, idoneità fisica, assenza di incapacità e inabilità). L’autorizzazione in questione è inoltre riservata ai proprietari di natanti immatricolati per il trasporto di merci, ove la portata prevale sul numero delle persone trasportate (art. 18 del reg. att. com. Venezia). Pertanto, l’autorizzazione per il trasporto di cose per conto terzi, essendo condizionata non solo alla presenza di requisiti oggettivi connessi al natante alla quale essa è riferita, ma anche all’accertamento di requisiti soggettivi legati al richiedente, è rilasciata ob rem ac personam. Peraltro, la sostituzione definitiva del natante è subordinata non al rilascio di una nuova autorizzazione, ma alla comunicazione di tale sostituzione all’autorità comunale competente, che dovrà provvedere ad annotarla sull’originaria autorizzazione (art. 19 del reg. att. comune Venezia). D’altra parte, la trasferibilità dell’autorizzazione in parola non contraddice il suo carattere personale, giacché l’autorizzazione ob personam è trasmissibile per decisione del titolare, sempre che il successore designato sia in possesso dei necessari requisiti (art. 6 del reg. att. comune Venezia; cfr. A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., 625).  

 

Giovanni Marchiafava

 

 

Aeromobili - Navigabilità - Certificazione.

 

REGOLAMENTO (UE) N. 748/2012 DELLA COMMISSIONE DEL 3 AGOSTO 2012, CHE STABILISCE LE REGOLE DI ATTUAZIONE PER LA CERTIFICAZIONE DI AERONAVIGABILITÀ E AMBIENTALE DI AEROMOBILI E RELATIVI PRODOTTI, PARTI E PERTINENZE, NONCHÉ PER LA CERTIFICAZIONE DELLE IMPRESE DI PROGETTAZIONE E PRODUZIONE

 

Specifiche tecniche e procedure di certificazione di aeronavigabilità e ambientale.

 

Il 3 agosto 2012 è stato emanato il reg. (UE) n. 748/2012, che fissa le regole di attuazione per la certificazione di aeronavigabilità di aeromobili e relativi prodotti, parti e pertinenze e per la certificazione ambientale, nonché per la certificazione di imprese di progettazione e produzione; la sua emanazione nasce dalla necessità di mantenere, nel settore dell’aviazione civile, standard elevati di sicurezza e di tutela ambientale comuni a livello europeo

La disciplina comunitaria relativa ai requisiti necessari per il rilascio della certificazione era dettata dall’Annesso al reg. (CE) n. 1702/2003 (parte 21), mentre quella inerente alle verifiche periodiche era contenuta nell’annesso I (parte M) del reg. (CE) n. 2042/2003.

Poiché però il reg. (CE) n. 1702/2003 ha subito, nel corso degli anni, reiterate modifiche, è stato necessario procedere ad una sua rifusione, anche alla luce del reg. (CE) n. 216/2008, che ha determinato regole e requisiti essenziali comuni per la sicurezza nel settore dell’aviazione civile e per la protezione ambientale. Il reg. (CE) n. 216/2008, in particolare, al considerando n. 4, auspicava che la Commissione adottasse una serie di regole di attuazione destinate a rendere applicabili — in maniera uniforme — le regole di sicurezza previste.

Da ciò l’emanazione del reg. (UE) n. 748/2012, che abroga il reg. (CE) n. 1702/2003 ed il cui scopo, come chiarito nell’art. 1, è quello di definire i requisiti tecnici comuni e le procedure amministrative, uniformi a livello europeo, per la certificazione di aeronavigabilità e certificazione ambientale di prodotti, parti e pertinenze, conformemente a quanto disposto dagli art. 5, § 5 (aeronavigabilità) e 6, § 3 (protezione ambientale) del reg. (CE) n. 216/2008.

Il reg. (UE) n. 748/2012 è composto da 12 articoli e da un allegato (parte 21), diviso in 2 sezioni; la sez. A («requisiti tecnici»), definisce diritti e doveri dei titolari dei certificati o dei soggetti che intendono richiedere i certificati di aeronavigabilità e di omologazioni di parti e pertinenze, mentre la sez. B («procedure per le autorità competenti») stabilisce le prassi cui le autorità competenti di ciascuno Stato devono adeguarsi per la concessione, la revoca e le modificazioni delle certificazioni. Sempre nell’ambito della sez. B, sono indicate le specifiche tecniche di certificazione che l’EASA (l’Agenzia europea per la sicurezza aerea) deve predisporre onde agevolare gli Stati membri nell’esecuzione di quanto previsto dal regolamento. Il regolamento auspica peraltro che l’EASA elabori «specifiche di certificazione» destinate ai singoli Stati, onde giungere ad una uniformità di normativa negli Stati membri.

L’art. 2 prevede il rilascio di certificati di omologazione per parti, prodotti e pertinenze dell’aeromobile, prevedendo una parziale eccezione per gli aeromobili non registrati in uno Stato membro.

Agli articoli da 3 a 7 sono previste delle eccezioni per quanto riguarda aeromobili per i quali il certificato di aeronavigabilità, quello di omologazione ed il permesso di volo (art. 7) sia stato rilasciato prima della data di applicazione del reg. (CE) n. 1702/2003; essi saranno considerati validi, come stabilito dall’art. 69 del reg. (CE) n. 216/2008, purché sussistano determinati requisiti e condizioni.

Per quanto invece riguarda le imprese che effettuino progettazione o modifiche o riparazioni di prodotti, parti e pertinenze, viene stabilito, all’art. 8, che esse debbano fornire la dimostrazione della propria idoneità ad operare e che tale idoneità sia conforme a quanto stabilito dall’allegato I del regolamento stesso. Per quanto riguarda le imprese non aventi sede nell’Unione, esse saranno considerate idonee ad operare purché siano sottoposte, nello stato in cui hanno sede, a controlli di tipo e di livello analoghi a quelli posti in essere nell’Unione.

Regole analoghe valgono per le imprese di produzione di prodotti, parti e pertinenze.

Particolarmente interessante è poi l’art. 10, che prevede che l’agenzia determini alcune «modalità di rispondenza plausibili» di cui le autorità e le imprese interessate possono avvalersi onde dimostrare l’adeguamento alle disposizioni previste dall’allegato I; tali modalità di rispondenza tuttavia non possono condurre all’elaborazione di criteri diversi o meno stringenti rispetto a quelli previsti dal  regolamento stesso.

Il regolamento è direttamente ed immediatamente applicabile in tutti gli Stati membri e si inserisce nel novero delle disposizioni finalizzate a rendere il settore dell’aviazione civile comunitario sempre più sicuro e sempre più attento alla tutela dell’ambiente.

Chiara Luna

 

 

Trasporto aereo di persone - Reg. (CE) n. 261/2004 - Nozione di «negato imbarco».

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEZ. III, 4 OTTOBRE 2012, CAUSA C-321/11

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEZ. III, 4 OTTOBRE 2012, CAUSA C-22/11

 

La Corte dell’Unione europea interpreta estensivamente la nozione di «negato imbarco».

 

Le importanti sentenze in esame rappresentano l’occasione per il giudice dell’Unione di precisare – ampliandola – la nozione di «negato imbarco» di cui all’art. 2, lett. j, del reg. (CE) n. 261/2004, contribuendo ad accrescere e rafforzare la tutela dei diritti del passeggero dell’aria.

La causa C-321/11 trae origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata nel giudizio promosso dai sig. Rodríguez Cachafeiro e Martínez-Reboredo Varela-Villamor, i quali avevano acquistato un biglietto aereo da La Coruña a Santo Domingo, composto da due voli (La Coruña-Madrid e Madrid-Santo Domingo, il secondo in partenza circa un’ora e mezza dopo l’arrivo del primo). A causa del ritardo riportato dal primo volo, ed in previsione del fatto che i passeggeri avrebbero perduto il volo in coincidenza a Madrid, la compagnia aerea annullava le loro carte di imbarco relative al secondo volo. Ai due passeggeri, che riuscivano a presentarsi regolarmente alla porta d’imbarco mentre la compagnia effettuava l’ultima chiamata, veniva negato l’imbarco in ragione dell’annullamento delle loro prenotazione ad opera della compagnia: gli stessi raggiungevano infine Santo Domingo con 27 ore di ritardo, mediante un volo del giorno seguente.

La causa C-22/11 trae origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata nella controversia promossa dal passeggero sig. Lassooy contro la compagnia aerea Finnair: quest’ultima, a seguito della cancellazione di un volo in conseguenza dello sciopero del personale di volo avvenuto nell’aeroporto di Barcellona il 28 luglio 2006, aveva provveduto – al fine di riproteggere i passeggeri – a riorganizzare i propri voli dei giorni successivi. In base a tale riorganizzazione, al sig. Lassooy veniva negato l’imbarco sul volo delle 11:40 del 30 luglio 2006, nonostante lo stesso avesse acquistato il biglietto e si fosse regolarmente presentato all’imbarco; il passeggero poteva raggiungere la destinazione finale solamente con il volo speciale delle 21:40 del medesimo giorno.

In entrambi i casi in esame, i giudici del rinvio hanno adito la Corte di giustizia dell’Unione europea relativamente alla interpretazione della nozione di «negato imbarco» contenuta nel reg. (CE) n. 261/2004.

Seguendo un medesimo iter argomentativo, nelle due pronunzie la Corte ha esaminato la disposizione relativa al «negato imbarco» provvedendo a calarla nel contesto degli obiettivi perseguiti dalla normativa in cui rientra, indicati nei considerando 3, 4, 9 e 10 del regolamento: ha pertanto osservato che il legislatore dell’Unione, nel reg. (CE) n. 261/2004, ha eliminato dalla nozione di «negato imbarco» il riferimento alla causa per cui il vettore rifiuta di trasportare il passeggero, in tal modo estendendo la nozione di «negato imbarco» anche alle ipotesi diverse da quelle conseguenti a sovraprenotazione, previste dal precedente reg. (CEE) n. 295/91. Tale interpretazione è anche in armonia con l’obiettivo perseguito dal legislatore comunitario mediante l’emanazione del reg. (CE) n. 261/2004 e consistente nel fornire un elevato livello di protezione ai passeggeri dell’aria.

Nella prima sentenza, la Corte ha anzitutto sottolineato il rispetto delle condizioni previste all’art. 3, § 2, reg. (CE) n. 261/2004 da parte dei due passeggeri, i quali si erano regolarmente presentati all’imbarco: errata dunque si è rivelata la valutazione della compagnia aerea, la quale, ritenendo che i passeggeri non sarebbero riusciti a presentarsi in tempo per prendere il volo in coincidenza a Madrid, ne aveva annullato le prenotazioni e ne aveva impedito quindi l’imbarco.

Secondo il giudice dell’Unione, pertanto, la nozione di «negato imbarco» include la situazione in cui, nell’ipotesi di un unico contratto di trasporto comprendente più prenotazioni su voli immediatamente successivi e registrati in concomitanza, il vettore aereo nega l’imbarco ad alcuni passeggeri per il motivo che il primo volo incluso nella prenotazione ha subito un ritardo imputabile al vettore, e che quest’ultimo ha erroneamente previsto che i passeggeri in questione non sarebbero arrivati in tempo per imbarcarsi sul secondo volo.

Nel secondo caso all’esame della Corte, i giudici europei hanno ritenuto di condividere le conclusioni dell’avvocato generale (già pubblicate e commentate nel n. 1 della presente Newsletter), precisando pertanto che rientra tra i casi di «negato imbarco» anche quello in cui ad un passeggero, presentatosi all’imbarco nelle condizioni previste all’art. 3, § 2, reg. (CE) n. 261/2004, viene negato l’imbarco in seguito alla riorganizzazione dei voli effettuati dallo stesso vettore.

Le esigenze operative che hanno dato luogo al negato imbarco – prosegue la Corte – non possono, nel caso di specie, rientrare tra i «ragionevoli motivi» di cui all’art. 2, lett. j, idonei a giustificare l’operato della compagnia. Nemmeno può essere invocata, al fine di escludere la compensazione pecuniaria prevista, la sopravvenienza di «circostanze eccezionali»: contrariamente alla ipotesi di cancellazione del volo (art. 5, § 3, reg. CE n. 261/2004), infatti, gli art. 2, lett. j,  e 4 del citato regolamento non prevedono, in caso di «negato imbarco» connesso a «circostanze eccezionali», alcun esonero per il vettore dall’obbligo di corrispondere la compensazione pecuniaria.

In conclusione, alla luce di una interpretazione, per un verso, estensiva dei diritti riconosciuti ai passeggeri e, per altro verso, restrittiva delle deroghe alle disposizioni che accordano tali diritti, in base alle pronunce in esame la nozione di «negato imbarco» contenuta nel reg. (CE) n. 261/2004 deve essere interpretata nel senso che essa comprende non soltanto il negato imbarco dovuti a situazioni di sovraprenotazione (c.d. overbooking), ma anche quello dovuto a motivi diversi, quali ad esempio ragioni operative e di riorganizzazione dei voli.

 

Daniele Ragazzoni

 

 

Trasporto aereo di persone - Ritardo - Reg. (CE) n. 261/2004 - Compensazione pecuniaria - Equiparazione alla cancellazione del volo - Compatibilità con la Convenzione di Montreal del 1999 - Compatibilità col principio di proporzionalità.

 

CORTE DI GIUSTIZIA UE, GRANDE SEZ., 23 OTTOBRE 2012, CAUSE C-581/10 E C-629/10.

 

La compensazione pecuniaria per il ritardo nel trasporto aereo nella giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia.

 

Il reg. (CE) n. 261/2004 stabilisce che in caso di cancellazione del  volo i passeggeri hanno diritto ad una compensazione forfettaria di importo compreso tra 250 e 600 euro in ragione della lunghezza della tratta. Nella sentenza Sturgeon (C. giust. UE 19 novembre 2009) la Corte di giustizia ha affermato che i passeggeri di voli ritardati che raggiungono la loro destinazione finale tre ore o più dopo l’orario di arrivo originariamente previsto hanno diritto alla compensazione forfettaria, salvo che il ritardo non sia dovuto a circostanze eccezionali.

Nella sentenza in oggetto la Corte conferma l’interpretazione fornita con la sentenza Sturgeon.

Il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte prende le mosse dal disposto dell’art. 5, § 1, lett. c, punto (iii), del reg (CE) n. 261/2004, secondo il quale hanno diritto ad una compensazione pecuniaria i passeggeri il cui volo sia stato cancellato ed ai quali il vettore non è in grado di proporre un volo alternativo che parta non più di un’ora prima dell’orario di partenza previsto e raggiunga la destinazione finale meno di due ore dopo l’orario di arrivo previsto. Ne consegue, ad avviso della Corte, che i passeggeri di voli ritardati di almeno tre ore ed i passeggeri di voli cancellati subiscono un disagio simile, ossia una perdita di tempo pari o superiore a tre ore rispetto alla programmazione originaria del loro volo, onde, in ossequio al principio della parità di trattamento, devono essere considerati in situazioni equiparabili ai fini del diritto alla compensazione pecuniaria.

La Corte rileva altresì che l’obbligo di compensazione pecuniaria in favore dei passeggeri di voli ritardati è compatibile con la disciplina della Convenzione di Montreal. Si afferma in proposito che la perdita di tempo inerente ad un ritardo del volo costituisce un disagio e non un danno derivante da ritardo ai sensi della Convenzione di Montreal (art. 19). Ne consegue che l’obbligo di corrispondere una compensazione pecuniaria ai passeggeri di voli ritardati si pone al di fuori dell’ambito di applicazione della normativa uniforme (art. 29) ed è complementare al regime del risarcimento dei danni previsto dalla Convenzione di Montreal (art. 12 reg. CE n. 261/2004). 

La Corte precisa altresì che l’obbligo della compensazione pecuniaria è conforme al principio di proporzionalità, secondo il quale gli atti delle istituzioni dell’Unione europea non devono superare i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla normativa comunitaria, fermo restando che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.

Secondo la Corte l’obbligo di compensazione pecuniaria non può essere considerato sproporzionato atteso che il reg. (CE) n. 261/2004 persegue l’obiettivo di un elevato livello di protezione dei passeggeri aerei (considerando 1). Deve, inoltre, considerarsi che la compensazione pecuniaria non riguarda tutti i ritardi, ma solo i ritardi prolungati; che le compagnie aeree non sono tenute al versamento di una compensazione pecuniaria qualora siano in grado di dimostrare che la cancellazione del volo o il ritardo prolungato sono dovuti a circostanze eccezionali che non si potevano evitare anche adottando tutte le misure del caso; che è fatta salva l’azione di regresso del vettore aereo nei confronti di chi abbia cagionato il ritardo (art. 13).

Sui problemi affrontati dalla Corte si può vedere, in dottrina: L. Tullio, Interventi interpretativi della Corte di giustizia europea sul reg. (CE) n. 261/2004, in Dir. trasp. 2009, 367; V. Corona, La compensazione pecuniaria per il ritardo aereo tra diritto positivo e giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia, in Dir. trasp. 2010, 123 (in nota alla sentenza Sturgeon).

 

Andrea Tamburro