CONSIGLIO DELL’ORDINE
DEGLI AVVOCATI DI ROMA
Dipartimento Centro studi -
Formazione e Crediti formativi
Progetto sul Diritto della Navigazione e dei
Trasporti
Newsletter di Diritto
della Navigazione e dei Trasporti
Numero 18 — maggio-giugno 2014
Sono lieto
di presentare il diciottesimo numero della Newsletter,
frutto dello studio dei componenti del Progetto sul Diritto della Navigazione e
dei Trasporti e del coordinamento scientifico del titolare della cattedra di
Diritto della Navigazione della Sapienza, Università di Roma, prof. Leopoldo
Tullio.
Sono di
seguito riportati gli argomenti trattati e il link per una lettura completa della Newsletter.
Il consigliere delegato al Progetto sul Diritto
della Navigazione e dei Trasporti
Avv. Fabrizio Bruni
PROGETTO
SUL DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE E DEI TRASPORTI
CONSIGLIERE DELEGATO: Avv.
Fabrizio Bruni
COORDINATORE: Prof.
Leopoldo Tullio
Collaboratori per la redazione
di questa Newsletter:
Enzo Fogliani, Giovanni Marchiafava, Elena Provenzani, Cristina
Sposi, Andrea Tamburro.
Indice degli
argomenti trattati
Contratto di viaggio - Mancata
esecuzione delle prestazioni comprese nel pacchetto turistico - Responsabilità
dell’organizzatore - Rivalsa dell’organizzatore nei confronti del vettore aereo
- Risarcimento del danno da vacanza rovinata.
Demanio marittimo - Canone
concessorio ricognitorio - Finalità di pubblico interesse.
Diporto - Rilascio della patente nautica - Requisito della
residenza nel territorio nazionale - Libera prestazione dei servizi - Restrizione.
Spedizione - Danno alla merce
trasportata - Responsabilità dello spedizioniere - Culpa in eligendo - Onere
probatorio.
Tariffe aeree
- Prenotazione on line - Applicazione tariffa amministrativa o tassa carta di
credito - Pratiche commerciali scorrette.
*****************************
Contratto di viaggio - Mancata esecuzione
delle prestazioni comprese nel pacchetto turistico - Responsabilità
dell’organizzatore - Rivalsa dell’organizzatore nei confronti del vettore aereo
- Risarcimento del danno da vacanza rovinata.
TRIBUNALE
DI ROMA, SEZIONE IX, 7 MARZO 2014 N. 5376.
In materia di mancata esecuzione delle
prestazioni comprese nel pacchetto turistico.
Nel
caso di specie l’acquirente di un pacchetto turistico all inclusive deduce la mancata esecuzione delle prestazioni
comprese nel pacchetto turistico, il ritardo del trasporto aereo presso la
località della vacanza, nonché disagi di varia natura.
La
materia del viaggio turistico è regolata ratione
temporis dal d.lg. 206/2005 (codice del consumo), secondo cui «In caso di
mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del
pacchetto turistico, l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento
del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato
o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione
derivante da causa a loro non imputabile» (art. 93, comma 1).
Il
d.lg. 206/2005 stabilisce inoltre che «L’organizzatore o il venditore che si
avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno
sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalsa nei loro confronti» (art.
93, comma 2).
Ne
consegue che l’organizzatore di un pacchetto turistico è tenuto a risarcire i
danni subiti dal consumatore anche quando la responsabilità è ascrivibile ad
altri prestatori di servizi, come nel caso di specie, se non prova che il
mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa non imputabile a lui ovvero ad
altri prestatori di servizi, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti.
Il
Tribunale di Roma condanna altresì l’organizzatore del viaggio al risarcimento
del danno non patrimoniale sofferto dall’acquirente del pacchetto turistico, consistente
nel pregiudizio subito dall’attore per il minore godimento della vacanza e per
i disagi sopportati a causa dell’inadempimento dei servizi di trasferimento
previsti dal contratto di viaggio.
Il
giudice del merito evidenzia in proposito che la risarcibilità del danno da
vacanza rovinata, ammessa per costante giurisprudenza, è oggi prevista dal
d.lg. 79/2011 (codice del turismo), secondo cui «Nel
caso in cui l’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano
oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell’articolo
1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre ed indipendentemente dalla
risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di
vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta»
(art. 47, comma 1).
In dottrina il danno da vacanza rovinata
viene definito come «il pregiudizio
conseguente alla lesione dell’interesse del turista di godere pienamente del
viaggio organizzato come occasione di piacere, di svago o di riposo, senza
essere costretto a soffrire quel disagio psicofisico che talora si accompagna
alla mancata realizzazione in tutto o in parte del programma previsto» (F. Morandi, Il danno da vacanza rovinata, in
Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile,
Milano, 2000, 625).
Andrea
Tamburro
* * *
Demanio marittimo - Canone concessorio
ricognitorio - Finalità di pubblico interesse.
CORTE
DI Cassazione, Sez. I, 27 fEbbraio 2014 N. 4766
Sui limiti di
applicabilità del canone demaniale marittimo ricognitorio.
Come noto, il titolare di una concessione
demaniale marittima è tenuto a corrispondere un canone, che viene determinato
nell’atto di concessione sulla base di alcuni parametri, tra cui il periodo di
effettiva utilizzazione del bene, lo scopo dell’attività intrapresa sull’area e
i proventi presunti derivanti dal suo sfruttamento.
Nelle ipotesi in cui la concessione venga
rilasciata ad enti pubblici o privati «per fini di beneficenza o per altri fini
di pubblico interesse», l’importo del canone dovuto si riduce sensibilmente,
dovendo corrispondere al «mero riconoscimento del carattere demaniale del bene»
( art. 39, secondo comma, c. nav.); la riduzione è, in tali casi, notevole, in
quanto pari a un decimo dei consueti canoni demaniali previsti per le attività
turistiche commerciali, salvo il raggiungimento del canone minimo, attualmente
fissato in € 359,27.
Il regolamento per la navigazione
maritima precisa altresì che «agli effetti dell’applicazione del canone,
previsto dal secondo comma dell’art. 39 del codice, si intendono per concessioni
che perseguono fini di pubblico interesse diversi dalla beneficenza quelle
nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun lucro o
provento» ( art. 37, secondo comma, reg. nav. mar.).
La giurisprudenza si è quindi interrogata
a lungo sul concetto di «lucro e provento», sollecitata a ciò dalle molteplici
istanze di enti, pubblici o privati, che richiedono il riconoscimento del
canone ricognitorio, in quanto svolgono attività di pubblico interesse (come i
fornitori di servizi essenziali) ovvero non perseguono fine di lucro (si pensi
alle associazioni sportive dilettantistiche).
Nel caso che ci occupa, la ricorrente è
proprio un’associazione sportiva, concessionaria di uno specchio d’acqua nel
porto di Gaeta adibito a darsena per l’ormeggio di natanti da pesca e da
diporto dei propri associati, che richiede l’applicazione del canone
ricognitorio dichiarando di svolgere attività di pubblico interesse.
Il Tribunale di Roma, pur riconoscendo
che l’associazione non svolge attività con finalità di lucro, esclude la
finalità di pubblico interesse e rigetta la domanda.
Interessata del gravame,
La suprema Corte, evidenziando la piena
soggettività dell’Associazione e l’avvenuto conseguimento di proventi derivante
dalle quote associative per l’utilizzazione della darsena da parte degli
associati, conferma la pronuncia d’appello, ritenendo incompatibile tale
modalità concreta di gestione con il fine di pubblico interesse, che pure
l’associazione ricorrente dichiara di perseguire senza tuttavia riuscire a
fornirne la prova.
La riduzione della misura del canone deve
infatti risultare ancorata a requisiti certi e verificabili nel caso concreto,
quali la peculiarità del soggetto concessionario e le finalità da questi
perseguite in concreto attraverso lo sfruttamento del bene ottenuto in
concessione, finalità dalle quali deve essere necessariamente estranea
qualsiasi attività reddituale.
Le conclusioni cui è giunta la pronuncia
in commento rispecchiano, come detto, l’orientamento giurisprudenziale sul
punto, a conferma del carattere di specialità dell’art. 37 reg. nav. mar.
rispetto ai principi generali.
Il principio, ormai consolidato, è quindi
il seguente: l’amministrazione chiamata a decidere per la determinazione del
canone, dovrà avere riguardo al fine in concreto perseguito con il bene
pubblico dato in concessione, indipendentemente dalle finalità generali
perseguite dall’ente concessionario; l’eventuale verifica dell’effettiva
riscossione, da parte del concessionario, di «entrate non occasionali che siano
direttamente e stabilmente collegate all’uso del bene demaniale, e dunque tali
da essere comprese nella nozione di provento, sarà ostativa all’applicazione
del canone ricognitorio» (Cass., sez. I, 3 novembre 2002 n. 17101).
Si segnala infine la recentissima
pronuncia del Consiglio di Stato, che assume una posizione ancor più rigorosa
rispetto alla suprema Corte; dovendo individuare il canone concessorio per
l’attingimento dell’acqua della laguna di Venezia e avendo riscontrato un
rapporto strumentale e necessario tra l’attività di prelievo dell’acqua marina
per la refrigerazione degli impianti della centrale termoelettrica e l’attività
di produzione di energia elettrica, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto
che la ritrazione di utili e proventi dell’attività derivasse «in modo
indiretto e mediato ( ma pur sempre con un nesso di strumentalità necessaria) dall’impiego
del bene demaniale», rigettando per tale ragione la domanda di applicazione del
canone ricognitorio (Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2014 n. 1076).
Elena Provenzani
* * *
Diporto
- Rilascio della patente nautica - Requisito della residenza nel territorio
nazionale - Libera prestazione dei servizi - Restrizione.
CORTE
DI GIUSTIZIA UE, SEZ. III, 6 FEBBRAIO 2014, CAUSA C-509/12
Il requisito della residenza per il rilascio
della patente nautica e il divieto di restrizioni alla libera prestazione dei
servizi.
I giudici europei hanno ritenuto che il citato articolo, limitando il
rilascio della patente nautica ai soli candidati residenti in Portogallo, costituisce
una restrizione alla libera prestazione dei servizi ex art. 56.1 TFUE. Sebbene
l’art. 29.1 del regolamento della nautica da diporto sia applicabile
indistintamente ai cittadini portoghesi e non, senza condizionare quindi il
rilascio della patente nautica al requisito della nazionalità, esso tuttavia
ricorrendo al luogo di residenza dei candidati quale «criterio decisivo» può
pregiudicare i cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea in quanto
spesso coloro che non risiedono in Portogallo hanno la nazionalità di un altro
Stato. D’altra parte, la suddetta norma costituisce, secondo i giudici, un
impedimento alla libera prestazione dei servizi di formazione alla nautica da
diporto espletati dalle scuole nautiche portoghesi, che in ragione dell’indispensabile
requisito della residenza per ottenere il rilascio della patente non
costituiscono un’attrattiva per i cittadini europei non residenti in Portogallo
che intendono frequentare corsi per il conseguimento della patente nautica.
D’altro canto, la stessa Corte ha osservato che il requisito della
residenza non è di per sé idoneo al perseguimento dell’obiettivo della
sicurezza della navigazione marittima, che può essere salvaguardata attraverso
il ricorso ad altre misure meno restrittive della libera prestazione di
servizi, come ad esempio rendendo assai impegnativo l’esame per il
conseguimento della patente nautica.
Peraltro, l’esistenza di una norma europea che subordina il rilascio
della patente di guida automobilistica anche alla residenza è stato considerata
dai giudici irrilevante poiché in tale caso, diversamente da quanto previsto
dalla disciplina portoghese in materia di patente nautica, il requisito della
residenza determina la competenza di ciascuno Stato membro a rilasciare la
patente di guida europea.
In definitiva,
Giovanni Marchiafava
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Spedizione - Danno alla merce trasportata - Responsabilità
dello spedizioniere - Culpa in eligendo - Onere probatorio.
TRIBUNALE DI
MILANO, SEZ. XI, 20 MARZO 2014 N. 3948
Sugli oneri probatori nell’azione di
responsabilità contro lo spedizioniere per danni alla merce durante il
trasporto.
La sentenza
3948/2014 del tribunale di Milano si inserisce nella annosa questione delle
responsabilità dello spedizioniere; responsabilità tanto ben distinte a livello
teorico dalla norma quanto difficili da rilevare a livello pratico.
Come noto, il
contratto di spedizione è configurato dal nostro codice civile quale un mandato
allo spedizioniere a stipulare — in nome proprio e per conto del mittente — uno
o più contratti di trasporto e svolgere le operazioni accessorie. La norma fa
salva la possibilità per lo spedizioniere di assumere in proprio le
obbligazioni vettoriali, divenendo così spedizioniere-vettore ed assumendosi
diritti ed obblighi nascenti dal contratto di trasporto.
Tale
distinzione — chiarissima a livello teorico — è estremamente difficile da
rilevare nei singoli casi pratici. Di conseguenza, la stragrande maggioranza
delle decisioni in questo tema nascono da azioni contro gli spedizionieri,
asseritamente spedizionieri-vettori, la cui difesa si sostanzia nel dimostrare
di aver assunto unicamente obbligazioni di mandatario e non vettoriali.
La posta in
gioco per lo spedizioniere è rilevante: quale spedizioniere, risponde solo
della mala electio del vettore
prescelto per il trasporto; quale spedizioniere-vettore risponde dei danni o
della perdita della merce spedita.
La peculiarità
della sentenza in esame sta nell’aver correttamente identificato il convenuto
come semplice spedizioniere (e non spedizioniere-vettore), ma nell’aver poi
applicato la relativa normativa in modo che lascia piuttosto perplessi.
Se infatti da
un lato il giudice milanese ha riconosciuto che lo spedizioniere ha agito come
tale, limitandosi a concludere i contratti di trasporto senza assumerne l’esecuzione
in proprio, dall’altro lo ha ritenuto responsabile dei danni subiti dalla merce
in quanto «non ha fornito [...] la necessaria prova di avere diligentemente
eseguito [...] la scelta di vettori professionalmente qualificati». Peraltro,
dalla sentenza non risulta né che il vettore che curava la tratta in cui si è
verificato il danno non fosse «professionalmente qualificato», né che vi
fossero elementi per ritenere tale il vettore (rectius: i vettori; e, come vedremo, è dubbio che essi potessero
essere considerati professionalmente non qualificati).
In altre
parole, la sentenza ha ritenuto dedurre dal danno alla merce la mancata qualificazione
professionale del vettore, affermandone in sostanza l’equivalenza.
Così facendo, però, appare aver fatto un uso
distorto delle norme sull’onere probatorio. Secondo l’art. 2697 c.c., «chi vuol
far valere in giudizio un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento». Come si vede, la norma parla di fatti, mentre la colpa è
un elemento soggettivo, non oggettivo. Riguardo alle obbligazioni contrattuali,
la norma sulla ripartizione dell’onere probatorio è pacificamente applicata
ritenendo che il debitore, cui è opposto l’inadempimento, deve dimostrare che l’obbligazione
è stata adempiuta. Spetterà poi al creditore insoddisfatto provare a sua volta
che l’obbligazione non è stata eseguita esattamente.
Nel caso di
specie, l’oggetto del mandato (ossia la stipula dei contratti di trasporto) era
stato pacificamente portato a termine. Sarebbe spettato quindi a chi lamentava
un inesatto adempimento provare che uno dei vettori era inaffidabile e quindi
lo spedizioniere aveva peccato per culpa
in eligendo.
D’altra parte,
non appare corretto ritenere sic et
simpliciter (come sembrerebbe aver fatto la sentenza in esame) che il mero
verificarsi di un danno dimostri una inaffidabilità del vettore tale da
riflettersi in una culpa in eligendo
dello spedizioniere. Se così fosse, automaticamente lo spedizioniere dovrebbe
sempre rispondere dei danni subiti dalla merce durante il trasporto; col che la
distinzione di legge fra spedizioniere e spedizioniere-vettore sarebbe del
tutto inutile.
Ciò a
prescindere dall’ulteriore rilievo, meritevole di essere segnalato, che la
sentenza in esame non ha ritenuto dover specificare quali siano egli elementi
per individuare se un vettore sia o meno «professionalmente qualificato». Se si
tratta di questione di carattere amministrativo, è difficile pensare che coloro
dichiarati responsabili del danno e condannati a garantire lo spedizioniere non
fossero professionalmente qualificati: si trattava infatti della Salerno
Container Terminal s.p.a. e del raccomandatario della m/n Furth, portacontainer
costruita nel 2007 avente una portata utile di oltre diecimila tonnellate,
appartenente alla TurkonLine, primaria impresa di trasporti turca con una
flotta di 18 navi portacontainer analoghe a quella in questione (dati
semplicemente verificabili su internet partendo dal nome della nave).
La soluzione
più corretta sarebbe stata quindi — ad avviso di chi scrive — mandare esente da
responsabilità lo spedizioniere e condannare a risarcire l’avente diritto al
carico direttamente i soggetti responsabili del danno, nei confronti dei quali
l’attore aveva esteso la domanda dopo la chiamata in causa da parte dello
spedizioniere; e non invece — come ha fatto il tribunale di Milano — condannare
in prima battuta lo spedizioniere e concedergli la rivalsa nei confronti dei
vettori responsabili del danno.
Siffatta
condanna si colloca nella scia di un recente orientamento della suprema Corte,
secondo il quale «la disposizione dell’art. 1705, secondo comma, c.c. (secondo
cui «il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di
credito derivanti dall’esecuzione del mandato») è limitata alla possibilità
dell’esercizio, da parte del mandante, dei diritti di credito derivanti al
mandatario dalla esecuzione del mandato, con esclusione della possibilità di
esperire contro il terzo le azioni contrattuali e, in particolare, quelle di
risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni» (Cass. 13375/2007).
Ma è
orientamento che, in tema di spedizione, non appare condivisibile, se non altro
perché — nel caso di danni nel trasporto — renderebbe del tutto inutile la
distinzione normativa non solo fra spedizioniere e spedizioniere-vettore ma, a
ben vedere, anche fra spedizioniere e vettore.
Sotto l’aspetto
pratico, nei confronti dell’avente diritto al carico risponderebbe sempre
l’operatore con cui ha contratto, sia esso spedizioniere, spedizioniere-vettore
o vettore. Quest’ultimo sarebbe sempre il soggetto tenuto al risarcimento del
danno, salvo poi rivalersi nei confronti dei suoi subcontraenti responsabili
del danno, vettori o subvettori che siano. La definizione del contratto
intercorso con il mittente (trasporto o spedizione) non avrebbe a questo punto
alcuna particolare rilevanza pratica.
Il che, de jure condendo, potrebbe anche essere
auspicabile; ma senz’altro non risponde all’attuale impianto normativo in tema
di spedizione.
Enzo Fogliani
* * *
Tariffe aeree -
Prenotazione on line - Applicazione tariffa amministrativa o tassa carta di
credito - Pratiche commerciali scorrette.
TAR LAZIO,
SEZ. I, 27 MARZO 2014 N. 3378
Sulla
inapplicabilità della «tariffa amministrativa» o della «tassa carta di credito»
sul prezzo del biglietti aerei acquistati on
line.
La sentenza in commento è
stata emessa a seguito del ricorso promosso da un vettore aereo contro
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di ottenere
l’annullamento del provvedimento n. 24290 assunto dalla detta Autorità nel
marzo del
In via subordinata la
detta compagnia formulava domanda di riduzione della sanzione comminata di €
400.000.
In particolare la citata
delibera n. 22511 emessa dalla AGCM nel giugno 2011 aveva ritenuto pratica
commerciale scorretta quella attuata dal vettore aereo, consistente nello
scorporo di alcuni elementi di costo rientranti nel prezzo dei biglietti aerei,
che di norma venivano separati dal prezzo delle tariffe indicate e addebitati
al consumatore nel processo di prenotazione (per es., IVA sui voli nazionali)
oppure al momento del pagamento tramite la carta di credito (tariffa
amministrativa).
Pertanto l’Autorità
garante, ritenendo che tale pratica violasse quel principio per cui il costo
finale del biglietto aereo deve essere indicato al consumatore in maniera
chiara ed integrale sin da subito, vietava l’ulteriore diffusione della
suddetta pratica.
Successivamente con
provvedimento n. 23613 del maggio 2012 l’Autorità garante, dopo aver accertato
che il vettore aereo non aveva provveduto a rimuovere i profili di scorrettezza
contestati, pur deliberando l’inottemperanza al detto provvedimento n. 22511 ed
applicando una sanzione, teneva però in considerazione l’impegno assunto dalla
compagnia aerea a modificare entro il 1° dicembre del 2012 la pratica scorretta,
rappresentando diversamente il prezzo dei biglietti e non applicando
separatamente un supplemento al pagamento con carta di credito.
L’assunzione
dell’impegno veniva condizionata dalla compagnia alla circostanza che anche le
altre maggiori compagnie del mercato italiano adottassero gli stessi rimedi nei
medesimi tempi, per non subire uno svantaggio commerciale.
Tuttavia nel dicembre
2012 venivano effettuate numerose segnalazioni da parte dei consumatori e
dell’Associazione altro consumo che evidenziavano come sostanzialmente la
compagnia aerea reiterasse con modalità differenti le medesime pratiche
commerciali sanzionate dalla AGCM, introducendo in luogo della «tariffa
amministrativa» la tassa di credito. Tale tassa consistente in una commissione
del 2% dell’importo totale della transazione si aggiungeva al prezzo iniziale
del biglietto aereo nella prenotazione on
line, nell’ipotesi di pagamento effettuato tramite carta di credito.
Pertanto,
successivamente
La sentenza in esame ha
accolto parzialmente il ricorso proposto in relazione alla misura della
sanzione irrogata ed ha rideterminato la stessa nella misura ridotta di €
200.000 sulla base delle considerazioni che il comportamento contestato era
stato praticato in un arco temporale limitato, cioè dal 1° dicembre 2012 al 7
febbraio 2013.
Tuttavia nel resto la
sentenza conferma che in base alle risultanze istruttorie emerse nel
provvedimento impugnato la ricorrente nel periodo sopra indicato ha continuato
a praticare anche se con differenti modalità le pratiche commerciali
contestate, pratiche che la stessa si era impegnata a rimuovere entro il detto
termine del 1° dicembre 2012.
Infatti anche la «tassa
carta di credito», applicata in sostituzione della tariffa amministrativa per
il pagamento con carta di credito, costituisce uno strumento che incrementa la
tariffa inizialmente pubblicizzata, non rendendo al consumatore chiaramente
percepibile sin dall’inizio l’esborso finale.
Precisa la sentenza che
il principio per cui il prezzo del biglietto aereo deve essere indicato chiaramente
ed integralmente sin dall’inizio trova conferma nella giurisprudenza
amministrativa ma anche nella normativa nazionale (l. 2 aprile 2007 n. 40),
nonché negli orientamenti della Commissione europea e nel reg. (CE) n.
1008/2008.
Infatti l’art. 23 del detto
regolamento prevede che il prezzo del biglietto aereo sia pubblicizzato
comprensivo di tutte le tasse, supplementi e diritti prevedibili al momento
della sua pubblicazione, qualunque sia il mezzo di comunicazione utilizzato per
la sua offerta.
A tal riguardo la
sentenza menziona anche l’art. 3, comma 4, del d.lg. 27 gennaio 2010 n. 117 che
ha recepito la dir. 6418/2007/CE relativa ai servizi di pagamento, in base al
quale « il beneficiario non può applicare spese al pagatore per l’utilizzo di
un determinato strumento di pagamento», potendo invece ai sensi del comma 3
dello stesso articolo applicare uno sconto nell’ipotesi di un particolare
strumento di pagamento.
Infine occorre
evidenziare che la sentenza, pur confermando il contenuto del provvedimento impugnato,
ha però ritenuto di dover applicare una sanzione ridotta in considerazione di
un duplice profilo: la limitazione temporale della pratica scorretta attuata
nell’arco temporale 1 dicembre 2012 - 7 febbraio 2013; la circostanza che tale
condotta sia stata completamente rimossa mediante comportamenti che hanno
eliminato in maniera definitiva la pratica commerciale scorretta.
Cristina Sposi