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SENT. N. 132 DEL 6/5/1985
PRES. ELIA ; REL. LA PERGOLA
FONDATEZZA
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Dott. FRANCESCO SAJA - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI - Prof. GIUSEPPE BORZELLINO - Dott. FRANCESCO GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955, resi esecutivi in Italia con le leggi 19 maggio 1932, n. 841 e 3 dicembre 1962, n. 1832, promosso con ordinanza emessa il 17 gennaio 1983 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Coccia Ugo ed altra e la soc. Turkish Airlines, iscritta al n. 404 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 260 del 1983.
Visti gli atti di costituzione della soc. Turkish Airlines e di Coccia Ugo nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984 il Giudice relatore Antonio La Pergola;
uditi gli avvocati Guido Rinaldi Baccelli per Coccia Ugo, Carlo Spani per la soc. Turkish Airlines e l'avvocato dello Stato Dante Corti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 17 gennaio 1983 il Tribunale di Roma, nel procedimento civile vertente tra Coccia Ugo ed altra e la Società Turkish Airlines, ha sollevato questione di costituzionalità dell'art. 22 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955, resi rispettivamente esecutivi in Italia con le leggi 19 maggio 1932, n. 841 e 3 dicembre 1962, n. 1832, in relazione agli artt. 2, 32 e 3 della Costituzione.
Il Tribunale, premesso che, con sentenza non definitiva del gennaio 1979, aveva affermato la responsabilità, ai sensi dell'art. 17 della detta Convenzione, della Turkish Airlines in relazione al disastro aereo avvenuto in Turchia il 20 settembre 1976, nel quale era perita l'unica figlia degli attori costituitisi per ottenere dalla Compagnia aerea il risarcimento dei danni, e ritenuto che ai fini della relativa liquidazione si deve applicare l'art. 22 della Convenzione di Varsavia, in difetto della prova da parte degli attori circa la più grave responsabilità prevista dall'art. 25 della Convenzione, rileva che gli attori hanno eccepito l'incostituzionalità del suddetto art. 22 per presunto contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost..
Il giudice a quo ritiene innanzitutto che la questione sia rilevante, pur essendo la norma ritenuta incostituzionale contenuta in un Trattato internazionale, dato che la relativa legge di esecuzione non può non essere oggetto, al pari delle altre leggi, del sindacato di costituzionalità.
Tale questione, secondo il Tribunale di Roma, non é poi manifestamente infondata sotto il profilo di cui agli artt. 2 e 32 Cost., in quanto "qualunque sia il tasso di scambio fra la moneta italiana e quella parametralmente prevista nell'ambito della Convenzione di cui si tratta", il limite di responsabilità del vettore aereo previsto dalla norma denunciata non garantirebbe i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui quello all'incolumità personale e alla conservazione della personalità e dell'integrità fisica che ne fa parte, e non consentirebbe la completa risarcibilità del danno morale e patrimoniale, in violazione dei doveri di solidarietà economica e sociale imposti dalla Costituzione.
Il giudice a quo ritiene inoltre non manifestamente infondata la censura anche sotto il profilo della presunta violazione dell'art. 3 Cost., in quanto il suddetto art. 22 non prenderebbe in considerazione la diversità delle condizioni economiche e sociali dei passeggeri aerei, portando a conseguenze dannose del tutto diverse, in riferimento alla differenza di condizioni socio-economiche dei danneggiati; infine, i passeggeri aerei sarebbero discriminati rispetto a quelli che utilizzano altri mezzi di trasporto, in rapporto ai quali non é previsto alcun limite di responsabilità per il vettore, senza che tale differenziazione possa giustificarsi, come in passato, per una maggiore pericolosità del trasporto aereo, che secondo il Tribunale non sussisterebbe più, essendo il tasso di mortalità relativo ai viaggi aerei ridotto a 0,08 per 100 milioni di passeggeri chilometro.
2. - I coniugi Coccia, costituitisi nel presente giudizio di costituzionalità, rilevano attraverso la loro difesa che nessun limite di responsabilità in caso di danni ai passeggeri é previsto per i trasporti di superficie. Tale discriminazione dei passeggeri aerei rispetto a quelli superficiari non sarebbe ragionevole in quanto la disciplina giuridica della responsabilità del vettore aereo non differisce, quanto ai criteri di imputazione e alla ripartizione dell'onere della prova, da quella stabilita in materia di trasporto terrestre, stradale e marittimo: l'art. 1681 del codice civile detta criteri di responsabilità per tutti i vettori e la formula da esso adottata é analoga a quella degli artt. 17 e 20 della Convenzione di Varsavia, poi riprodotta dall'art. 962 del codice della navigazione (per il vettore aereo); sostanzialmente non dissimile, poi, é la formula adottata dall'art. 409 di quest'ultimo codice per il vettore marittimo. É poi giurisprudenza costante che in tutte le ipotesi di trasporto il danno provocato da causa ignota resta a carico del vettore.
La disciplina giuridica della responsabilità é quindi comune per tutti i mezzi di trasporto: l'imposizione del limite di responsabilità per il vettore aereo non comporta pertanto vantaggi per il passeggero, né di carattere sostanziale, né processuale.
Osserva inoltre la difesa della parte privata che i presupposti invocati nel 1929 per giustificare un limite della responsabilità del vettore aereo non sembrano più valere oggi in seguito all'incremento del traffico aereo e della sua sicurezza. Il tasso di mortalità nel 1980 é ridotto a 0,08 per ogni 100 milioni di passeggeri-chilometri trasportati. Le entrate delle compagnie dei 141 paesi membri dell'apposita Associazione Internazionale ICAO sono state nel 1980 di 87.500 milioni di dollari. In base a tali dati il limite di responsabilità per il vettore aereo appare privo di ogni ragionevole giustificazione. Va notato peraltro che attualmente solo l'industria del trasporto aereo e non anche quella delle costruzioni aereonautiche e nemmeno l'organizzazione delle infrastrutture aereoportuali e di radioassistenza beneficia del limite di responsabilità in questione. Ciò comporta una inammissibile discriminazione anche sul piano assicurativo.
Rileva ancora la difesa di parte privata che il suddetto limite al risarcimento violerebbe, inoltre, la tutela della dignità umana e contrasterebbe sia con l'art. 2 che con l'art. 32 della Costituzione. In relazione alla pretesa violazione dell'art. 2 viene ricordato come la Corte abbia affermato che tale articolo ha efficacia anche sotto il profilo patrimoniale e in particolare con riguardo al campo del risarcimento (sentenza n. 46 del 1971).
La crisi del sistema, fondato sulla Convenzione di Varsavia si é manifestata all'inizio degli anni sessanta, soprattutto per l'insufficienza del limite di risarcimento, previsto appunto dall'art. 22; negli Stati Uniti la cifra ivi stabilita é stata ritenuta del tutto inadeguata, anche nella misura prevista dal Protocollo dell'Aja.
Nel 1965 il Governo statunitense ha deciso di non ratificare il Protocollo dell'Aja, e di denunziare altresì la Convenzione di Varsavia.
L'aviazione civile era già avviata a divenire mezzo di comunicazione di massa, e la forte diminuzione del rischio di volo riduceva di molto l'ammontare dei prezzi. Il Governo statunitense ha poi ritirato la denunzia della Convenzione, ma solo a seguito della stipulazione fra il Civil Aeronautics Board e le compagnie aderenti alla IATA, del cosiddetto Accordo di Montreal, con il quale le compagnie si impegnavano ad elevare il limite di responsabilità fino a 75.000 dollari, e rinunziavano altresì al mezzo di difesa previsto dall'art. 20 della Convenzione, accettando in pratica il principio della responsabilità obiettiva per i voli che interessavano il territorio degli Stati Uniti.
L'Accordo di Montreal ha peraltro posto le premesse di quella radicale trasformazione del sistema convenzionale uniforme, la quale, successivamente adottata mediante il Protocollo di Guatemala dell'8 marzo 1971, si basa sui seguenti criteri:
1) Il limite di responsabilità é elevato a 1.250.000 franchi; 2) é prevista la responsabilità assoluta a carico del vettore aereo; 3) il nuovo limite non può essere in alcun caso superato.
Il costo necessario alla copertura assicurativa entra a far parte, pertanto, del costo generale necessario per produrre la merce e offrire il servizio, traducendosi nel prezzo di vendita e quindi finendo per ripercuotersi sul consumatore. In simili condizioni non ha più senso mantenere a carico del vettore una responsabilità per colpa: in caso di sinistro la vittima dovrà essere in ogni caso risarcita. Il Protocollo di Guatemala recepisce pienamente tale criterio, non soltanto per quanto concerne il profilo soggettivo della responsabilità (sopprimendo l'art. 20 della Convenzione) ma anche per quanto concerne lo stesso nesso causale, sostituendo, nell'art. 17 della Convenzione, all'espressione "accident" quella di "danno" prodottosi durante il trasporto.
Il Protocollo, infine, introduce sia lo strumento della revisione periodica del limite di responsabilità, sia la possibilità per gli Stati di stabilire sul proprio territorio un piano di indennizzo supplementare.
Non può, pertanto, sfuggire alla Corte, prosegue la difesa dei coniugi Coccia, che il Protocollo di Guatemala (sottoscritto e ratificato dall'Italia, ma non ancora entrato in vigore) supera la originaria disciplina della Convenzione di Varsavia, sotto il duplice profilo non soltanto dell'adeguamento del limite di responsabilità, ma anche in materia di imputazione del danno, inducendo l'interprete a ritenere che la disciplina preesistente appaia doppiamente discriminatrice, oltre che in contrasto con l'art. 2 della Costituzione. Detta disciplina, conclude la difesa, é tuttora in vigore e continua, come nel caso di specie, ad essere invocata da una sia pur sparuta minoranza di vettori aerei.
3. - La Società Turkish Airlines si costituisce nel presente giudizio.
Dopo aver osservato che il giudice a quo non si é posto il problema della corrispondenza in lire della somma limite in franchi-oro di cui all'art. 22 della Convenzione di Varsavia, rileva che questa Corte si é già in passato pronunciata in merito alla sottoponibilità al suo sindacato di norme contenute in trattati internazionali. Ritiene che nessuno Stato che ad essi abbia aderito possa, attraverso i suoi organi, disattendere loro norme, se non ricorrendo alla procedura prevista dal diritto internazionale: in proposito richiama la Convenzione di Vienna, in base alla quale uno Stato può denunciare un trattato solo nel suo complesso.
Aggiunge la difesa della Società che il principio del limite di responsabilità é codificato del resto nel nostro ordinamento normativo in via generale all'art. 2740 codice civile e vengono quindi elencati alcuni casi di responsabilità limitata previsti dal legislatore (artt. 2045, 2047, 1680, 1784 c.c.).
La difesa della compagnia osserva poi che la norma censurata prevede un medesimo limite di responsabilità per tutti i contraenti muniti di biglietto aereo; perciò non si potrebbe configurare una violazione dell'art. 3 Cost., che può essere ipotizzata solo fra soggetti che si trovino nelle medesime condizioni e che tuttavia subiscono un trattamento differenziato.
La dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata porterebbe peraltro a varie conseguenze.
La pronuncia investirebbe la sfera del diritto internazionale con lesione del diritto dei paesi che hanno aderito alla Convenzione di esigere dall'Italia il suo rispetto; si creerebbe una disparità in favore di chi discrezionalmente, ai sensi dell'art. 28 della Convenzione opti per la giurisdizione italiana.
Viene inoltre osservato che, ove si seguissero le normali regole sulla responsabilità in un sinistro che comporti il decesso di centinaia di persone, il vettore si troverebbe indebitato per centinaia di miliardi che non sarebbe certo in grado di corrispondere. Né sono ipotizzabili assicurazioni per cifre tanto esorbitanti.
La difesa della compagnia turca rileva peraltro come la norma convenzionale de qua presuma la responsabilità del vettore (art. 17), pertanto il limite di responsabilità costituisce un contemperamento di tale previsione.
Osserva ancora la difesa che il giudice a quo non ha correttamente inteso il contenuto dell'art. 2 Cost.. In concreto la norma che fissa il limite di responsabilità esprime una valutazione comparativa di interessi in conflitto, e in ogni caso non sussisterebbe un diritto costituzionale all'intero risarcimento del danno. Inconferente sarebbe nel caso anche il richiamo all'art. 3 Cost.. Infatti non può ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza nell'ipotesi in cui il soggetto economicamente più debole viene ad essere maggiormente protetto.
Viene infine rilevato che, poiché con legge 6 febbraio 1981, n. 43, l'Italia ha ratificato gli accordi del Guatemala, i quali elevano i limiti di responsabilità ma pur sempre li prevedono, l'accoglimento della questione così come posta dal Tribunale di Roma, dovrebbe di conseguenza portare alla dichiarazione di incostituzionalità della stessa legge n. 43/1981.
In base a tutte le suddette considerazioni si conclude per l'infondatezza della questione sollevata.
4. - Interviene nel presente giudizio, per tramite dell'Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri.
L'Avvocatura rileva, in punto di ammissibilità, che la Turkish Airlines ha aderito alla Convenzione di Varsavia solo nel 1978, mentre l'incidente nel quale é deceduta la figlia degli attori é avvenuto nel 1976: ai fini della Convenzione l'incidente non é pertanto qualificabile come internazionale e, quindi, ad avviso dell'Avvocatura, la presente questione appare irrilevante.
L'ordinanza avrebbe mancato, peraltro, di motivare la rilevanza sotto altro profilo e cioé in relazione all'effettivo superamento del tetto previsto dalla norma impugnata nella fattispecie concreta. La suddetta valutazione andrebbe peraltro operata avendo presente la sopravvenuta legge 26 marzo 1983, n. 84, che ha sostituito come parametro del tetto di responsabilità al franco-oro i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale: vero é che il giudice a quo ha denunciato l'incostituzionalità di un limite di responsabilità qualsiasi esso sia, ma proprio la conseguente mancanza di collegamento con i termini del giudizio principale sembrerebbe far propendere per l'irrilevanza della questione.
Nel merito, in riferimento alla presunta violazione dell'art. 32 Cost., l'Avvocatura osserva che il richiamo a tale precetto é del tutto inconferente, in quanto nel giudizio a quo il risarcimento non é stato chiesto da un passeggero per lesioni da esso subite, ma dai congiunti di un passeggero deceduto, che agiscono iure proprio per essere ristorati del danno patito.
Per quanto riguarda poi la presunta violazione dell'art. 2 Cost., essa si potrebbe porre solo con riguardo all'entità del risarcimento, ove si assumesse che il diritto soggettivo al risarcimento risulti svuotato di contenuto, ma non potrebbe certo sostenersi la illegittimità della previsione di un qualsiasi limite ad esso. Per cui é mancato, anche in relazione a tale questione, ogni giudizio concreto sulla rilevanza.
Infine, per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 3 Cost., rileva l'Avvocatura che la Convenzione in esame impone al vettore di indicare nel biglietto di viaggio il limite di responsabilità, così da consentire al passeggero di provvedere eventualmente ad una maggiore copertura assicurativa, anche mediante accordo particolare con lo stesso vettore: il "tetto" di responsabilità risulta pertanto accettato negozialmente come condizione del contratto di trasporto.
Appare inconferente poi, a giudizio dell'Avvocatura, il richiamo al regime dei trasporti di superficie, operato senza riferimento a parametri precisi inerenti a dati e discipline dei trasporti stessi di carattere internazionale, e diversi essendo tuttora i presupposti della responsabilità nei due tipi di trasporto. La diversità di situazioni, che legittima l'asserita diversità di disciplina, oltre che dalle più gravi conseguenze dei disastri aerei, deriverebbe anche dai differenti rapporti esistenti nel trasporto aereo fra i costi di gestione e le tariffe praticabili.
L'Avvocatura, sulla base di tutte le suddette motivazioni, chiede che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
5. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica del 15 maggio 1984, la difesa dei coniugi Coccia ha presentato due memorie aggiuntive.
In esse, ribaditi i termini della questione, vengono singolarmente contestate le varie eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Società Turkish Airlines e dall'Avvocatura dello Stato, ribadendo il carattere internazionale del volo, l'interesse degli attori del giudizio principale al superamento del limite di responsabilità, la natura non convenzionale del limite stesso, l'inapplicabilità della Convenzione di Vienna.
Vengono poi contestate le tesi secondo la quali la previsione del limite di responsabilità costituirebbe condizione di sopravvivenza del trasporto aereo e la dichiarazione di illegittimità costituzionale della Convenzione di Varsavia violerebbe l'uniformità internazionale: la difesa ribadisce, invece, ripetendo quella che é stata l'evoluzione della normativa internazionale in materia che la Convenzione suddetta, emendata dal Protocollo dell'Aja é stata da oltre un ventennio considerata iniqua ed inacettabile da tutti i Paesi del mondo occidentale, oltre che dagli Stati Uniti e dal Canada, ed é praticamente inapplicata.
La difesa, infine, rileva che la sopravvenuta legge 26 marzo 1983, n. 84, che ha sostituito al franco-oro Poincaré i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale, ha aggravato la situazione, travolgendo la giurisprudenza che valutava il franco-oro previsto dalla Convenzione in base al valore dell'oro al mercato libero al momento della decisione: la nuova legge riconduce, ad avviso della difesa, il limite del risarcimento ai valori del 1955, ignorando l'Accordo di Montreal e il Protocollo di Guatemala.
La difesa conclude, pertanto, nel senso che, ove la legge del 1983 fosse dalla Corte ritenuta applicabile ai giudizi in corso, non potrebbe che essere dichiarata anch'essa incostituzionale.
6. - A seguito del decesso del Giudice costituzionale Arnaldo Maccarone, che faceva parte del Collegio giudicante, la causa, già assegnata all'udienza del 15 maggio 1984, é stata nuovamente discussa nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1984, nel corso della quale il Giudice La Pergola ha svolto la relazione e i difensori delle parti e l'Avvocatura dello Stato hanno ribadito le conclusioni già adottate.
Considerato in diritto
1. - La presente questione ha per oggetto l'art. 22 della Convenzione di Varsavia (12 ottobre 1929), come modificato dall'art. XI del Protocollo dell'Aja (28 settembre 1955). Per quel che qui interessa, detta disposizione così testualmente recita: "Dans le transport des personnes, la responsabilité du transporteur envers chaque vojageur est limitee à la somme de cent vingt cinq mille francs". L'ammontare del limite posto alla responsabilità del vettore é stato successivamente raddoppiato, in forza dell'art. XI del Protocollo dell'Aja. L'unità monetaria prevista dall'uno e l'altro accordo é il cd. franco-oro Poincaré.
Il giudice a quo censura la norma testé citata - in quanto essa é stata resa efficace mediante disposizioni di legge nell'ordinamento interno (cfr. la l. n. 841 del 19 maggio 1932 e la l. n. 1832 del 3 dicembre 1962, con riguardo rispettivamente alla Convenzione di Varsavia ed al Protocollo dell'Aja) - per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32 Cost.. La denunzia é, in sostanza, così formulata:
a) Il limite in questione opera, in relazione ai sinistri che colpiscono la persona, nel senso di escludere, sempre che la responsabilità del vettore non sia dovuta a dolo o colpa grave (cfr. art. 25 della Convenzione di Varsavia come modificato dall'art. XIII del Protocollo dell'Aja), la piena risarcibilità del danno, morale e patrimoniale. Si assume che per questa via risultino privati di garanzia i diritti inviolabili dell'uomo: prima di tutto, il diritto all'incolumità personale e il diritto alla conservazione della personalità, inteso anche quale diritto all'integrità fisica. Di qui si fa discendere la prospettata lesione degli artt. 2 e 32 Cost.. La violazione dell'art. 2 Cost. é dedotta anche sotto il riflesso della mancata osservanza dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale ivi sanciti.
b) La disposizione censurata offenderebbe, altresì, il precetto dell'art. 3 Cost.. Ciò sotto un duplice riflesso:
1) l'aver posto lo stesso limite, in ordine alla responsabilità del vettore, senza riguardo alle differenti condizioni socio-economiche dei danneggiati, concreterebbe un'infrazione al principio di eguaglianza "attraverso un'identità di disciplina per situazioni oggettivamente diverse";
2) altra ingiustificata disparità di trattamento discenderebbe da ciò, che il contestato limite della responsabilità del vettore non é previsto in relazione al trasporto per via terrestre o marittima. Ritiene, infatti, il giudice a quo che oggi non sussistano differenze di rischio del traffico aereo - in cui il mezzo di trasporto ha un alto grado di sicurezza, e l'indice di incidenti o mortalità é pressoché nullo - rispetto a quello di superficie.
2. - La difesa del Presidente del Consiglio prospetta sotto vario riguardo l'inammissibilità della questione. I rilievi dedotti a questo fine non possono essere tuttavia condivisi, com'é di seguito precisato.
2.a) L'Avvocatura ritiene che l'incidente aereo, di cui si discute nella causa di merito, non possa essere qualificato come internazionale ai sensi della Convenzione di Varsavia, avendo il paese di destinazione, la Turchia, aderito allo strumento pattizio solo successivamente al verificarsi del sinistro. Di conseguenza, rimarrebbe escluso che le norme della Convenzione, compresa quella che dovrebbe interessare ai fini del presente giudizio, trovino applicazione nella specie. Comunque, il Tribunale di Roma avrebbe mancato di delibare sotto questo profilo la rilevanza della questione. Senonché, l'applicabilità alla specie della norma denunziata non é condizionata alla circostanza che si tratti di un volo dall'uno all'altro di due paesi aderenti alla Convenzione di Varsavia. A norma dell'art. 1 della Convenzione, il volo é internazionale anche quando si svolge fra due località di un solo Stato contraente, purché sia prevista almeno una sosta intermedia all'estero. Il Tribunale di Roma ha ritenuto che tale requisito risulti nel caso in esame puntualmente soddisfatto. Per vero, l'itinerario del volo (Roma - Instanbul - Antalaya e ritorno) prevedeva il punto di partenza, e rispettivamente quello di destinazione, nel territorio del nostro Stato, che é parte dell'accordo, ma lo scalo intermedio all'estero: e cioé in altro paese, non aderente alla Convenzione, quale, allora, era la Turchia. Questa Corte non ravvisa ragioni per disattendere la qualificazione data al fatto di causa dal giudice a quo.
2.b) Il Tribunale di Roma, deduce poi l'Avvocatura, non ha nemmeno accennato se il risarcimento spettante alla parte attrice superi l'ammontare consentito dall'art. 22 della Convenzione, laddove il punto doveva essere chiarito per stabilire se la censurata limitazione della responsabilità del vettore rilevasse nella definizione della causa di merito. La Corte ritiene invece che il giudice a quo abbia adeguatamente delibato la rilevanza della questione. Com'é spiegato nell'ordinanza di rinvio, il vettore non ha fornito la prova, che l'avrebbe esonerato da responsabilità, dell'adozione di tutte le misure possibili e necessarie per evitare il danno (art. 20 della Convenzione); gli attori hanno, dal canto loro, mancato di provare che ricorre l'ipotesi del danno derivante dal comportamento doloso o dalla colpa grave (secondo il Protocollo dell'Aja, della wilful misconduct) del vettore, nella quale questi non può avvalersi del previsto limite di risarcimento (cfr. art. 25 della Convenzione di Varsavia e art. XIII del Protocollo dell'Aja). Così atteggiandosi la specie, viene quindi in rilievo, secondo Convenzione, il disposto dell'art. 22. Ora, la richiesta di parte attrice nel giudizio principale eccede, in ordine al quantum risarcitorio, la misura stabilita in quest'ultima norma. Un'eventuale pronunzia di fondatezza priverebbe di efficacia la norma pattizia che, limitando la responsabilità del vettore, preclude al giudice a quo di liquidare il danno richiesto dagli attori oltre l'ammontare consentito dalla disciplina regolatrice della specie. Sussiste, dunque, il necessario nesso di pregiudizialità fra la questione sollevata in questa sede e quella oggetto della causa di merito.
3. - A parte le osservazioni sopra esaminate, é opinione dell'Avvocatura che la rilevanza della questione debba essere di nuovo controllata dal collegio rimettente, sempre in ordine al quantum risarcitorio, alla stregua delle disposizioni della legge 26 marzo 1983, n. 84, intervenute dopo la pronunzia dell'ordinanza di rinvio. Sta di fatto, però, che la legge testé citata si limita a disporre che le somme indicate in franchi-oro Poincaré, cui fanno riferimento l'art. 22 della Convenzione di Varsavia e l'art. XI del Protocollo dell'Aja, sono sostituite dai corrispondenti importi in altra unità monetaria, e cioé in diritti speciali di prelievo, quali definiti dal Fondo monetario internazionale. Le norme in essa contenute non incidono, sotto alcuno dei profili dedotti in giudizio, sul regime della responsabilità del vettore, ma concernono esclusivamente il parametro adottato in sede convenzionale (cfr. i protocolli addizionali n. 1 e 2 di Montreal del 25 settembre 1975, ratificati dall'Italia e resi esecutivi con la legge 6 febbraio 1981, n. 43), per indicare la somma entro la quale il vettore risponde, da convertire nel caso di azione giudiziaria in valuta nazionale. D'altronde, lo stesso giudice a quo denunzia la previsione del limite della responsabilità, qual é qui configurato, prescindendo dal "tasso di scambio tra la moneta italiana e quella parametralmente prevista nell'ambito della Convenzione". Così posta, la questione può essere dunque esaminata nel merito indipendentemente da quanto prevede la legge n. 84/1983.
4. - Va considerata, anzitutto, la censura formulata per prima nell'ordinanza di rinvio. A prescindere dal riferimento all'art. 32 Cost., adombrato senza alcun cenno di sviluppo, essa s'incontra sostanzialmente in quest'assunto: dove, come qui avviene, il sinistro investe l'incolumità, e la stessa conservazione dell'integrità fisica della persona, il risarcimento integrale del danno sarebbe imposto dal precetto costituzionale dell'art. 2 Cost., che sancisce i diritti inviolabili dell'uomo ed i doveri inderogabili di solidarietà.
4.1. - La Corte ritiene, anche sulla base della pregressa giurisprudenza (cfr. da ultimo sent. n. 188/80), di poter correttamente esercitare il suo sindacato delle disposizioni censurate in relazione alla norma che qui si assume lesa. Nella presente controversia, giova al riguardo avvertire, non si tratta di dischiudere la sfera dell'art. 2 Cost. a situazioni soggettive che il testo fondamentale manca di prevedere. Si prospetta, infatti, la lesione di valori, oggetto di autonoma e specifica tutela costituzionale, che la statuizione invocata richiama, quando contempla la categoria dei diritti inviolabili, nel suo generale ambito di applicazione. Il diritto al risarcimento viene in rilievo, per l'appunto, in quanto il danno incide sulla salvezza del bene supremo della vita e si riflette sul rapporto che correva fra la vittima del sinistro ed i prossimi congiunti, attori nella causa di merito; il rapporto fra i componenti del nucleo familiare, con la serie dei diritti e doveri reciproci da esso scaturenti, tocca poi per più versi, nel disegno della Costituzione, la tutela di cui gode la persona (artt. 29, 30, 31 e 36 Cost.): ed é sempre la persona, che troviamo circondata dalle garanzie configurate dall'art. 2 Cost.. Del resto, i diritti che s'inquadrano nello schema di questa disposizione costituzionale sono riconosciuti non solo al singolo, ma all'uomo nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, ivi inclusa quella naturale società, fondata sul matrimonio, che, secondo la definizione dello stesso costituente, é la famiglia.
4.2. - Come la difesa di parte privata ha ricordato, la Corte si é occupata, proprio in relazione al disposto dell'art. 2 Cost., del regime dettato dalla legge 9 gennaio 1951, n. 10, in materia d'indennizzo per danni causati alle persone da atti non di combattimento, dolosi e colposi, dalle Forze armate alleate (cfr. sent. n. 46/71). Secondo la tesi allora avanzata dal giudice rimettente, la legge anzidetta avrebbe, anche per via del mutamento intervenuto nel valore della moneta fra il verificarsi del danno e la liquidazione, praticamente vuotato di consistenza il diritto al risarcimento, con il risultato di sopprimere la garanzia del diritto inviolabile all'integrità fisica della persona. La questione é stata dichiarata non fondata con la sentenza n. 46/71, avendo la Corte ritenuto di dover escludere la violazione dell'art. 2 Cost., in presenza di un ristoro che non spogliava di ogni contenuto il diritto al risarcimento. Senonché, la censura respinta con quella decisione gravava, data la rinunzia dell'Italia ai reclami nei confronti delle potenze alleate, su una legge appositamente emanata perché, in caso di lesioni fisiche alle persone, non fosse negata una qualche riparazione del danno, compatibile con il sacrificio addossato all'intera nazione in conseguenza degli eventi bellici. Il caso in esame é diverso. A tacer d'altro, la posizione del danneggiato va valutata in rapporto al trattamento riservato al vettore, che risponde, come si diceva, se non dimostra di aver adottato le misure necessarie e possibili per evitare il danno, ma solo nei limiti dell'ammontare previsto in Convenzione. Ciò significa che da un canto vi é l'istanza del risarcimento integrale, quando il bene leso dal sinistro é la vita di un prossimo congiunto; dall'altro, quella dell'iniziativa economica connessa con il traffico aereo, la quale riveste indubbia e crescente utilità sociale, ed é anch'essa costituzionalmente protetta, fin dove giunge la guarentigia dell'art. 41 Cost.. Nel presente caso non può dunque soccorrere la pronunzia sopra ricordata. Il problema ora considerato esige, per i termini in cui si delinea l'asserita lesione del diritto al risarcimento, altro criterio di giudizio, che va subito enunciato.
4.3. - Questo collegio é chiamato in definitiva ad esaminare come si conciliano le confliggenti istanze del vettore e del danneggiato. Si può intanto precisare che l'aver comunque sancito un limite alla responsabilità del vettore non basta ad integrare la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale, sebbene importi una deroga al principio del risarcimento integrale del danno; principio che, in stretta connessione con l'altro della responsabilità colpevole, informa la disposizione dettata in via generale, per quanto qui interessa, dall'art. 1681 del codice civile, sotto il capo del contratto di trasporto. Ma tale rilievo non esaurisce l'indagine rimessa alla Corte. Occorre vedere, più da vicino, se la limitazione dell'obbligo risarcitorio sia giustificata dallo stesso contesto normativo in cui essa si colloca, nel senso che la denunciata disciplina pattizia riesca a comporre gli interessi del vettore con un sistema di ristoro del danno non lesivo della norma costituzionale di raffronto. L'esigenza di tutela del danneggiato, che qui viene in considerazione, va peraltro puntualizzata, tenendo conto delle ragioni che hanno ispirato il regime della responsabilità in sede internazionale e ne hanno promosso l'evoluzione. É, allora, in questa prospettiva, che risulta quale assetto della limitazione del risarcimento possa soddisfare gli estremi della compatibilità con l'art. 2 Cost.. Ad avviso della Corte, deve trattarsi di una soluzione normativa atta ad assicurare l'equilibrato componimento degli interessi in giuoco: e dunque, per un verso sostenuta dalla necessità di non comprimere indebitamente la sfera di iniziativa economica del vettore, per l'altro congegnata secondo criteri che, in ordine all'imputazione della responsabilità o alla determinazione della consistenza del limite in discorso, comportano idonee e specifiche salvaguardie del diritto fatto valere da chi subisce il danno.
Sotto l'uno e l'altro dei profili testé individuati cadono opportune le seguenti riflessioni.
5. - La normativa denunziata é inserita in una disciplina uniforme del trasporto aereo, necessariamente affidata, per quanto concerne i voli internazionali, agli strumenti pattizi, dei quali il legislatore ha disposto l'esecuzione (vedi sopra n. 1). La Convenzione di Varsavia risale al 1929; quella di Parigi, che di essa aveva preparato l'adozione, é del 1925. Il limite qui contestato traeva in quell'epoca evidente supporto dalla circostanza che l'industria del trasporto aereo, ancora all'inizio ed esposta a sensibile rischio, richiedeva misure protettive, indispensabili per l'economicità della sua gestione e per lo sviluppo dell'intero settore di intrapresa. Il ricorso al criterio del risarcimento integrale del danno derivante dal sinistro aeronautico avrebbe, infatti, ben spesso costretto il vettore a pagare somme assai elevate, con la conseguente difficoltà di reperire una copertura assicurativa idonea a tener salvo il suo patrimonio personale. Il criterio della limitazione del risarcimento, sia pur temperato dalla previsione della responsabilità piena del vettore in caso di dolo o colpa grave, serviva, dal canto suo, a quantificare con esattezza gli oneri dell'assicurazione e a circoscrivere il rischio che andava assicurato.
Il testé accennato ordine di giustificazioni avrebbe potuto rilevare, nei termini sopra precisati (cfr. n. 4.3), sotto il profilo della tutela costituzionale che, secondo il nostro ordinamento, merita la posizione del vettore. Esso é però venuto meno con la continua ed imponente crescita del traffico aereo, il livello di sicurezza conseguito nel suo svolgimento e la flessione dei costi assicurativi, dovuta alla riduzione del rischio.
5.1. - Quest'ultimo rilievo spiega, peraltro, come tra gli Stati aderenti alla Convenzione di Varsavia, e gli stessi operatori economici, sia venuto radicandosi il convincimento che gli schemi in origine adottati da quell'accordo internazionale per ridurre la responsabilità del vettore andassero riveduti. In effetti, la disciplina in parola é stata modificata con due distinti strumenti: l'accordo registrato presso il Civil Aeronautics Board degli Stati Uniti e concluso il 6 maggio 1966 a Montreal tra i vettori aerei I.A.T.A. (International Air Transport Association), limitatamente ai voli internazionali che interessano, quanto al punto di partenza o arrivo o scalo, l'area spaziale di quella nazione; il Protocollo adottato a Città del Guatemala l'8 marzo 1971, che é un trattato concernente il trasporto internazionale in tutta l'area degli Stati contraenti. La autorizzazione alla ratifica del Protocollo in parola ed il relativo ordine di esecuzione sono contenuti nella sopra menzionata legge del 6 febbraio 1981, n. 43. Le disposizioni in esso poste non dispiegano ancora effetto, per il mancato adempimento dei requisiti all'uopo prescritti nelle clausole protocollari. Importa però rilevare come il Protocollo di Città del Guatemala recepisca il regime pattuito fra i vettori a Montreal e ne svolga con più compiuta e rigorosa formulazione i principi, di cui va fatto cenno in questa sede. Precisamente:
a) il principio di imputazione di responsabilità basato sulla colpa é sostituito dall'altro della responsabilità assoluta (o oggettiva): il vettore non dispone più della prova liberatoria, com'é prevista nell'art. 20 della Convenzione di Varsavia, che concerne le misure necessarie e possibili per evitare il danno (cfr. art. VI del Protocollo). Di conseguenza é stata modificata anche la previsione dello stesso nesso causale che, ai sensi dell'art. 17 della Convenzione di Varsavia, collega il danno risarcibile con un'anomalia del servizio; il vettore risponde ora "del pregiudizio occorso in caso di morte o di ogni lesione personale subita dal passeggero per la sola circostanza che il fatto, che ha causato la morte o la lesione personale, si é prodotto a bordo dell'aeromobile (o nel corso di tutte le operazioni di imbarco o di sbarco)" (art. IV del Protocollo). Alla nozione originaria di sinistro (accident) subentra così quella di un evento dannoso individuato esclusivamente in relazione alla durata del trasporto.
b) Il criterio di prevedere un limite di risarcimento é per vero tenuto fermo (cfr. art. VIII del Protocollo); anzi tale limite é configurato come invalicabile anche nelle ipotesi di dolo o colpa grave, per le quali la Convenzione di Varsavia preclude al vettore di giovarsi delle disposizioni che escludono o riducono la sua responsabilità (cfr. art. XI del Protocollo, che sopprime l'art. 25.1 di detta Convenzione). In compenso, l'ammontare della somma entro la quale il vettore risponde, sempre in caso di morte o lesioni personali, é accresciuta (fino ad 1.200.000 franchi-oro Poincaré) rispetto agli importi che figurano, del resto già in ordine di progrediente consistenza, prima nella Convenzione di Varsavia (125.000 franchi-oro Poincaré), e successivamente nel Protocollo dell'Aja (250.000 franchi-oro Poincaré) e nell'Accordo di Montreal (75.000 dollari statunitensi, onorari di avvocati e spese comprese; 58.000 dollari, se l'azione di risarcimento é promossa in uno Stato ove sia previsto che gli onorari di avvocati e le spese siano liquidate separatamente). Inoltre, il Protocollo introduce lo strumento del periodico aggiornamento del limite di responsabilità, alle scadenze temporali, con le modalità e nelle misure massime indicate dall'art. XV; mentre l'art. XIV consente a ciascuno Stato contraente di stabilire, per parte sua e alle condizioni ivi previste, un piano di indennizzo supplementare, in favore di coloro che agiscono in giudizio in caso di morte o lesione personale di un passeggero.
5.2. - Ecco allora, in sintesi, quali garanzie di congruo ristoro offre, per il caso in considerazione, la disciplina uniforme della materia, così com'é venuta atteggiandosi in sede internazionale:
a) il principio della responsabilità assoluta del vettore implica che ogni qual volta trova applicazione la previsione normativa dell'evento che ha causato la morte, o la lesione corporea, il danno deve essere comunque risarcito; dal canto suo, il vettore fruisce di coperture assicurative idonee a risarcire le vittime, tenendo indenne il suo patrimonio;
b) l'altro strumento, che consiste nell'aggiornare il limite di responsabilità del vettore, volta a volta fissato in Convenzione, costituisce una salvaguardia della pretesa risarcitoria di fronte alla possibile diminuzione dei valori monetari: fenomeno che si é infatti verificato, nel corso del periodo in cui sono successivamente intervenuti gli atti internazionali prodotti per modificare la Convenzione di Varsavia. Si può, in proposito, utilmente ricordare il criterio enunciato dalla Corte con riguardo al ristoro spettante, ex art. 42, terzo comma, Cost., al soggetto espropriato, là dove tra il momento dell'esproprio e quello preso in considerazione dal legislatore per determinare l'ammontare della liquidazione corre un distacco temporale che può pregiudicare la congruità dell'indennizzo (cfr. sentt. nn. 155/76 e 160/81). Quando ricorre tale ipotesi, é stato appunto ritenuto, il regime indennitario risulta conforme al disposto costituzionale testé menzionato solo se esso contiene un qualche congegno correttivo degli effetti prodotti, durante la sua vigenza, dallo slittamento del valore della moneta, per modo che la misura dell'indennizzo possa adeguatamente accostarsi alla realtà ed attualità dei valori economici. Nella specie, l'aggiornamento del limite che osta al ristoro integrale del danno s'impone a maggior ragione: ci troviamo, dopotutto, di fronte alla sospetta lesione della sfera costituzionalmente garantita non alla proprietà, bensì all'integrità fisica della persona.
5.3. - Deve aggiungersi che il nostro legislatore non é rimasto insensibile all'esigenza di introdurre previsioni del genere sopra descritto nella disciplina posta dal codice della navigazione con riferimento ai voli nazionali. Tale codice adotta lo stesso schema della responsabilità colpevole e limitata al vettore aereo, sancito nella Convenzione di Varsavia (artt. 941, 942 e 943 codice della navigazione). Il limite del risarcimento che qui interessa é stabilito, nella misura di lire 5.200.000 per persona, dall'art. 943 del codice. Ora, però, l'art. 19 della legge 13 maggio 1983, n. 213, prescrive l'aggiornamento del limite anzidetto (come di ogni altro limite di responsabilità, previsto nel codice della navigazione) e lo demanda ad un decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Ministro dei trasporti, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato. É previsto che l'aggiornamento sia operato in base ai parametri puntualmente indicati nella legge: le convenzioni internazionali in materia, l'indice generale dei prezzi di mercato, quello delle retribuzioni desunte dall'Istituto Centrale di Statistica, nonché dei livelli assicurativi praticati nei vari Stati in materia di assicurazione civile. L'espresso ed attuale riferimento alle convenzioni internazionali del settore sta a dimostrare che il limite posto alla responsabilità del vettore va riveduto anche alla stregua della disciplina pattizia posteriore alla Convenzione di Varsavia e al Protocollo dell'Aja. I concessionari del servizio di linea si sono, d'altronde, spontaneamente adeguati al livello massimo del risarcimento stabilito nel citato Accordo di Montreal (cfr. sopra n. 5.1). Il congegno dell'aggiornamento predisposto nell'art. 19 della citata legge n. 213 del 1983 - é appena il caso di osservare - si collega, inoltre, con il sistema dell'assicurazione obbligatoria, accolto dal codice della navigazione. Ai sensi dell'art. 941, primo comma, del detto codice, l'esercente di linee aree regolari dovrà perciò assicurare ciascun passeggero contro gli infortuni di volo per l'ammontare che risulta dalla somma aggiornata in conformità della legge; tale somma sostituisce quella indicata nell'art. 943 come limite del risarcimento. L'esercente risponde dell'inadempimento di tale obbligo a norma dello stesso art. 941, secondo comma, del codice della navigazione.
6. - Le osservazioni fin qui svolte sugli sviluppi della normativa pattizia e della nostra legislazione interna conducono al seguente risultato: la limitazione della responsabilità del vettore si appalesa giustificata solo in quanto siano al tempo stesso predisposte adeguate garanzie di certezza od adeguatezza per il ristoro del danno. Questo requisito é, dunque, ormai considerato come irrinunziabile nella cerchia dei soggetti che concorrono alla produzione della disciplina uniforme del trasporto aereo; esso deve allora, secondo i criteri sopra posti (cfr. n. 4.3), risultare soddisfatto anche ai fini della presente decisione. La scelta dei mezzi meglio adatti allo scopo é rimessa, beninteso, alla determinazione delle competenti fonti normative. Nella specie, però, difetta del tutto la tutela del danneggiato che poteva, e doveva, comunque esser prevista. La disciplina censurata, come si é detto, non é più sorretta dalle ragioni sottostanti all'originario assetto della Convenzione di Varsavia, e non é, d'altra parte, compensata, o accompagnata, da alcuna misura del tipo dianzi ricordato, in punto di salvaguardia della pretesa risarcitoria. Nei termini in cui essa é configurata, la norma che di fronte alle lesioni corporee - e addirittura, come qui accade, di fronte alla perdita della vita umana - esclude il ristoro integrale del danno non é assistita da un idoneo titolo giustificativo. Occorre quindi concludere che essa lede la garanzia eretta dall'art. 2 Cost. a presidio inviolabile della persona. Con ciò resta assorbito ogni residuo profilo della questione. La pronuncia della Corte concerne, si deve infine precisare, esclusivamente le disposizioni di legge che hanno conferito efficacia interna alle clausole pattizie in esame. Va dunque dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 19 maggio 1932, n. 841 e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1962, n. 1832, nella parte in cui danno esecuzione all'art. 22/1 della Convenzione di Varsavia, come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 19 maggio 1932, n. 841 e dell'art. 2 della legge 3 dicembre 1962, n. 1832, nella parte in cui danno esecuzione all'art. 22/1 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, come sostituito dall'art. XI del Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 1985.
LEOPOLDO ELIA, PRESIDENTE
ANTONIO LA PERGOLA, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 6 maggio 1985.
Gazzetta Ufficiale N. n. 113 bis del 15 maggio 1985