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III |
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Incostituzionale il
limite di responsabilità del vettore marittimo nazionale di
merci nel caso di
dolo o colpa grave.
Sommario:
1. Premessa. -
2. Cenni storici sul limite di
responsabilità. - 3. Le precedenti
pronunce della Consulta. -
4. La sentenza 199/2005
– 5. La situazione attuale.
– 6. Conclusioni.
Se da un lato il lettore non
può non ammirare la finezza
della motivazione e l’eleganza dello slalom con cui il
redattore della sentenza
è riuscito scivolare evitando gli insidiosi paletti che la
stessa Corte si era
posta con le pronunce con cui in passato aveva ritenuto legittimo tale
limite,
dall’altro non può non riflettere con amarezza
sullo stato in cui versa il
sistema giuridico italiano, sia di formazione che di controllo della
legittimità delle leggi.
La vicenda del limite di
responsabilità del vettore
marittimo di merci ne è un evidente, sconfortante, caso
emblematico.
2. Cenni storici sul
limite di responsabilità – Come noto,
l’istituto della limitazione di
responsabilità del vettore marittimo di merci viene alla
ribalta nel trasporto
internazionale con la Convenzione
di Bruxelles del 1924 sulla polizza
di carico
([1]).
Scopo dichiarato della Convenzione di Bruxelles è mediare
gli interessi di armatori e caricatori, evitando che le clausole
generalizzate
di totale esonero di responsabilità poste dai vettori
marittimi nelle loro
polizza di carico addossino tutto il rischio del trasporto ai
caricatori e li
privino di qualsiasi tutela ([2]).
La mediazione fra i due contrapposti
interessi viene
raggiunta da un lato limitando la responsabilità del vettore
marittimo e
codificando esattamente i casi di esonero, dall’altro
sancendo la
inderogabilità a favore del vettore delle norme sulla sua
responsabilità ([3]).
L’istituto della limitazione
ha sùbito fortuna, non soltanto
per l’ampio numero delle ratifiche della convenzione
di
Bruxelles, ma anche per
il fatto che molti legislatori nazionali lo adottano per il proprio
ordinamento
interno. Fra questi, il legislatore italiano nel codice della
navigazione del
1942, la cui disciplina del trasporto marittimo di merci riprende la
struttura
e gli istituti ormai sperimentati in sede internazionale dalla
convezione
di
Bruxelles.
Il limite del debito del vettore viene
fissato dall’art.
423
cod. nav. in lire 5.000 per unità
di
carico; formulazione poco felice, in quanto il legislatore
non definisce
oggettivamente in cosa consista questa unità di carico cui
è parametrato il
limite ([4]).
Nonostante l’ammontare del limite sia
stato fissato in tempo di guerra e la moneta perda rapidamente di
valore, il
legislatore resta inerte per oltre un decennio ([5]).
Solo nel 1954, allorché il limite è ormai ridotto
in
termini reali al 2,5% (ossia un quarantesimo) del valore originario, il
legislatore interviene, elevandolo a lire 200.000 ([6]).
Poi, di nuovo l’inerzia assoluta. Il tempo trascorre, i
dubbi – anche interpretativi
- sulla
portata della norma aumentano, il valore del limite in termini reali
diminuisce.
Al diminuire del valore reale del limite
si aggiungono poi i
perversi effetti della mancata definizione legislativa di cosa sia
l’«unità di
carico»: una lacuna che la giurisprudenza colma indicandola
nell’unità di
misura sulla cui base viene calcolate il nolo ([7]).
Di
fatto, ciò lascia
liberi i vettori di
rendere irrisorio
il limite di responsabilità semplicemente indicando come
unità di carico
l’unità di misura più ampia o
favorevole possibile ([8]).
Non solo. In assenza di alcuna
specificazione legislativa in
tal senso, dopo alcuni contrasti la giurisprudenza non può
che allinearsi nel
ritenere che il limite sia comunque applicabile, anche nel caso di dolo
o colpa
grave del vettore o dei suoi dipendenti o preposti ([9]).
Di fatto, quindi, alla fine del secolo scorso il limite
di responsabilità del vettore marittimo nazionale
è talmente esiguo che
«rasenta l’esonero» ([10]).
La giurisprudenza, peraltro, si trova a disagio di fronte
alla palese ingiustizia della norma (così come di altre
limitazioni di
responsabilità nel settore dei trasporti) e a partire dagli
anni ottanta del
secolo scorso comincia a dubitare della legittimità
costituzionale della norma.
3. Le precedenti
pronunce della Consulta. - La Corte
costituzionale si pronuncia per la
prima volta sulla legittimità dell’art. 423 cod.
nav. con la sentenza
n. 401
del 19 novembre 1987 ([11]).
E’ la Corte d’appello di Catania in sede di rinvio ([12])
che nel 1986 dubita della legittimità costituzionale del
limite in rapporto agli artt. 3 e 42 della costituzione, dopo che la
Cassazione
ha escluso il concorso fra azione contrattuale ed extracontrattuale nel
trasporto marittimo di merce e quindi la possibilità di
evitare l’applicabilità
del limite qualificando l’azione come aquiliana ([13]).
La sentenza della Consulta è
di rigetto. In sostanza, viene
detto dalla Corte, l’applicazione del limite di
responsabilità, per quanto
ridotto possa essere, può essere sempre evitato dal
caricatore mediante la
dichiarazione di valore, che, se effettuata, consente il risarcimento
pieno e
quindi elimina possibili disuguaglianze con altri tipi di trasporto.
Inoltre,
la sentenza della Corte costituzionale non solo conferma la
legittimità
dell’art. 423
cod. nav., ma, con intervento sostanzialmente
additivo,
interpreta la norma legittimando il vettore marittimo ad aumentare il
nolo nel
caso in cui sia effettuata la dichiarazione di valore ([14]).
La sentenza divide la dottrina ([15])
e non convince appieno i giudici di merito. Appena un anno
dopo la norma è rinviata al giudice delle leggi dal
Tribunale di Genova, il
quale dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 423
cod. nav. in
relazione al principio di eguaglianza con riferimento alla diversa
disciplina
del trasporto di merce internazionale; e ciò sia per quanto
attiene la diversa
regolamentazione dei casi di dolo o colpa grave, sia per quanto attiene
l’unità
di carico di riferimento ([16]).
Le aspettative di chi ritiene non
legittimo il limite di
responsabilità sono però deluse: la Corte
costituzionale dichiara infatti la
questione inammissibile per difetto di motivazione in tema di rilevanza
([17])
e la rinvia al giudice di merito ([18]).
La dottrina, che aveva forse confidato fino ad allora in
un intervento del legislatore o della Corte costituzionale per
risolvere il
problema, si orienta ora su posizioni piuttosto critiche ([19]).
Passano altri dieci anni ed il Tribunale
di Genova ripropone
la questione di legittimità costituzionale, sempre in
riferimento al principio
di eguaglianza, ponendo come elemento di comparazione la disciplina del
trasporto marittimo internazionale. Ma alla sua ordinanza non arride
miglior
fortuna della precedente. Tutti e tre i profili di
illegittimità segnalati dal
giudice di merito vengono seccamente respinti da una breve sentenza ([20]),
che
da un lato
individua nelle diverse fonti normative (nazionale ed internazionale) e
nel
diverso tipo di colpa individuato dalle due discipline gli elementi
sufficienti
a non rendere omogenee le situazioni comparate, dall’altro
ribadisce la
legittimità della limitazione sulla base della
possibilità per il caricatore di
effettuare la dichiarazione di valore, come già affermato
dalla sentenza
401/1987.
Non passa neppure un mese che la
Cassazione solleva
nuovamente la questione di legittimità costituzionale ([21]).
E’ un’ordinanza molto articolata che, pur tenendo
conto
della appena pubblicata sentenza
71/2003 della Consulta, solleva la
questione
in relazione all’art.
952 cod. nav. (trasporto aereo
nazionale di cose).
4.
La sentenza
199/2005. Sulla base di tale ampiamente motivata ordinanza di
rimessione,
la Corte costituzionale ha oggi finalmente aperto un minimo spiraglio
alle
istanze di tutela dell’utenza caricatrice, escludendo che il
limite di
responsabilità previsto dall’art. 423 del codice
della navigazione si applichi
nel caso di dolo o colpa grave del vettore.
Lo ha fatto ritenendo violato il
principio di eguaglianza
con riferimento all’art.
952 cod. nav., relativo al trasporto
aereo, con una
ampia ed articolata motivazione che non può non destare
l’ammirazione del
lettore per come il redattore sia riuscito a districarsi fra i paletti
postigli
dalle precedenti sentenze sull’argomento.
Non soltanto infatti l’odierna
sentenza ha dovuto tener
conto delle (e nuovamente giustificare le) motivazioni con cui la Corte
in
precedenza aveva respinto le questioni di legittimità
costituzionale del limite
di responsabilità vettore marittimo nazionale, ma ha dovuto
anche effettuare i
necessari e non facili raccordi con le altre pronunce che invece, in
altri
settori del trasporto, avevano censurato norme analoghe ([22]).
L’ampiezza della motivazione
della sentenza esime da ogni
ulteriore commento; tanto più che alcuni dei presupposti su
cui si basa la
sentenza appaiono trovare le proprie basi principalmente
nell’autorevolezza
della fonte che li pone. In ogni caso, una volta dati per fondati i
presupposti
da cui parte il redattore della sentenza (quale, ad esempio, che il
trasporto
marittimo nazionale sia comparabile con quello aereo nazionale, ma non
lo sia
con quello internazionale marittimo), appare difficile criticare il
ragionamento della Corte, sorretto da rigore logico inoppugnabile.
Certo
non sarà facile per
il comune cittadino che imbarchi la una
vettura o un autocarro su un traghetto per raggiungere la Sardegna,
comprendere
per quale motivo la Corte costituzionale ritenga un tale trasporto
paragonabile
a quello aereo (in cui, notoriamente, non si trasportano né autovetture al seguito né autocarri) e non invece
all’identico
trasporto
intracomunitario per mare diretto in Corsica; così
come non sarà
facile capire per quale motivo la circostanza che
il vettore del traghetto per la Corsica risponda oltre il limite solo
per dolo
o colpa temeraria fosse sino ad oggi elemento tanto diverso da
legittimare il
vettore nazionale a beneficiare il limite anche in caso di dolo o colpa
grave ([23]);
o ancora, comprendere per quale motivo il vettore
intracomunitario usufruisca di un limite ancorato ad un parametro
oggettivo
basato sul peso della merce caricata, mentre quello nazionale possa
unilateralmente variare l’entità del limite
semplicemente decidendo lui quale
sia l’unità di carico su cui calcolare il
corrispettivo del trasporto; o
infine, riuscire a capire da dove la Corte deducesse che «l’entità del risarcimento
è in funzione del costo del trasporto» ([24])
o che «il contenuto
dell’art. 423
cod. nav. trova la sua ragione sostanziale
nell’equilibrio delle
prestazioni, implicito nella domanda e nell’offerta»
([25]),
quando l’imbarco di un’autovettura sul suddetto
traghetto
per la Corsica – in cui il vettore non usufruisce del limite
se il danno è
dovuto a dolo o a colpa temeraria, e in cui il limite è
determinato per
chilogrammo di merce caricata e non per una unità di carico
decisa dal vettore
– costa come (se non meno) analogo traghetto per la Sardegna
…. ([26]).
Ma non sono tanto le motivazioni delle
sentenze della
Consulta a destare perplessità, quanto che il sistema
giuridico italiano
consenta che si verifichino situazioni di questo genere, che il comune
cittadino, per quanti sforzi faccia, non riesce né a
comprendere né a
giustificare.
Guardando dall’alto la vicenda, si ha l’impressione
di un
grande gioco del flipper, in cui i
giudici lanciano via via le proprie palline (ossia le eccezioni di
legittimità
costituzionale) in varie direzioni, sperando di colpire prima o poi un target che si illumini e conceda il bonus della dichiarazione di
incostituzionalità. Ma, purtroppo, è un gioco che
si gioca sulla pelle dei
cittadini.
Possibile, ci si potrebbe chiedere, che
i nostri giudici
siano talmente incompetenti da aver dovuto provare a sollevare per ben
quattro
volte una questione di legittimità costituzionale prima di
azzeccare (e solo parzialmente)
la motivazione giusta? Se si ritiene che la risposta sia negativa - come personalmente ritengo
– significa che il
sistema attuale del controllo di costituzionalità non
è adeguato, o comunque
non viene fatto funzionare come dovrebbe ([27]).
E ancora: sia l’art. 423 cod.
nav. che l’art.
952 cod. nav.
preso dalla Corte quale paragone per il valutare la violazione o meno
del
principio di eguaglianza esistono nel nostro ordinamento da oltre
sessant’anni.
E non si tratta di norme che disciplinano rarissime fattispecie
giuridiche, ma
norme applicate tutti i giorni in un settore, quello del trasporto di
merce,
essenziale per la vita economica della nazione. Possibile che solo dopo
60 anni
– il tempo di due generazioni! – il nostro sistema
sia in grado di espungere
dal nostro ordinamento una norma incostituzionale? ([28]).
5.
La
situazione attuale – La sentenza
199/2005, pur costituendo un passo in
avanti rispetto al passato, lascia ancora molte questioni irrisolte.
Oggi il
vettore marittimo non può più usufruire del
limite nel caso in cui il danno sia
dovuto a dolo o colpa grave propria o dei suoi dipendenti e preposti;
ma resta
pur sempre libero da responsabilità nel caso in cui il danno
non dipenda da
colpa propria o colpa commerciale dei propri dipendenti e preposti ([29]).
Inoltre, nei casi in cui risponde del danno non dovuto a
colpa grave o dolo usufruisce di un limite di responsabilità
talmente irrisorio
da renderlo praticamente irresponsabile.
Sotto questo profilo, la motivazione con
cui la Corte costituzionale giustifica la legittimità del
limite – ossia la
circostanza che il caricatore, potendo effettuare la dichiarazione di
valore,
può evitare il limite ed ottenere il risarcimento pieno del
danno – non
affronta il problema della lesione del principio di eguaglianza, ma
elide le
questioni di legittimità più volte sollevate. La
dichiarazione di valore,
infatti, impedisce al vettore di usufruire del limite, e quindi, di
fatto,
rende inapplicabile la norma che stabilisce il limite stesso.
E’ palese che se
si deduce la illegittimità di una norma, si deduce anche una
situazione in cui
tale norma è applicabile e si chiede alla Corte di
verificare se quella norma
che si intende applicare sia o meno corretta. Una risposta che affermi
– come
afferma in sostanza la Corte costituzionale in tutte le sue sentenze
– che la
norma è legittima perché il caricatore
può scegliere di non applicarla, non è
affatto una valutazione della legittimità della norma che
pone il limite di
responsabilità.
Con lo stesso criterio logico, qualsiasi
questione di illegittimità basata sul principio di
eguaglianza o della
ragionevolezza sarebbe superabile semplicemente affermando che
l’interessato,
adottando un altro comportamento, avrebbe potuto evitare
l’applicazione della
norma sospetta di incostituzionalità ([30]).
Altro corollario della motivazione delle tre sentenze
della Corte costituzionale è che potrebbero essere
sottoposte al sindacato
della Corte per violazione del principio di eguaglianza solo norme
inderogabili, e non quelle che di cui le parti possono evitare
l’applicazione
diversamente regolando i loro rapporti; ma è questo un
principio che non si
rinviene certamente nella nostra costituzione ([31]).
Di fatto, nei propri giudizi la Corte
costituzionale ha compiuto un piccolo ma fondamentale salto logico. Non
ha
giudicato – come richiesto dai giudici a
quo – della legittimità costituzionale
della norma sottoposta alla sua
attenzione (che era solo quella relativa al limite di
responsabilità e andava
giudicata in relazione ad altre norme che pongono limiti di
responsabilità), ma
ha ampliato il suo giudizio all’intera disciplina del
trasporto. Cosa che può
essere corretta ai fini di valutare nel complesso la ragionevolezza
della norma
sottoposta al suo giudizio, ma non può certo andare sino al
punto di evitare il
giudizio sulla norma sottopostagli sul presupposto che la parte privata
avrebbe
anche potuto evitarne l’applicazione.
Altrettanto poco convincenti le
affermazioni tendenti a rinvenire elemento di omogeneità
nelle fonti da cui
promana la norma piuttosto che nelle fattispecie concrete cui la norma
deve
essere applicata ([32]).
Sotto il profilo sostanziale, trasporto marittimo e
trasporto aereo sono fattispecie del tutto diverse. Usano mezzi
diversi, si
muovono in ambienti diversi, utilizzano infrastrutture diverse, hanno
costi del
tutto diversi, nonché aspetti del regime di
responsabilità quantitativamente
diversi ([33]).
Di fronte a ciò, la circostanza che la
fonte normativa che li disciplina sia la stessa – valorizzata
dalla Corte per
affermare la omogeneità dei due tipi di trasporto - non
sembra essere elemento
significativo e tanto meno decisivo per ritenere che elemento di
comparazione
per valutare il rispetto del principio di eguaglianza sia la disciplina
del
trasporto aereo nazionale e non quella del trasporto marittimo
internazionale.
Tanto più che, come è stato esattamente osservato
([34]),
la disciplina della responsabilità del vettore marittimo
nazionale è stata derivata proprio da quella internazionale ([35]).
Altro elemento che lascia piuttosto
perplessi è la assoluta astrazione dal dato reale che i
giudici della Corte
costituzionale dimostrano nelle loro sentenze (
[36]).
Si è già riportato
l’esempio del
trasporto per traghetto di un’autovettura da Genova alla
Corsica e da Genova
alla Sardegna. Si è già indicato come i prezzi di
mercato siano, per distanze
comparabili, sostanzialmente identici. Eppure, i limiti di
responsabilità sono
ben diversi. Per il vettore nazionale, un’automobile del peso
di una tonnellata
e mezzo (calcolata come una unità di carico) gli consente di
fruire di un
limite di responsabilità di 200.000 lire (oggi 103,29 euro)
La stessa vettura,
portata in Corsica, «vale» un limite di
responsabilità di circa 3.480,00 euro ([37]).
Il discorso è ancora più evidente per un
autocarro (peso:
44 tonnellate). Per un viaggio in Sardegna, essendo una unica
unità di carico,
il suo limite vale sempre 103, 29 euro. Per un viaggio in Corsica, vale
invece
circa 102.080,00 euro, ossia quasi mille volte di più.
Eppure, una simile
differenza non si riscontra nelle tariffe, che per le due tratte sono
di
ammontare analogo.
Non solo. Se si estende
l’esame alle
tariffe di compagnie straniere per percorsi analoghi, si scopre che
anch’esse
quotano allo stesso livello percorsi simili. E’ evidente
quindi che
l’affermazione della Corte, secondo cui «l’entità
del risarcimento è in funzione del costo del trasporto»
o che «il contenuto
dell’art. 423
cod. nav. trova
la sua ragione sostanziale nell’equilibrio delle prestazioni,
implicito nella
domanda e nell’offerta» è
priva di reale fondamento, in quanto, di fatto,
il corrispettivo per il trasporto richiesto dal vettore è
sostanzialmente
identico sia per un limite di 103,29 euro, sia per un limite di
102.080,00
euro.
Se la questione fosse limitata ai
vettori
italiani, dovrebbe dedursi – se il ragionamento della Corte
fosse corretto –
che per mantenere i prezzi identici nel trasporto nazionale e
internazionale, i
vettori compensino i risparmi sulle tratte nazionali con i maggiori
costi su
quelle internazionali; e già su questo, potrebbero aversi
dubbi sul fatto che
la norma che ciò consente sia ragionevole.
Ma così non è.
L’esame delle tariffe
praticate dai vettori esteri rivela che esse sono sostanzialmente in
linea con
quelle dei vettori italiani. Quindi, delle due l’una: o
l’ammontare della
limitazione ha influenza sostanziale irrisoria nelle determinazione
delle
tariffe e quindi il ragionamento della Corte non è corretto
per mancanza di
basi fattuali, oppure, se effettivamente il limite consente noli
più bassi,
significa che i vettori italiani lucrano a loro favore la differenza
fra i
prezzi correnti del mercato ed il risparmio che il limite irrisorio
concede
loro. In entrambi i casi, stando così le cose, non sembra
che la norma possa
essere considerata ragionevole o rispondente al principio di
eguaglianza.
In terzo luogo, il ragionamento della
Corte costituzionale presuppone che il caricatore abbia comunque la
possibilità
di effettuare la dichiarazione di valore. Anche questa circostanza,
data per
scontata ed implicita nella norma dalla Corte costituzionale, non solo
è priva
di riscontro nella realtà dei fatti ([38]),
ma finisce con l’essere del tutto obliterata dal
parallelo diritto riconosciuto al vettore dalla sentenza 401/1987,
di
aumentare
il nolo in presenza di una dichiarazione di valore.
Colpisce negativamente, nella sentenza
199/2005, la circostanza che per la Corte costituzionale un
ventennio
sembri
passato invano. Dopo la pronuncia del 1987, la dottrina ha ampiamente
approfondito la questione della dichiarazione di valore, dimostrando in
particolare la contraddittorietà fra
l’affermazione che essa sia un diritto
potestativo del caricatore ed il parallelo riconoscimento di un diritto
del
vettore ad un aumento del nolo; notevole attenzione è stata
poi dedicata
all’approfondimento degli aspetti relativi alla fair opportunity di rendere tale
dichiarazione ([39]).
Ebbene, di tale dibattito dottrinale e
delle pregevoli argomentazioni da esso emerse non
v’è alcuna traccia
– neppure per confutarle - nella
sentenza della Corte costituzionale, che si è limitata a
riportare le testuali
parole della sentenza
401/1987, senza mutarle di una virgola ([40]);
come se i diciotto anni trascorsi da allora fossero
passati invano.
Eppure, si tratta di argomentazioni
difficilmente confutabili. E’ stato infatti acutamente
osservato ([41])
come la dichiarazione di valore non possa essere
considerata «atto unilaterale
recettizio,
rimesso alla libera determinazione del caricatore, che diventa
produttivo di
effetti ex lege una volta che sia pervenuto a conoscenza del vettore o
di un
soggetto legittimato» ([42]),
se, al contempo, si afferma che a fronte di essa il
vettore ha facoltà di aumentare il relativo nolo. Se infatti
«il limite è
costituzionalmente legittimo
perché il caricatore può evitarlo con una
semplice dichiarazione unilaterale,
occorre che costui sia messo ragionevolmente in condizione di
effettuare tale
dichiarazione e che il vettore sia tenuto ad accettarla; se invece il
caricatore (anche professionale) non è messo in condizione
di esplicare
agevolmente l’atto di autonomia o se il vettore (che non
è obbligato a
contrarre) può non accettarla, viene meno il presupposto che
la Corte ha posto
a base della legittimità costituzionale della norma»
([43]).
A dire il vero, una minima
traccia di
tali osservazioni si rinviene nella sentenza 71/2003,
nella quale la
Corte
costituzionale specifica, per incidens,
che quanto affermato in tema di dichiarazione di valore ha fondamento
solo se il
vettore ha un obbligo a contrarre ([44]).
Ma anziché poi trarne le debite conclusioni e dichiarare
quindi la illegittimità costituzionale del limite per le
ipotesi in cui il
vettore non sia obbligato a contrarre, respinge l’eccezione
di
incostituzionalità. Sconcerta poi il fatto che di tale
inciso non resti traccia
nella sentenza qui annotata (nonostante il redattore sia il medesimo e
quindi
si presuma abbia ben presente quanto da lui scritto sullo stesso
argomento
appena un paio d’anni prima), e la sentenza si riporti
testualmente e
pedissequamente alla motivazione resa il secolo scorso e dimostratasi
da tempo
infondata.
6.
Conclusioni. -
Per
concludere, la situazione attuale del trasporto marittimo vede un
vettore
nazionale che, di fatto, risponde del danno solo nel caso di dolo o
colpa
grave. In tutte le altre situazioni è sostanzialmente
irresponsabile, vuoi
perché la normativa lo dichiara espressamente tale in
determinate circostanze
(nel caso di colpa nautica o in cui si sia verificato un pericolo
eccettuato, e
l’avente diritto non provi la sua colpa o la colpa
commerciale dei suoi
dipendenti o preposti ([45])),
vuoi perché, negli altri casi, usufruisce di un limite
di responsabilità assolutamente irrisorio ([46]).
In nessun altro settore dei trasporti il vettore gode di
un trattamento così favorevole, in quanto, chi
più chi meno, gli altri limiti
di responsabilità garantiscono comunque un minimo ristoro al
danneggiato. E
tale trattamento di favore non è più da lungo
tempo giustificato dalla maggiore
pericolosità o costo del trasporto, che ormai da tempo
à divenuto uno di quelli
meno costosi e pericolosi.
Certo, stabilire se una disciplina
speciale di favore sia o meno ragionevole e non violi il principio di
eguaglianza è questione entro certi limiti opinabile; ma
quando, come in questo
caso, si è di fronte al pressoché totale
sacrificio del diritto dell’utente al
risarcimento del danno senza che ciò sia minimamente
giustificato o
controbilanciato, è indubbio che la norma che impone tale
disciplina debba
essere espunta dall’ordinamento perché
incostituzionale.
Ciò ovviamente non giustifica
l’inerzia
del legislatore, il cui intervento è da tempo auspicato ([47]),
prima fra tutti dalla Corte costituzionale stessa; ma in
mancanza di esso, sarebbe anche auspicabile una Corte costituzionale
più
attenta non soltanto alle aspettative dei cittadini, ma soprattutto
alla realtà
dei fatti, che, nella vicenda del limite di responsabilità
del vettore
marittimo, è stata del tutto obliterata dai giudici
costituzionali.
[1]()
Convenzione internazionale sull'unificazione di alcune regole in
materia
di polizza di carico firmata a Bruxelles, 25 agosto 1924, conosciuta
anche come
Regole dell’Aja.
[2]() Le vicende e le motivazioni che portarono all’introduzione del limite di responsabilità sono ben esposte in una precedente sentenza di rigetto della Corte costituzionale stessa (sent. 19 novembre 1987, n. 401, punto 4, in Dir. Trasp. 1988, II, 196, 200).
[3]()
Art. IV della Convenzione di Bruxelles. Il limite originariamente
previsto dalla Convenzione era di 100 sterline d’oro
per ogni collo o unità
di carico.
[4]()
La Convenzione
di Bruxelles del 1924 riferisce il limite al package
or unit (art. IV, punto 5). In relazione ai parametri di
riferimento nel trasporto marittimo nazionale ed internazionale si
vedano G. Righetti,
Trattato di diritto marittimo,
Milano 1990, II, 805 ss. e M.
Riguzzi, La
responsabilità limitata del vettore marittimo di merci,
Milano
1993, 77 ss.
[5]()
Per indicazioni bibliografiche sul dibattito dottrinario sviluppatori
in
relazione al limite prima dell’adeguamento
del 1954, si rinvia a G.
Righetti, Trattato di diritto
marittimo, Milano 1990, II, 801, nota 10.
[6]()
Art. 2 l. 16 aprile 1954 n. 202. Il valore di lire
200.000 ripristina in termini reali il valore il limite di
responsabilità di
5.000 lire del 1942.
[7]()
In effetti v’è
una differenza fra unità
di carico (shipping
unit, termine utilizzato dalla convenzione
di Amburgo del
1978) e unità
di
nolo (freight unit, termine
utilizzato dal COGSA americano). A quel che risulta, però,
nelle pronunce della nostra
giurisprudenza l’unità di carico ha sempre
coinciso con l’unità sulla cui base è stato calcolato il nolo.
[8]()
Se infatti l’unità di carico non è oggettivamente
determinata, il vettore può
agevolmente incidere sulla quantificazione del
limite semplicemente scegliendo la più
favorevole unità di
misura. La cosa è
evidente per le merci caricate alla rinfusa (se il vettore la indica
per
tonnellata anziché
per chilogrammo di merce caricata, il limite di responsabilità sarà
nel primo caso mille volte minore che nel secondo, pur essendo identica
la
quantità di merce
imbarcata), ma si può
verificare anche nel caso di merce imballata
(nella quale l’unità di carico è valutata a collo e non
con unità di misura
ponderale) o per i trasporti di
veicoli (in cui l‘unità di carico è determinata nel veicolo
stesso piuttosto che nel suo peso o nella sua
lunghezza in metri lineari). Di fatto, poi, per i veicoli caricati sui
traghetti (per i
quali l’effettivo
parametro che influenza la capacità
di carico della nave è
la lunghezza lineare dei ponti dedicati al carico dei veicoli), la
manipolazione operata dal vettore è
ancora più
evidente: il costo del nolo è
nella maggior parte dei casi determinato in scaglioni a seconda della
lunghezza dei veicoli, che però,
in quanto tali, rimangono sempre ciascuno una
sola unità di
carico, seppur di lunghezza (e costo di trasporto) diversi. Ben altro è il regime previsto dalle
convenzioni internazionali, che prevedono un
limite per collo o per kg di merce caricata, dichiarando applicabile
quello più
favorevole al caricatore (art. 6.1.a.
della Convenzione
di Amburgo del 1978, che prevede 835 dritti speciali
di
prelievo per package or other shipping
unit o 2,5 d.s.p. per kg di merce caricata; art. IV.5.a.
delle regole dell’Aja-Visby,
come risultanti della modifiche del protocollo di Bruxelles del
1979, che prevedono un limite di 666,67 d.s.p. per collo o di 2 d.s.p.
per kg.
di merce caricata). La differenza fra normativa internazionale è notevole. Il medesimo
collo del peso di una tonnellata varrà
per le regole dell’Aja-Visby
2.000 diritti speciali di prelievo,
pari a circa 2.320,00 euro, per la normativa nazionale varrà solo 103,29 euro
(corrispondenti alle 200.000 lire dell’art.
423 cod. nav.). Nel diritto statunitense la possibilità
che il singolo vettore possa influenzare il valore del limite è resa minima dal fatto che
il limite per unità
di nolo è
applicabile solo alle merci non imballate, e l’unità di nolo è
indicata come la “costumary freight unit”
(cfr. COGSA, art. 5, par. 1304, cap. 28, tit. 46 del United States
Code,
che prevede un limite di 500 dollari per collo o unità
di carico d’uso).
Per un approfondito esame delle problematiche poste dalle diverse
metodologie di calcolo del limite e riferimenti bibliografici e
giurisprudenziali di rinvia a G. Righetti,
Trattato di diritto marittimo,
Milano
1990, II, 805, e a L.
Tullio, Profili attuali della
limitazione del debito
del vettore marittimo, in Dir.
trasp.
1994, 13, 15, il quale, in relazione al parametro di commisurazione del
limite,
riteneva fin da allora necessaria una revisione del codice.
[9]()
Fra le ultime pronunce di merito a sostenere l’inapplicabilità del limite nel caso di
dolo o colpa grave del vettore sulla base del
principio di cui all’art.
1229 c.c., si ricordano Trib. Napoli 18 novembre 1983, in Dir. mar. 1985, 358, Trib. Genova 11
giugno 1986, in Dir. mar. 1987,
357;
Trib. Livorno 20 settembre 1997, in Dir.
mar. 1999, 814, e, di recente, Trib. Cagliari 10 ottobre
2000, in Dir. trasp. 2001, 805, con
nota di L. Tullio,
Ancora sull’applicabilità del limite del vettore marittimo in caso di
colpa grave. (ivi, 807).
In dottrina, da ultimo su queste posizioni si veda M. Grigoli, Profili di diritto dei trasporti nell’attuale realtà
normativa, Bologna 2003, 255. Per l’applicabilità del limite anche ai casi
di dolo e colpa
grave si è invece
espressa altra parte della giurisprudenza di merito e, da sempre,
la cassazione (cfr. Cass. 23 aprile 1969 n. 1278, in Riv.
dir. nav., 1970, II, 202, con nota di L. Tullio, Confini di
applicabilità della limitazione del debito del vettore;
Cass. 26 luglio 1983, n. 33, n. 5121, in Dir.
mar., 1984, 845 ss., con nota di M.
LOPEZ DE GONZALO, Orientamenti della
giurisprudenza in tema di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nel trasporto di
cose; Cass. 26 aprile 1984, n. 2643, in Dir.
mar. 1984, 864). Per
approfondimenti sulle posizioni
dottrinali e giurisprudenziali si rinvia a M.
Riguzzi, La responsabilità limitata del vettore marittimo di merci,
Milano 1993, 129 ss.
[10]()
Tale testuale considerazione si trova in A. LEFEBRVRE
D’OVIDIO – G. PESCATORE – L. TULLIO, Manuale
di diritto della navigazione, X ed., 543, e vi si trova sin
dalla VII
edizione del 1990 (pag. 653). E’ poi significativo che tale
affermazione
provenga proprio da due dei tre padri del codice della navigazione che
ne
scrissero l’art.
423.
[11]()
Corte cost. 19
novembre 1987, n. 401, in Dir.
trasp. 1988, II, 196, con nota di M. Comenale Pinto,
Brevi
considerazioni sul limite del debito del vettore marittimo e sulla sua
legittimità costituzionale; in Dir.
mar. 1988, 59, con nota di F.
Berlingieri, Legittimità costituzionale dell’art.
423 cod. nav.; in Foro
it. 1988, I, 17, con nota di F.
Cosentino, Efficiente allocazione
del rischio e contratto di trasporto marittimo di merci.
[12]()
App. Catania, ord. 15 maggio 1986, in Giur.
cost. 1986, II, 1597.
[13]()
Cass. 26 luglio 1983, n. 33, n. 5121, in Dir.
mar. 1984, 845 ss., con nota di M.
LOPEZ DE GONZALO, Orientamenti della
giurisprudenza in tema di concorso di responsabilità
contrattuale ed
extracontrattuale nel trasporto di cose.
[14]()
Nella
sentenza n.
401/1987, infatti, la Corte ha affermato la
possibilità del
vettore di adeguare
il nolo richiesto per il trasporto a seguito della dichiarazione di
valore: «L'entità del
risarcimento è in funzione del
costo dell'operazione di trasporto: il vettore, conoscendo attraverso
la
dichiarazione del caricatore, l'effettivo valore della merce,
è posto al
corrente dell'entità della sua eventuale obbligazione
risarcitoria e può perciò
ad essa adeguare il nolo. Sì che l'operatività
del limite è in funzione
di un atto di autonomia di uno dei
soggetti del rapporto (caricatore) libero di scegliere tra un
risarcimento non
limitato (con maggiorazione del nolo) e risarcimento indicato nella
prima parte
del primo comma dell'art.
423 cod. nav. (con conseguente minor
incidenza del
corrispettivo).»
Peraltro, tale
meccanismo di adeguamento del nolo alla dichiarazione di valore non si
rinviene come
necessario nella norma in
esame, secondo la quale la dichiarazione di valore non deve essere
effettuata
prima o al momento della conclusione del contratto, bensì
semplicemente
"anteriormente all'imbarco".
Al momento in cui la dichiarazione può essere
validamente effettuata,
dunque, il contratto di trasporto (e quindi la determinazione del
corrispettivo) potrebbe già essersi perfezionato; e nessuna
norma del codice
della navigazione prevede che il
corrispettivo già pattuito per il trasporto possa essere
rideterminato
unilateralmente dal vettore a seguito di successiva dichiarazione di
valore che
il caricatore, sino al momento dell'imbarco, ha pur sempre diritto ad
effettuare. E certamente, nella prassi, esiste sempre un lasso
più o meno lungo
di tempo fra conclusione del contratto di trasporto e caricazione;
perchè anche
se il contratto di trasporto può essere provato dalla
polizza di carico, esso
riceve esecuzione (e quindi necessariamente è già
concluso) al più tardi al
momento in cui la merce è presa in consegna dal vettore. Al
contrario, quanto
ritenuto dalla Corte costituzionale sembrerebbe concedere al vettore
che si sia
già impegnato al trasporto una facoltà di variare
il corrispettivo del
trasporto a fronte di una successiva dichiarazione di valore precedente
all'imbarco; facoltà che non sembra rinvenirsi né
in alcuna norma, né in alcun
principio di legge. Oppure, volendo conciliare l'interpretazione data
alla
norma dalla Corte e l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 423,
dovrebbe
dedursi che la possibilità per il vettore di variare il nolo
dipenda
semplicemente dal fatto che il caricatore faccia tale dichiarazione
prima o
dopo alla conclusione del contratto di trasporto; il che lascia
parimenti
perplessi. In realtà, l'art.
423, nella sua chiara
formulazione, si limitava a
dare la possibilità al caricatore di far applicare il
normale regime di
responsabilità anziché la deroga a favore del
vettore; e con la interpretazione
letterale - che in nulla fa cenno ad aumento del corrispettivo di trasporto - veniva
giustamente data la
possibilità di ottenere risarcimento pieno dei danni anche
nel caso di
trasporto gratuito o di cortesia.
Adottando l'interpretazione della Corte ed ancorando la
dichiarazione di
valore al corrispettivo per il trasporto, dovrebbe dedursi che mai il
caricatore potrebbe avere risarcimento integrale nel caso di trasporto
gratuito
o di cortesia. Questa affermazione della Corte costituzionale
è stata pertanto,
seppur con un certo ritardo, criticata anche dalla dottrina, che ha
rilevato
come il ragionamento sarebbe valido solo se ed in quanto la
dichiarazione di
valore fosse un diritto potestativo del caricatore cui fa riscontro la
soggezione del vettore; cosa che non può essere se si
ammette il diritto del
vettore ad ottenere, a fronte della dichiarazione di valore, un aumento
del nolo
(L. Tullio,
Profili attuali della limitazione del debito
del vettore marittimo,
in Dir. trasp. 1994, 13, 29). Tali
considerazione sono state riprese di recente da A.
Cusmai, La giusta
opportunità per
l’utente-caricatore di esprimere liberamente la dichiarazione
di valore come
presupposto della legittimità costituzionale
dell’art. 423 c. nav., in Dir.
trasp. 2004, 123, 133.
[15]()
In senso adesivo si veda G.
Pescatore, Riflessi
costituzionali
della limitazione della responsabilità
del vettore nautico, in Dir.
trasp., 1988, I, 1, e M. Comenale Pinto,
Brevi considerazioni sul limite del debito del
vettore marittimo e
sulla sua legittimità costituzionale, in Dir. trasp. 1988, II,
196.
Critici
nei confronti della Corte
costituzionale invece G.
Serges, Questione di legittimità costituzionale alla stregua del principio di
eguaglianza ed individuazione
del “tertium comparationis», in Giur. it. 1989, IV, 378, e F. Cosentino, Efficiente allocazione del rischio e contratto di
trasporto marittimo
di merci, in Foro it.
1988, I, 17
16]()
Trib. Genova, ord. 21 novembe 1988, in Dir.
trasp. 1989, II, 186, con nota redazionale di E. Fogliani.
[17]()
Corte cost., ord. 10 gennaio
1991, n. 8, in Dir.
trasp. 1992,
485, con nota di L.
Tullio, L’agevole esplicazione della
dichiarazione di valore come presupposto della
valutazione di costituzionalità dall’art. 423 cod. nav.. Per un approfondito esame dei
limiti di
responsabilità in diritto dei trasporti in relazione alla
carta costituzionale al momento
di tale ordinanza, si vedano G.
Romanelli
– E. Fogliani,
Orientamenti
della giurisprudenza costituzionale in tema di limitazione di
responsabilità del vettore, in Dir. mar. 1992, 655, e G.
Silingardi,
L’istituto del limite
risarcitorio: controllo di costituzionalità ed autonomia delle parti, in Dir. trasp. 1992, 345.
[18]()
La stessa cosa era accaduta in passato per il limite di
responsabilità del vettore aereo di persone. La prima
questione di legittimità
costituzionale, sollevata dal tribunale di Roma con ord. 27 dicembre
1978 (in Dir. mar. 1979, 582) era
stata
dichiarata inammissibile con sent. 29 aprile 1982 n. 81 (in Riv. dir. int. priv. e proc. 1982, 797)
e solo dopo che il Tribunale di Roma l’aveva riformulata
(ord. 17 gennaio 1983)
ha dato seguito al giudizio che ha portato alla dichiarazione di
incostituzionalità del limite di responsabilità
del vettore aereo passeggeri
(Corte cost. 6
maggio 1985 n. 132, in Dir.
mar. 1985, 751, con nota di E.
Fogliani, La limitazione di
responsabilità del vettore aereo internazionale di persone
nel giudizio della
Corte costituzionale).
[19]()
Piace ricordare le significative e coraggiose parole con
cui L. Tullio,
in commento alla
ordinanza Corte
cost. 10 gennaio 1991 n. 8, fotografava la situazione:
«L’inerzia del legislatore
è veramente
deplorevole, soprattutto dopo che la stessa Corte costituzionale,
già dal 1987,
aveva richiamato l’attenzione del legislatore sul problema.
Fortunatamente la
giurisprudenza di merito e di legittimità cerca
meritoriamente di sostituirsi
al legislatore attraverso interpretazioni di fatto e di diritto che,
ancorché
talora di dubbio fondamento, raggiungono però
l’obiettivo di conseguire una
certa giustizia sostanziale del caso singolo. Certo più
efficace sarebbe un
intervento risolutivo della Corte costituzionale che ravvisasse motivi
di
incostituzionalità della norma, costringendo così
il legislatore a provvedere,
come è avvenuto per il trasporto aereo internazionale di
persone» (L.
Tullio, L’agevole
esplicazione della dichiarazione di valore come presupposto
della valutazione di costituzionalità dall’art.
423 cod. nav.. in Dir. trasp.
1992, 485).
[20]()
Corte
cost. 14 marzo 2003 n. 71, in Dir.
trasp. 2004, 121, con nota di A.
Cusmai, La giusta opportunità per l’utente
caricatore di esprimere liberamente la
dichiarazione di valore come presupposto della legittimità costituzionale dell’art.
423 cod. nav., ed in Dir.
mar. 2004, 88, con nota di C. Medina, Ancora sulla costituzionalità del limite risarcitorio del vettore marittimo.
[21]()
Cass. 8 aprile 2003 n. 5514 (ord.). in Dir.
mar. 2005, 522.
[22]()
Le precedenti pronunce della Consulta citate nella sentenza 199/2005
sono: Corte cost. 12 maggio 1982, n. 90, in Giust.
Civ. 1982, 1688; Corte
cost. 19 novembre 1987, n. 401 in Dir.
trasp. 1988, II, 196; Corte cost.
22 novembre 1991, n. 420, in Dir. trasp.
1992, 521; Corte cost. 16 febbraio 1993, n. 64, in Dir.
trasp. 1993, 377;
[23]()
Così in sostanza
Corte
cost. 14 marzo 2003 n. 71, punto 2.1,
in Dir.
trasp. 2004, 121, 122.
[24]()
Così afferma Corte
cost. 19 novembre 1987, n. 401, punto
5 (Dir.
trasp. 1988, II, 196, 203) e riporta tralaticiamente Corte.
cost. 14 marzo
2003 n. 71, punto 2.2 (Dir. trasp.
2004, 121, 122).
[25]() Corte cost. 19 novembre 1987, n. 401 , punto 5 (Dir. trasp. 1988, II, 196, 203).
[26]()
Rilevazioni effettuate per le tratte Genova / Bastia e
Genova / Porto Torres su Internet per primarie compagnie di
navigazione,
ottobre 2005.
[27]()
Si noti che già nel
1986 i giudici di Genova avevano concluso per la non applicabilità del limite del 423 cod.
nav. alle ipotesi di colpa grave e dolo del
vettore proprio argomentando sulla base del disposto dell’art. 952 cod. nav.,
in
linea con i principi solo oggi accolti dalla Corte
costituzionale: cfr. Trib. Genova 11 giugno 1986, in Dir.
mar. 1987, 357, 359.
[28]()
Altro punto dolente, i
tempi dei
processi in cui dette pronunce si collocano. Per la sentenza 401/1987,
si
parlava di fatti accaduti nel 1972, ossia 15 anni prima. Il che
significa che
il malcapitato caricatore, di fronte ad un danno reale di circa un paio
di
miliardi di lire dovuto a colpa grave del vettore, ha dovuto attendere
per ben
oltre tale periodo di tempo un risarcimento di duecentomila lire, pari
ad un
decimillesimo del danno subito. E per le sentenze successive i tempi
non si
sono certo accorciati. Non migliore è
la situazione alla base della sentenza
199/2005, i cui fatti per cui è
causa risalgono a 13 anni fa. Calcolando che l’ordinanza
di rimessione proviene dalla Corte di cassazione, è
facile ipotizzare che il danneggiato vedrà
una sentenza definitiva a suo favore solo fra
qualche anno.
[29]()
Ricordiamo che l’art.
422 cod. nav. prevede sostanzialmente che
da un lato il vettore non risponda della colpa nautica dei propri
dipendenti e
preposti, dall’altro
possa fruire di una inversione dell’onere
della prova in presenza di una serie di
determinate circostanze (pericoli eccettuati).
[30]()
Secondo quest’ottica,
la Corte costituzionale avrebbe potuto anche semplicemente dire che
la norma era legittima in quanto il caricatore, essendo libero di
trasportare
la propria merce anche per via aerea, avrebbe potuto scegliere in tal
modo di
applicare la normativa dell’art.
952 cod. nav., che prevede la superabilità
dei limiti in caso di dolo o colpa grave, evitando l’applicazione
della deteriore disciplina dell’art.
423 cod. nav.
[31]()
In questo senso E.
Fogliani, Prospettive di riforma
dell’art. 423 cod. nav., in
Atti del
convegno “Il cinquantenario del codice della
navigazione”, Cagliari
1993, 278.
[32]()
Sul punto è,
giustamente, assai critico F.
Berlingieri in una nota redazionale alla sentenza qui
annotata (Dir. mar. 2005, 482).
[33]()
Basti pensare al limite di responsabilità previsto
dall’art. 952
cod. nav., fermo da quasi un ventennio a lire
30.000 (15,49 euro)
per Kg di merce caricata. La differenza con il trasporto marittimo
è notevole.
Prendendo ad esempio il solito collo del peso di una tonnellata, il
limite del
trasporto marittimo è di 103,29 euro di fronte ai 15.490
euro del trasporto
aereo.
[34] F. Berlingieri, nota redazionale alla sentenza qui annotata, in Dir. mar. 2005, 482, il quale osserva anche che la apertura del traffico di cabotaggio alle navi comunitarie rende auspicabile l’adozione di una identica normativa per i trasporti nazionali e per quelli internazionale.
[35]
Relazione al Re sul codice della navigazione, n. 249.
[36]
Dato che la sentenza 199/2005 si riporta pedissequamente alle
considerazioni svolte sotto il profilo economico dalla precedente
sentenza
401/1987, sono tutt’ora
attuali le stringenti critiche svolte da F. Cosentino,
Efficiente allocazione del rischio e contratto di trasporto marittimo
di merci,
in Foro it. 1988, I, 18, secondo
cui «l’analisi
economica effettuata dalla Corte (…)
appare alquanto oscura, finendo col risultare
poco intelligibile ed anzi, in certa misura, idonea a suscitare
confusione nel
lettore»:
[37]
Limite risultante dall’applicazione
dell’art. IV, 5.a
delle regole dell’Aja-Visby
(2 dsp * 1.500 Kg, al cambio di 1,16 euro per d.s.p.).
[38]
Si veda al riguardo E.
Fogliani, La dichiarazione di
valore, questa
sconosciuta, in Dir. trasp.
1998,
89.
[39]
Si segnalano su
tali punti G.
Silingardi, L’istituto del limite risarcitorio: controllo di
costituzionalità ed autonomia delle parti, in Dir.
trasp. 1992, 345; L.
Tullio, L’agevole
esplicazione della dichiarazione di
valore come presupposto della valutazione di costituzionalità dall’art.
423 cod. nav.. in Dir.
trasp. 1992, 485; M.
Riguzzi, Brevi note sulla
legittimità costituzionale del debito del vettore stradale di
merci, in Dir.
trasp. 1993, 377; L. Tullio, Profili attuali della limitazione del debito del
vettore marittimo,
in Dir. trasp. 1994, 13; A. Cusmai, La giusta opportunità
per l’utente-caricatore di esprimere liberamente la
dichiarazione di valore come presupposto della legittimità costituzionale dell’art.
423 c. nav., in Dir.
trasp. 2004, 123.
[40]
Cfr. sentenza annotata, punto 5. Anche la precedente sentenza 71/2003
aveva pedissequamente espresso gli stessi concetti, seppur non con le
identiche
parole.
[41]
L.
Tullio, L’agevole
esplicazione della dichiarazione di valore come presupposto della
valutazione
di costituzionalità dall’art. 423 cod. nav..
in Dir. trasp. 1992, 485; L. Tullio, Profili attuali della limitazione del debito del
vettore marittimo,
in Dir. trasp. 1994, 13
[42]
Così testualmente G.
Pescatore, redattore della sentenza 401/1987,
in Riflessi costituzionali della limitazione
della
responsabilità del
vettore nautico, in Dir. trasp., 1988, I, 1, 7.
[43] L. Tullio, L’agevole esplicazione della dichiarazione di valore come presupposto della valutazione di costituzionalità dall’art. 423 cod. nav.. in Dir. trasp. 1992, 485, 490.
[44]
La Corte afferma infatti che l’art.
423 cod. nav. «non viola l’indicato
precetto costituzionale in quanto al
caricatore è data la possibilità
di non sottostare al limite, usufruendo del diritto potestativo di
rendere
la dichiarazione del valore della merce affidata al vettore, senza che
quest’ultimo –
se il titolo in base al quale esercita la sua
attività lo obbliga a contrarre –
possa rifiutare di prendere atto della
dichiarazione stessa.»
(Corte cost. 14
marzo 2003 n. 71, in Dir.
trasp. 2004, 121, 122).
[45]
Art. 422 cod. nav.
[46]
Si osservi che l’attuale limite di responsabilità
è di
molto inferiore al mero costo di una lettera di messa in mora fatta da
un
legale al vettore per conto dell’avente diritto…
[47]Resta
tutt’ora valida la proposta di specificare il limite
di responsabilità in un multiplo del nolo pagato per il
trasporto, soluzione analoga a quella già adottata per limitare la responsabilità dell’albergatore (art. 1783 c.c.), che di per se
risolverebbe ogni problema legato alla perdita di valore del limite a
causa
dell’inflazione e porrebbe automaticamente un criterio
certo ed oggettivo per la
determinazione del limite (in questo senso, E.
Fogliani, Prospettive di riforma
dell’art. 423 cod. nav., in Atti
del convegno “Il cinquantenario del
codice della navigazione”, Cagliari 1993,
278).
Enzo
Fogliani.
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